Pensare per due
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Pensare per due

Nella mente delle madri

  1. 190 pagine
  2. Italian
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Pensare per due

Nella mente delle madri

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Informazioni sul libro

Una mamma allatta il suo bambino. Tra di loro, un gioco di sguardi e attese, quasi una comunicazione telepatica. Massimo Ammaniti guida il lettore in un viaggio nel più misterioso legame esistente, nel luogo delle nostre origini. Cosa succede nella mente delle madri, quale cataclisma chimico ed emotivo scuote la coscienza d'una donna alla nascita del figlio. In un momento in cui l'attenzione pubblica si concentra sui diritti del feto e la rianimazione del neonato prematuro, Massimo Ammaniti sposta la lente sulla 'costellazione materna', quel particolare stato mentale intessuto di sensibilità e fantasie, paure e desideri che accompagna la maternità.Simonetta Fiori, "la Repubblica"

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Informazioni

Anno
2011
ISBN
9788858102015

Nella mente delle madri

1. La madre e suo figlio: una relazione di reciproco rispecchiamento

La mia unica consolazione, quando salivo a coricarmi, era che la mamma sarebbe venuta a darmi un bacio una volta che io fossi a letto. Ma quella buonanotte durava così poco, lei ridiscendeva così presto, che il momento in cui la sentivo salire, e poi nel corridoio a doppia porta trascorreva il lieve fruscio della sua veste da giardino in mussola azzurra dalla quale pendevano dei cordoncini di paglia intrecciata, era per me un momento doloroso. Esso era il preannuncio di quello che sarebbe seguito e nel quale mi avrebbe lasciato, sarebbe ridiscesa. E così, quella buonanotte che amavo tanto, mi spingevo ad augurarmi che arrivasse il più tardi possibile, perché si prolungasse il tempo di tregua durante il quale la mamma non era ancora venuta. A volte, quando dopo avermi baciato apriva la porta per uscire, io desideravo richiamarla, dirle «dammi un altro bacio», ma sapevo che subito avrebbe avuto l’espressione di disappunto, perché la concessione che faceva alla mia tristezza e alla mia agitazione salendo a darmi quel bacio, a portarmi quel bacio di pace, irritava mio padre che giudicava simili riti delle assurdità, e lei avrebbe voluto tentare di farmene perdere il bisogno, l’abitudine: altro che lasciarmi prendere quella di chiederle, quando già stava per oltrepassare la soglia, un nuovo bacio. Ora, vederla indispettita distruggeva tutta la calma di cui mi aveva riempito un istante prima chinando sul mio letto il suo viso amoroso, protendendo verso di me come un’ostia per una comunione di pace dalla quale le mie labbra avrebbero attinto la sua presenza reale e il potere di addormentarmi1.
I sentimenti e le emozioni di un figlio, che cerca nel bacio di sua madre il conforto che lo rassicuri prima di dormire; i desideri e i timori che abitano il suo animo nella necessità intima e quasi assoluta di quel bacio rappresentano il cuore di questa pagina, sintesi profonda dei sentimenti e delle emozioni che governano il legame tra una madre e un figlio. È un passo di Marcel Proust, Alla ricerca del tempo perduto. E le parole con cui l’adulto Marcel ricorda lo stato di solitudine che un bambino prova prima di addormentarsi sono significative per comprenderne le più profonde sfumature. La prima parola forte che usa è «consolazione»: l’attesa che sua madre torni e gli dia un bacio è la sola cosa che può compensare e colmare il vuoto che il piccolo Marcel avverte prima del sonno. Un nuovo contatto con lei, che per un attimo gli permetta di vincere il vuoto generato dalla sua assenza, è l’unica fonte di consolazione per il bambino. E tuttavia, quest’unica via di fuga dal senso di abbandono che lui prova, immediatamente gli appare non risolutiva del suo dolore: il momento della buonanotte sarebbe, infatti, durato assai poco e di nuovo sarebbe rimasto solo, senza di lei.
La lontananza dalla madre gli appare dunque incolmabile, come a ogni bambino quando va a dormire. Il buio improvvisamente si popola di presenze minacciose e immaginate e l’assenza di lei può diventare intollerabile. Lei, sua madre, è l’unica che può lenire quella tristezza, la sua agitazione, quasi che la pace potesse giungergli solo nel momento in cui si ricompone l’unità inscindibile che originariamente madre e figlio costituivano insieme. In momenti come questi, si attiva nel bambino il legame di attaccamento con la madre attraverso cui egli riesce a costruire e regolare il suo senso di sicurezza: è lei sola – ma talvolta anche il padre o persone familiari e rassicuranti – che lo garantisce contro i pericoli e le minacce che provengono dall’esterno, ma anche dall’interno. Quella che ogni bambino avverte quando va a dormire è la paura della perdita e per questo ogni rassicurazione è fugace: mille diventano i pretesti per prolungare all’infinito il momento del distacco – ogni madre lo sa bene. E quella presenza può tranquillizzarlo in un solo attimo e, in un solo attimo, può vanificare tutte le sue paure. Ma il conforto, la rassicurazione è reciproca. Anche la madre infatti si tranquillizza quando è vicina a suo figlio, e può invece diventare molto apprensiva quando è lontana da lui: solo quando è con sua madre il piccolo è veramente al sicuro.
Ogni madre comprende allora il paragone – poeticamente restituito da Proust – di quel bacio a «un’ostia per una comunione di pace». Solo loro due, la madre e il figlio, sanno che quella comunione di pace è ciò che suggella una vera e propria danza, che inizia fin dal loro primo incontro. È una danza a cui nessun altro può partecipare, che risponde a un ritmo che è solo loro, su una musica di cui solo loro conoscono la partitura: madre e figlio si muovono all’unisono e si compenetrano l’uno nell’altra sul piano mentale e fisico. Basta osservare una madre che allatta il proprio figlio o che asciuga il suo piccolo di otto mesi dopo avergli fatto il bagnetto. Il gioco di coprirgli la testa con l’asciugamano per poi toglierlo cantilenando in modo gioioso «bubusettete» e il bambino che ride estasiato guardando la madre e invitandola a ripetere il gioco, è un esempio semplicissimo e tuttavia assai esplicativo della natura del loro rapporto.

2. L’origine del mondo

Sono stato sempre affascinato dai cambiamenti psicologici che le donne affrontano dal momento in cui scoprono che stanno per diventare madri fino al primo anno di vita del figlio. Che cos’è che mi attrae di questa naturale, eppure misteriosa, fase della vita della donna? Di certo la curiosità latente in ognuno di noi per il luogo delle nostre origini, il corpo materno, appunto.
La curiosità per il corpo femminile fu ben espressa e rappresentata dal pittore francese Gustave Courbet che dipinse nel 1866 il discusso e famoso quadro L’origine del mondo. Gli era stato commissionato dal diplomatico turco-egiziano ­Khalil-­Bey, un personaggio piuttosto stravagante della Parigi dell’epoca, il quale voleva facesse parte della sua collezione di quadri raffiguranti nudi femminili. Il corpo della donna, il mistero che in esso è custodito e nascosto, è rappresentato in questo dipinto nella sua più cruda e naturalissima fisicità, nella sua incontestabile forza, in una verità che non richiede commenti. Ciò che Courbet porta in primo piano è infatti proprio l’imperscrutabilità del luogo di origine della vita. Tutto il dipinto è occupato dal genitale femminile, ed è significativo che l’autore non abbia raffigurato il volto della donna, quasi a volerne rappresentare l’essenza suprema solo attraverso la sua funzione generatrice: la donna come un grande grembo che costituisce l’origine del mondo e ne garantisce la continuità e la sopravvivenza.
Lo stesso tema è sottolineato in modo altrettanto forte nelle antiche sculture mediterranee raffiguranti donne dai larghi fianchi, con un grande addome – entrambi sproporzionati – e una testa molto piccola.
Nel museo di Capua sono custodite enormi statue femminili appartenenti al periodo neolitico e raffiguranti la Mater Matuta, grande divinità materna, il cui culto risale forse addirittura al paleolitico, che proteggeva la nascita e la vita in tutti i suoi aspetti. Il culto della Mater Matuta sopravvive in tutto il periodo etrusco, fino alla romanità. La Mater Matuta era anche, per i romani, dea del mattino, o dell’aurora, e protettrice delle partorienti.
È suggestivo considerare che dalla parola mater derivi anche la parola matrice, che indica il processo di origine delle varie forme di vita; e che matuta rimandi invece alla nascita del giorno, alla mattina che viene ad allontanare il buio della notte e porta la luce. Quando nasce un bambino si dice infatti che «è venuto alla luce», perché fino a un istante prima di nascere egli era immerso nel buio del grembo materno.
È la figura della donna generatrice della vita, costituita quasi esclusivamente da quell’interno inaccessibile, in cui avviene una trasformazione che potremmo dire alchemica: è questo il grande mistero consegnato all’uomo. Esemplari, a questo proposito, gli scritti della psicoanalista Melanie Klein che ben riporta le fantasie inconsce dei bambini sull’interno del corpo materno, il quale conterrebbe, oltre al pene paterno, anche mille altri bambini non nati, che esistono tuttavia in uno stato di fusione perfetta con la madre. A questo proposito Melanie Klein nel suo scritto Vita emotiva nella prima infanzia del 1952 scrive: «Tale bisogno (del lattante) è diretto principalmente a impossessarsi del pene paterno (assimilato anche a bambini e feci) che il bambino immagina essere contenuto nel corpo della madre»2.
Ma torniamo al quadro di Courbet. Lungi dall’essere un’immagine pornografica, è piuttosto un’immagine inquietante: il genitale femminile è al contempo il luogo dell’erotismo e della generatività; raffigura, al tempo stesso, in primo piano e con una descrittività estremamente dettagliata, il luogo della sessualità, ma anche il luogo in cui la vita prende forma, l’origine del mondo. E non solo. Nella sua esibizione così cruda, comunica un sottile senso di morte: sembra quasi un corpo di cera, un corpo scientificamente preparato per un’analisi deprivata di ogni possibile implicazione affettiva e poetica.
È forse per questa sua intrinseca contraddittorietà e per l’inquietudine che da essa ne deriva che il quadro, dopo essere stato venduto dal diplomatico egiziano – e acquistato non si sa da chi – scomparve. Rimase per lungo tempo in mani sconosciute fino a che, nel 1955, fu comprato dallo psicoanalista francese Jacques Lacan che lo tenne con sé fino alla sua morte. Solo successivamente fu trasferito al Museo d’Orsay dove è attualmente conservato.
Non sappiamo che cosa spinse Lacan ad acquistare il quadro. Dalla biografia di Elisabeth Roudinesco3, veniamo a sapere che Lacan teneva il quadro nella sua casa di campagna, e precisamente nel suo studio, insieme a molti altri oggetti di valore artistico. Quando lo acquistò, a nascondere quella che si considerava un’oscenità scandalosa, c’era un pannello di legno sul quale era dipinto un paesaggio. Insieme alla sua compagna, Sylvia, decise di far preparare un nuovo pannello, che si potesse rimuovere facilmente ogni volta che avessero voluto ammirare la rappresentazione courbetiana, che anche loro ritenevano non potesse essere esposta senza filtri.

3. L’archetipo della maternità

Nel mondo occidentale, permeato della cultura e della tradizione cattolica, l’immagine della maternità non può non rimandare alla figura della Madonna, che rappresenta il sommo archetipo della madre, modello e simbolo, fonte di ispirazione dei grandi pittori del Rinascimento. L’atto iniziale che avvia la maternità di Maria è l’Annunciazione: l’arcangelo Gabriele la raggiunge per comunicarle che è lei la prescelta e dal suo grembo nascerà il figlio di Dio. Quello dell’Annunciazione è un momento assai significativo e di grande valore simbolico per la cristianità, e per questo molte volte raffigurato, secondo la concezione religiosa, umana e storica di ciascun pittore.
In alcune rappresentazioni l’arcangelo occupa quasi tutto lo spazio nel quadro come a voler indicare che il verbo divino costituisce l’aspetto più rilevante del grande evento, mentre Maria, nella sua modestia, è relegata ad un ruolo che potremmo dire minore. L’angelo è infatti un ambasciatore divino, le cui grandi ali stanno ad indicare il lungo volo che ha dovuto intraprendere per raggiungere Maria e per comunicarle la buona novella. Nella grandezza del compito che all’angelo è affidato acquista particolare significato la lunga tromba che talvolta viene raffigurata nei dipinti e che sottolinea e amplifica il suo messaggio divino. Tuttavia secondo altre interpretazioni la vera attrice dell’Annunciazione – potremmo dire la protagonista – è Maria, che accoglie con modestia, ma anche con compiacimento e intima gioia, l’essere stata prescelta da Dio per compiere la missione che le è affidata e da cui dipendono i destini del mondo. La figura della Madonna nei dipinti è spesso ieratica, quasi a voler porre l’accento sugli aspetti di devozione e di santità più che su quelli materni e, ancor meno, sui tratti femminili.
Ma l’Annunciazione dell’angelo e il dogma dell’Immacolata Concezione che da essa deriva ha inciso profondamente sul modo di intendere la maternità nel mondo occidentale: la fecondazione di Maria non è conseguenza di un atto sessuale, carnale, ma frutto della spiritualità, pura espressione della volontà divina. La maternità, miracolo della vita, nella figura della Madonna diviene dunque frutto di un atto di alta spiritualità, e proietta sull’immagine della madre un’imprescindibile aura di santità. Viene così a definirsi un archetipo materno e femminile, ...

Indice dei contenuti

  1. Nella mente delle madri
  2. Storie di gravidanze
  3. Madri integrate
  4. Madri non integrate
  5. Madri ristrette
  6. Madri depresse
  7. Ringraziamenti