Il morto
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Il morto

  1. 20 pagine
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Per chi consideri il materiale affollato nei musei che accolgono i suoi monumenti, la civiltà egiziana ha spesso anche se ingiustamente assunto una connotazione funeraria. È questo il risultato del modo in cui si è scavato in un paese che nasconde all'archeologia le sue città antiche sotto il loro perpetuarsi nei secoli come luoghi abitati e sotto l'annuale deposito del limo lasciato nei millenni dalle piene del Nilo. A queste così poco accessibili testimonianze della vita si contrappongono le particolari condizioni dei cimiteri, collocati nel deserto, fuori dalle zone inondate, in una condizione climatica che permette la sopravvivenza dei materiali che quasi ovunque altrove vanno distrutti. E ciò invita a favorire quella prospettiva di ritrovamenti di oggetti che ha significato per troppo tempo lo scopo ultimo dell'archeologia militante.Acquista l'ebook e continua a leggere!

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Informazioni

Anno
2012
ISBN
9788858107188
Argomento
History

Il morto

Per chi consideri il materiale affollato nei musei che accolgono i suoi monumenti, la civiltà egiziana ha spesso – anche se ingiustamente – assunto una connotazione funeraria. È questo il risultato del modo in cui si è scavato in un paese che nasconde all’archeologia le sue città antiche sotto il loro perpetuarsi nei secoli come luoghi abitati e sotto l’annuale deposito del limo lasciato nei millenni dalle piene del Nilo. A queste così poco accessibili testimonianze della vita si contrappongono le particolari condizioni dei cimiteri, collocati nel deserto, fuori dalle zone inondate, in una condizione climatica che permette la sopravvivenza dei materiali che quasi ovunque altrove vanno distrutti. E ciò invita a favorire quella prospettiva di ritrovamenti di oggetti che ha significato per troppo tempo lo scopo ultimo dell’archeologia militante.
Queste testimonianze dei monumenti sono rese più esplicite e significative (e perciò sottolineate dalla ricerca) dall’entusiasmo scrittorio degli antichi Egiziani, che ha riempito carte e pareti con testi religiosi relativi ai morti, e ci ha così consentito una cognizione articolata e di prima mano delle concezioni mitiche, dei rituali, delle interpretazioni autentiche, quale non abbiamo per tutto il resto del mondo antico.
Una società che è stata fondamentalmente mondana, razionalmente pragmatica, compiaciuta della sua festosa vitalità ci appare così stravolta dai casi della documentazione; e ogni opera che tenta di descriverla non può sottrarsi all’obbligo di dedicare una parte notevole del discorso a questo lato delle sue manifestazioni.
Non possiamo neanche noi sottrarci a questa imposizione delle cose: ma questa volta non ci toccherà di occuparci della antropologia religiosa, che ci descrive di quali elementi consti la personalità egiziana, e di come essi sopravvivano o meno, né parleremo delle tante – contrastanti e confluenti – concezioni escatologiche, né cercheremo di leggere il senso ultimo delle grandi sillogi di testi funerari che ci offrono, scalate nel tempo, raccolte di formule o di quelle «Guide dell’Aldilà» che rappresentano particolari momenti della speculazione sacerdotale.
Quel che qui ci interesserà sarà il modo in cui la singola persona continua ad ancorarsi alla struttura della società dei vivi, vi determina avvenimenti e situazioni anche quando non ne fa più attivamente parte. Questo «morto che afferra il vivo» non può essere trascurato, non è uno scomparso (e sia pure scomparso nel dolore e nel rimpianto della memoria), ma è uno che ancora agisce attraverso una volontà e una attività che ha avuto sì da vivo, ma in quanto conscio di essere un «futuro defunto» (e, in taluni casi, come vedremo, anche proprio come già defunto).
Il campo della ricerca è in tal modo assai ristretto rispetto a quello tradizionale; ma la sua assenza avrebbe un po’ sminuito il quadro che in tanti siamo venuti tracciando dei personaggi egiziani e del loro ruolo in una definita società.
La coscienza di un passato concretamente rappresentato da coloro che vi si sono trovati immersi crea una solidarietà fra coloro che sono e coloro che sono stati; e tanto più essa si allarga e spazia nel tempo quanto più chiaro è il senso del debito che il presente ha verso il passato – il senso, cioè, della tradizione come valido e vitale punto di appoggio per l’attività umana.
Una civiltà così tenacemente attenta ai precedenti di ogni sua manifestazione come quella egiziana è particolarmente adatta a valutare la continuità del tempo, il ripresentarsi – se non altro come memoria – anche di quel che può apparire concluso.
Può così divenire assai più labile che altrove quel confine fra l’Aldiqua e l’Aldilà che è così drammaticamente sentito nelle civiltà antiche.
Basterà, come esempio, ricordare un paio di casi tipici, che potrebbero moltiplicarsi ad libitum. La lunga storia della sua vita e delle avventure che l’hanno riempita è narrata nella più celebre opera letteraria egiziana da parte del protagonista, Sinuhe. È una storia detta in prima persona, ma – esplicitamente – dopo la sua fine: «Sono stato sotto i favori del sovrano fino a che è giunto il giorno dell’approdo», è la frase conclusiva.
Analogamente, l’introduzione al verbale del processo per l’assassinio di Ramesse III comporta la nomina del tribunale incaricato di giudicare il caso – e chi lo nomina è lo stesso re ucciso, ormai assunto a un altro mondo, non più attingibile ai congiurati, ma ancora capace di agire nella società dalla quale è stato separato.
Un tale atteggiamento figura una faccia specifica della ricca fantasia escatologica egiziana, che non si è stancata di immaginare un Aldilà ben definito, non sempre rassicurante, ma riconoscibile nelle sue caratteristiche, descrivibile nei suoi tratti, di cui si possono fornire guide, complete di quei formulari con cui rispondere o con cui indirizzarsi agli esseri non umani che non si mancherà di incontrarvi. È un mondo che, potenzialmente, inserisce la morte fra gli altri accadimenti della natura e che in questo inserimento trova il modo di alimentare una visione ottimistica di perpetui ritorni e ringiovanimenti, come avviene per il ciclo diurno, per il ciclo solare, per il ciclo delle vegetazioni, per quello della luna, per quello delle piene del Nilo. I più antichi testi funerari che abbiamo, quelli che erano scolpiti all’interno delle piramidi regali della VI dinastia (attorno al 2200 a.C.), fanno spesso riferimento a questi fenomeni ricorrenti, e ne fanno sentire non solo il valore di modello per così dire simpatico, ma la più profonda valenza dialettica: «Quel che ti dicono: ‘Va’, affinché tu torni! Dormi, affinché tu ti svegli! Muori, affinché tu viva!» (Pyr. 1975).
Il morire è un momento dell’esistenza: per dire di un tempo anteriore alla storia (ma in tale tempo, tuttavia, si dice che è nato il sovrano per cui è recitata la formula) lo si descrive come un’età in cui «ancora non era venuto in essere il cielo, ancora non era venuta in essere la terra, ancora non erano venuti in essere gli uomini, ancora non erano venuti in essere gli Dei, ancora non era venuta in essere la morte» (Pyr. 1466 b/d).
«Esserci» vuol dire «morire», ed è perciò il presupposto di quel «morire per vivere» della formula citata prima.
Questo – per chiamarlo così – ottimismo cosmico non esclude per nulla, naturalmente, un ben altro senso della morte. È stato significativamente notato che nei Testi delle Piramidi i verbi che indicano il «morire» sono impiegati solo per essere negati. E c’è anche da ricordare che la sopravvivenza dopo il trapasso può anche comportare un ribaltamento totale della situazione anteriore. Una formula magica ricorda che il miele «è dolce per i vivi e amaro per i morti», e in questa luce van viste le antiche e sempre ripetute formule che debbono salvare il morto dal camminare a testa all’ingiù, dal bere le...

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