1. Primo esercizio di prosodia elementare
Per prendere confidenza con la terminologia metrica e coi principali fatti prosodici – relativi cioè al computo sillabico e a quegli accenti del verso che più ne determinano il ritmo – la via più spiccia e proficua è partire dall’esame di un paio di testi. Propongo di anatomizzare minutamente, come se si trattasse di un qualsiasi corpus vile, questo ben noto, straordinario sonetto del Canzoniere di Petrarca (Rerum vulgarium fragmenta, d’ora in poi RVF, 189):
Passa la nave mia colma d’oblio | |
per aspro mare,ˆa mezza notteˆil verno, | |
enfra Scillaˆet Caribdi;ˆet al governo | |
siede ’l signore,ˆanzi ’l nimico mio. | 4 |
A ciascun remoˆun penser prontoˆet rio | |
che la tempestaˆe ’l fin par ch’abbiˆa scherno; | |
la vela rompeˆun vento humidoˆeterno | |
di sospir’, di speranzeˆet di desio. | 8 |
Pioggia di lagrimar, nebbia di sdegni | |
bagnaˆet rallenta le già stanche sarte, | |
che son d’error con ignorantiaˆattorto. | 11 |
Celansiˆi duo mei dolciˆusati segni; | |
morta fra l’ondeˆè la ragion et l’arte, | |
tal ch’incomincioˆa desperar del porto. | 14 |
Perché Petrarca anziché, mettiamo, Dante? Non tanto, genericamente, per la sua importanza letteraria e per l’imitazione di cui è stato oggetto (la lirica italiana – ma dovrei dire europea – è tutta attraversata dalla ‘linea Petrarca’), quanto per un paio di ragioni più specifiche. Intanto, Petrarca è stato per secoli preso a sommo esempio di perfezione versificatoria: i suoi versi danno un’impressione complessiva di fluidità e di regolarità, come se ubbidissero a costanti ritmosillabiche assai precise, definite una volta per tutte; Dante invece, specie quello della Commedia, non rifugge da scarti prosodici anche violenti: in lui l’uniformità è spesso efficacemente contrastata dall’urgenza espressiva.
Seconda, più importante ragione proprio in ambito prosodico, il testo di Petrarca è sicuro fin nei minimi particolari, garantito dalla sua sostanziale autografia; i versi di Dante, giunti a noi solo tramite copie altrui, sono invece – nella forma in cui oggi li leggiamo – il risultato di un’operazione filologica restitutiva, orientata e condizionata da quanto ci trasmettono i numerosi testimoni manoscritti, spesso imprecisi, discordanti fra loro e non esenti né da inesattezze né da errori anche gravi: tanto è vero che fra le varie edizioni moderne non mancano le divergenze, che molto spesso incidono proprio sul tessuto ritmosillabico.
La prosodia è sensibile anche a certi minuti fatti grafico-fonetici che sono irrilevanti per la sostanza del testo (e che perciò non sono di solito nemmeno registrati nell’apparato di varianti delle edizioni critiche), ma che possono incidere sulla struttura ritmosillabica del verso. Per un copista medievale è in genere indifferente scrivere, per esempio, «et anzi» o «e anzi», oppure anche, con la comunissima ‘nota tironiana’, «7 anzi»; ora, dal nostro punto di vista, la prima scrizione è inequivocabilmente trisillabica; la seconda può essere, con dialefe «eˇanzi», ancora trisillabica, ma bisillabica con sinalefe «eˆanzi» (cfr. cap. 5); nel caso poi della nota tironiana spetterà al filologo che cura l’edizione decidere: se il verso richiede due sillabe non potrà che optare per la soluzione sinalefica; ma se ne richiede tre, starà a lui scegliere (e non sempre gli sarà facile) se trascrivere «et anzi» / «ed anzi» oppure, con dialefe, «eˇanzi».
È quasi inutile dire che, prima di procedere a qualsiasi analisi metrica, bisogna sempre aver capito il significato almeno superficiale del testo. Da questo punto di vista il nostro sonetto, evidentemente metaforico, è nell’insieme piuttosto limpido; i pochi dubbi residui, di natura grammaticale, sono ininfluenti (o meglio, poco influenti) sulla prosodia: al v. 7 si dovrà intendere ‘un vento umido e ininterrotto rompe, squarcia [oppure: urta, strapazza?] la vela’, o invece ‘la vela interrompe, contrasta, si oppone al flusso del vento’? Al v. 11, ‘le quali [sàrtie; ma alcuni commentatori: ‘i quali sdegni’ di 9] sono fatte di errore attorcigliato con ignoranza’, oppure ‘io che sono attorcigliato, mentre io sono tutto un intrico di errore e ignoranza’?
Tutti sanno che, nella sua forma più comune, il sonetto comprende 14 versi endecasillabi. Le rime, il cui timbro è qui -io -erno, poi -egni -arte -orto, hanno funzione strutturante, cioè ordinano e raggruppano i versi in un’ottava, suddivisibile in due quartine simmetriche a rime incrociate ABBA ABBA – a loro volta scomponibili ciascuna in distici a rime invertite, speculari al centro, AB BA –, seguita da una sestina su tre rime composta di due terzine, che qui sono a rime replicate (o ripetute) CDE CDE. Dunque, complessivamente, lo schema metrico è ABBA, ABBA; CDE CDE.
Può darsi che la rima ABBA si chiami «incrociata» perché nei manoscritti antichi due endecasillabi venivano molto spesso scritti l’uno di seguito all’altro su una stessa riga: AB nella prima riga, BA nella seconda; con questa disposizione una linea ideale che colleghi il primo con l’altro A viene a incrociare quella che unisce fra loro i due B.
La disposizione a rime incrociate nelle quartine, rispetto a quella originaria che vi prevedeva sempre e solo rime alternate (come nel sonetto che qui segue), è un’innovazione dello Stilnovo. L’effetto metrico più rilevante di tale innovazione è che così si ottengono tre rime baciate consecutive: (A)BBA ABB(A).
Per evidenziare le partizioni ho staccato l’ottava dalla sestina e rientrato l’inizio di quartine e terzine (si tenga presente che segnali con analoga funzione sono già presenti in molti canzonieri medievali e anche in quello di Petrarca); per la stessa ragione ho anche numerato i versi non meccanicamente di 5 in 5, come si fa di solito per comodità tipografica, ma secondo la quadripartizione – due quartine più due terzine – della forma-sonetto. È sempre opportuno, anche con altre forme metriche, tener conto di queste partizioni per vedere se il poeta ha fatto corrispondere ad esse altrettante unità logico-sintattiche e tematiche, o se invece le ha ignorate, distribuendo il materiale verbale con maggior libertà rispetto ad esse; la punteggiatura (che in genere, nei testi molto antichi e in parte anche in Petrarca, viene introdotta dal filologo responsabile dell’edizione) può dare una prima indicazione in tal senso. Qui la corrispondenza risulta totale, con la prima quartina compattata dalla sintassi («Passa... Enfra Scilla e C.») e con la seconda distribuita invece su due distici, vv. 5-6 + 7-8; segue lo stacco con la sestina, frequentissimo nei sonetti, una sorta di diesis (cfr. cap. 10, quando si descriverà la canzone), a sua volta bipartita, metricamente e sintatticamente.
Negli schemi metrici (rimico-sillabici) gli endecasillabi si contrassegnano di solito semplicemente con maiuscole, i settenari con minuscole; per a...