Il mercante
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Il mercante

  1. 20 pagine
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Il mercante

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Non si troverà, in tutta la letteratura antica, un solo passo in cui venga proposta, senza valutazioni etiche più o meno accentuate, un'analisi economica della formazione dei prezzi nell'intermediazione commerciale. Per altro verso la letteratura antica è letteralmente disseminata di riferimenti alla figura e al mestiere del mercante, al grande commercio, alle più modeste pratiche di compravendita, al rapporto tra agricoltura e commercio, al problema del «giusto prezzo»: un universo di accenni, metafore, definizioni di tipi sociali, inventari di virtù e di pratiche detestabili, gerarchie del decoro, associazioni costruite per differenza o per analogia, vischiosità millenarie e brusche rotture: un groviglio intricato nel quale è difficile (talvolta impossibile) reperire i parametri per una trattazione tendenzialmente chiusa. Le immagini inquietanti del rapporto tra l'uomo e le merci risultano, nella cultura romana, più 'esplose' che ordinate in sistemi, più disarticolate in una molteplicità di tensioni che ricomposte nella simmetria di polarità senza incrinature.Acquista l'ebook e continua a leggere!

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Informazioni

Anno
2012
ISBN
9788858100196
Argomento
History

Il mercante

Non si troverà, in tutta la letteratura antica, un solo passo in cui venga proposta, senza valutazioni etiche più o meno accentuate, un’analisi economica della formazione dei prezzi nell’intermediazione commerciale. Per altro verso la letteratura antica è letteralmente disseminata di riferimenti alla figura e al mestiere del mercante, al grande commercio, alle più modeste pratiche di compravendita, al rapporto tra agricoltura e commercio, al problema del «giusto prezzo»: un universo di accenni, metafore, definizioni di tipi sociali, inventari di virtù e di pratiche detestabili, gerarchie del decoro, associazioni costruite per differenza o per analogia, vischiosità millenarie e brusche rotture: un groviglio intricato nel quale è difficile (talvolta impossibile) reperire i parametri per una trattazione tendenzialmente chiusa. Le immagini inquietanti del rapporto tra l’uomo e le merci risultano, nella cultura romana, più ‘esplose’ che ordinate in sistemi, più disarticolate in una molteplicità di tensioni che ricomposte nella simmetria di polarità senza incrinature.
Era convinzione degli antichi che il mercante falsasse inevitabilmente il «giusto prezzo» perché lo accresceva senza aggiungere al valore-lavoro dell’oggetto nessun lavoro supplementare. «Si era persuasi – ha scritto P. Veyne – che l’intermediario fosse l’autore del costo più alto, del quale profittava. Noi sappiamo, oggi, che le cose sono meno semplici; i marginalisti ci hanno insegnato che la scarsità e il mercato fanno da soli il valore dei beni. Salvo monopolio o cartello, l’intermediario beneficia del livello finale a cui i prezzi si elevano, non è certo lui ad elevarli al passaggio; il valore non sale dal produttore al debitore, ma ridiscende al contrario le tappe della distribuzione e della fabbricazione: si produce e si vende solo ciò che troverà compratore, al prezzo al quale la merce troverà compratore [...] Questa differenza di valore fonda il guadagno del mercante, che profitta della rarità e della carestia senza esserne l’autore. Ma la coscienza ingenua non vede le cose così; per essa, il mercante non si insinua nello scarto che separa i valori intermedi, è lui a provocare quello scarto. Perché la coscienza ingenua crede che il valore salga dal basso: essa crede al valore-lavoro [...] Solo il valore-lavoro fonda il iustum pretium; il mercante falsa il giusto prezzo perché lo gonfia senza incorporare nell’oggetto nessun lavoro supplementare. Certo, il mercante non è inattivo, ma la pena che egli si prende è sospetta: egli viaggia, è un instabile, e poi la sua pena non modifica l’oggetto...».
Per gli antichi, il commercio non era dunque un «lavoro» come lo intendiamo noi. Mancava in esso quel coefficiente di fatica fisica che si esprimeva nella trasformazione della materia e che se non valeva tanto a garantire il decoro sociale del lavoratore, giustificava almeno la liceità della sua mercede. Le scelte lessicali nella contrapposizione tra lavoro agricolo e commercio rivelano pienamente questa concezione: al ponos gheorghikos («lavoro agricolo»), non fa da contrappunto un ponos dell’emporia, un «lavoro del commercio», ma, per esempio, un emporias kindynos, il «pericolo del commercio» (Basilio, Omelia contro i ricchi, 1, in PG 31, 280 B); analogamente, al labor agricolo si affianca non già il labor della mercatura, ma i damma della mercatura (Ausonio, 13, 1, 1-6). Nell’imbarazzo di qualificare le attività commerciali con termini come ponos o labor, si faceva dunque ricorso, di preferenza, a termini che rimandavano alle caratteristiche psicologiche e morali dell’attività commerciale: il pericolo, fattore intrinseco alla scelta di vita del mercante marittimo, i danni che ne possono derivare, oppure la cura, la sollecitudine ansiosa di un animo lacerato dall’incertezza e dalla voglia di prevalere (Agostino, Il lavoro dei monaci, 15, 16 in CSEL 41, p. 557).
Il commercio caratterizzava, nei contatti tra i gruppi umani, la misura della distanza e della diversità. Nell’inquietante apparizione del mercante straniero, la differenza esteriore (della lingua, dei costumi, della pelle) si sommava a una più riposta minaccia, che era quella dell’animo subdolo e insidioso. Soprattutto nelle società più chiuse, dove il confronto con le figure dinamiche dei mercanti generava inevitabili tensioni psicologiche, la reazione al guadagno incontrollabile fissava uno schema mentale in cui l’ethnos diverso era definibile a partire da alcuni difetti irriducibili. Erano i difetti millenari dei mercanti: l’astuzia, l’inganno, la frode.
Già nell’epos omerico i Fenici, «navigatori famosi», appaiono con l’epiteto di «avidi», e avido è definito anche il mercante fenicio che ingannò Odisseo nel racconto che quest’ultimo fece a Eumeo. In Omero il fenicio è mercante ma anche rapitore: un topos che ritorna in Erodoto, già in apertura del primo libro, a proposito della cattura di Io, figlia di Inaco. Questa pessima reputazione riappare nella cultura romana in riferimento ai Cartaginesi: furono essi i primi, dice Cicerone, a esportare in Grecia, insieme con le loro merci, «l’avidità, la sontuosità e l’indicibile cupidigia di tutte le cose» (La repubblica, 3, fr. 4). Lo stesso Cicerone sembra attenuare l’antichissimo marchio dei Cartaginesi come «ingannatori e mentitori», definendoli tali «non per stirpe, ma per la natura del luogo»: a causa dei loro porti erano stati infatti contaminati dai discorsi ammaliatori dei mercanti (Sulla legge agraria, 2, 95). Ma Fenici e Cartaginesi restarono sempre i prototipi etnici dei mercanti astuti e spregiudicati.
L’unione tra connotazione etnica e connotazione mercantile non riguarda, ovviamente, soltanto questi popoli. Ripercorrendo l’intera storia della cultura antica si constata più volte l’apparizione di questo nesso tra immagini dei popoli «diversi» e inclinazioni commerciali: Giulio Cesare descrive il successo di cui godeva il dio Mercurio tra i Galli, che lo ritenevano inventore di tutte le arti, dux delle viae e degli itinera, ma soprattutto dotato di una potenza eccezionale nel propiziare gli affari e i traffici (Cesare, La guerra gallica, 6, 17, 1). Ancora alla fine del mondo antico (ma i presupposti sono molto anteriori), i Siri saranno detti da Gerolamo «commercianti e avidissimi tra i mortali» (Lettere, 130, 7, p. 175, 9 Labourt), mentre Salviano li indicherà quasi come sinonimo stesso di mercatores, come un genere di uomini dediti unicamente alla «meditazione dell’inganno e alla trama della menzogna» (Il governo di Dio, 4, 6, 9); Sidonio Apollinare completa il quadro definendoli come simboli viventi dell’usura (Lettere, 1, 8, 2). Sempre in età tardoantica, gli Ebrei appaiono non solo, in generale, come mercanti, ma anche come prototipi di quegli spregevoli osti che mischiano l’acqua al vino (p. es., Ambrogio, Della fede, 3, 10, 65 in CSEL 78, p. 132). Se si proseguisse oltre, in questa classificazione di topoi etnico-mercantili, si assisterebbe a un ulteriore rimescolamento di rappresentazioni: basti pensare all’impor...

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  1. Il mercante