Il bandito
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Il bandito

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«Sono stato il capo di una famosissima banda e ho saccheggiato tutta la Macedonia. Sono un predone famoso, quell'Emo di Tracia al cui nome tremano intere province. Terone fu mio padre, brigante anch'egli celebre; fui nutrito di sangue umano, allevato in mezzo alle schiere della sua banda, erede ed emulo del valore paterno». Queste le vanterie di un bandito caduto in disgrazia, che espone il suo curriculum vitae ai membri della nuova banda cui spera di aggiungersi (Apuleio, Metamorfosi, 7, 5). Nel raccontare questa biografia immaginaria, il romanziere pone in risalto quelli che sente come i tratti essenziali della figura del brigante: una tradizione ereditaria di fuorilegge, un'«alterità» barbarica, l'affermazione della propria personale indipendenza. Questa specie di brigante radicata nella società romana, il bandito «isolato», è il tipo di fuorilegge in cui rientra la maggior parte dei banditi nella moderna opinione comune. La tipica immagine del brigante presente nelle nostre menti è quella del capo solitario alla testa di una piccola banda di gregari: Robin Hood, Louis Mandrin, Jesse James o Salvatore Giuliano.Acquista l'ebook e continua a leggere!

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Informazioni

Anno
2012
ISBN
9788858107232
Argomento
History

Il bandito

«Sono stato il capo di una famosissima banda e ho saccheggiato tutta la Macedonia. Sono un predone famoso, quell’Emo di Tracia al cui nome tremano intere province. Terone fu mio padre, brigante anch’egli celebre; fui nutrito di sangue umano, allevato in mezzo alle schiere della sua banda, erede ed emulo del valore paterno».
Queste le vanterie di un bandito caduto in disgrazia, che espone il suo curriculum vitae ai membri della nuova banda cui spera di aggiungersi (Apuleio, Metamorfosi, 7, 5). Nel raccontare questa biografia immaginaria, il romanziere pone in risalto quelli che sente come i tratti essenziali della figura del brigante: una tradizione ereditaria di fuorilegge, un’«alterità» barbarica, l’affermazione della propria personale indipendenza. Questa specie di brigante radicata nella società romana, il bandito «isolato», è il tipo di fuorilegge in cui rientra la maggior parte dei banditi nella moderna opinione comune. La tipica immagine del brigante presente nelle nostre menti è quella del capo solitario alla testa di una piccola banda di gregari: Robin Hood, Louis Mandrin, Jesse James o Salvatore Giuliano.
Possiamo confrontare questa figura di individuo solitario alla ricerca di un lavoro di tipo violento con il seguente resoconto di Plutarco sui problemi molto più grossi che affliggevano l’impero romano negli anni 80-50 a.C.:
La roccaforte dei pirati fu da principio la Cilicia. La loro potenza nacque lì, quasi a caso e inavvertitamente, ma prese coscienza ed ardire nel corso della guerra mitridatica [88-85 a.C.], quando si misero al servizio del re. Durante le guerre civili, mentre i Romani si azzuffavano tra di loro alle porte di Roma, il mare, rimasto abbandonato e senza sorveglianza, a poco a poco li attrasse, li fece uscire dai loro covi; ed essi non solo attaccarono i naviganti, ma si diedero a devastare isole e città costiere. Ormai anche personaggi potenti per ricchezza, appartenenti ad illustri famiglie o stimati più accorti di molti altri, si assodarono all’impresa e s’imbarcarono in affari di pirateria, pensando che quel mestiere avrebbe procurato loro, in qualche modo, fama e onori.
I pirati disponevano di scali un po’ dappertutto e di fari fortificati. Ad essi s’appoggiavano flottiglie non solo attrezzate per il loro particolare mestiere, dotate di equipaggi robusti, piloti abili, navi veloci e leggere, e rese temibili dalla loro forza [...]. La cattura di comandanti militari, le città prese e taglieggiate, costituivano un’onta per l’egemonia romana. [...] La potenza dei pirati si estese più o meno uniformemente su tutto il mare Mediterraneo così che divenne impossibile a qualsiasi mercante navigare e percorrerlo (Plutarco, Vita di Pompeo, 24, 1-3, 4; 25, 1, trad. di C. Carena).
Qui il brigantaggio è diventato qualcosa di assai diverso. Si è evoluto in una minaccia allo stato su larga scala, una forma più permanente e collettiva di violenza, provocata dalla anomala coesistenza di più poteri statali nel Mediterraneo, fenomeno che permise e favorì la sua fioritura.
Infine, possiamo accostare la pirateria descritta da Plutarco a questo racconto dello storico Ammiano Marcellino sui banditi isaurici nell’età tardoimperiale:
Infatti anche gli Isauri, i quali di solito alternano spesso periodi di pace con improvvise scorrerie in cui sconvolgono ogni cosa, spinti dall’audacia che, favorita dall’impunità, si sviluppava in forme più gravi, passarono da azioni di brigantaggio nascoste e rare a massicce imprese di guerra. Lungamente avevano infiammato i loro animi ostili con moti incessanti, ma erano stati profondamente colpiti dal trattamento indegno riservato, come essi andavano dicendo pubblicamente, ad alcuni loro connazionali, i quali, fatti prigionieri, contrariamente ad ogni consuetudine, erano stati esposti alle fiere durante uno spettacolo in un anfiteatro di Iconio, città della Pisidia. [...] In massa si volsero come un turbine dalle montagne scoscese ed altissime verso i luoghi vicini al mare dai quali, nascosti in zone inaccessibili e remote ed in convalli, all’avvicinarsi della notte – la luna ancora crescente non era in tutto il suo fulgore – osservavano i naviganti. [...] Quindi, poiché ben presto con il passar del tempo il mare non offriva alcuna preda, abbandonata la costa, si trasferirono nella parte della Licaonia confinante con l’Isauria ed ivi, bloccate le strade con numerosi posti di guardia, si saziavano delle ricchezze dei viaggiatori. [...] Sebbene i soldati si sforzassero di respingere, con le forze di cui disponevano, i barbari che sempre più dilagavano, alle volte in schiere compatte, altre in gruppi isolati, tuttavia erano vinti dalla forza della moltitudine. Questa infatti, nata e cresciuta tra le profonde e sinuose gole dei monti, vi si aggirava come se fossero pianure che non presentano difficoltà per i movimenti, attaccando da lontano con i giavellotti quanti si facevano innanzi e spaventandoli con urla orrende (Ammiano Marcellino, 14, 2, 1-6, trad. di A. Selem).
Quando Ammiano prosegue riportando il verificarsi di massicce ondate di banditismo nell’Isauria (siamo negli anni 350-70), risulta evidente che ciò che sta descrivendo è un vero e proprio fenomeno storico di lunga durata, una sorta di autonomia regionale da lui etichettata come «banditismo» o latrocinium. In questo caso l’autonomia regionale era caratterizzata dal brigantaggio di massa nelle zone montuose dell’Isauria e della Cilicia, nell’Anatolia sudorientale. Era una zona dove la violenza aveva carattere endemico, e rappresentò una piaga che afflisse sempre l’Impero romano, come poi quello bizantino. Ammiano, quindi, ci fornisce un buon esempio di un brigantaggio che si colloca all’estremo opposto rispetto ai banditi isolati e solitari dell’immaginario popolare: ci informa dell’esistenza di intere regioni e popoli che, dal punto di vista dello stato romano, erano considerati «di briganti». I signori degli altipiani e i dinasti dell’Isauria erano davvero dei banditi, ma di proporzioni tali da rendere il bandito «isolato» come Emo di Trada, che rappresenta il nostro stereotipo del brigante, insignificante. Ma, data la gamma di possibilità indicateci dai tre casi di brigantaggio descritti da Apuleio, Plutarco ed Ammiano, si pone a questo punto un problema di definizioni. Che cosa, o chi è esattamente un bandito?
In primo luogo, il banditismo è una forma di potere personale. Qualche rara volta è accaduto che dei banditi abbiano trasformato il loro potere in forme di potere più istituzionalizzate, come quella di uno stato. Ma finché i banditi rimangono tali, essi rappresentano un’affermazione del singolo, una sorta di «protesta individuale», come l’ha definita uno storico moderno. Questo potere individuale, basato sul carisma, sull’impressione destata dall’aspetto, sulla forza bruta e su legami di tipo personale (familiari, di amicizia o clientelari) è probabilmente una delle originarie forme di potere conosciute dall’uomo. Come tale, è sia logicamente che storicamente anteriore allo stato. Se si esaminassero le società senza stato, come, ad esempio, quelle descritte nell’epica omerica, si troverebbe che questa forma di potere costituisce, in quel tipo di società, la norma, ed è accettata da tutti i membri come il solo modo di rapportarsi gli uni agli altri. Anzi, mancava del tutto la possibilità che essa potesse essere definita in qualche altro modo da qualche altra forma di potere concorrente. Per essere etichettato come «inaccettabile» il banditismo doveva essere soppiantato da forme di potere istituzionalizzate, come quella dello stato, che si opponevano a esso, volevano subordinarlo, addomesticarlo, e, in ultima analisi, eliminarlo. Nella nuova situazione creatasi con lo stato, le forme di potere personale in competizione tra loro furono delegittimate, e ad alcune di esse fu applicata la qualifica di minacce di ritorno all’anarchia prestatale. Da questo punto di vista, quindi, la sensazione era che, nella gamma dei possibili tipi di potere posti in graduatoria secondo la loro importanza ed il loro contenuto di eticità, il banditismo si collocasse nel punto più basso. Sant’Agostino espresse così il concetto: «Una volta allontanata la giustizia, che cosa sono i regni se non grandi bande di briganti? E che cosa sono le bande di briganti se non piccoli regni?» (La città di Dio, 4, 4). Ma quel «regno», lo stato, deve innanzitutto esistere, prima che un genere corrotto di potere chiamato banditismo, e un ruolo sociale delinquenziale, quello del bandito, possano essere riconosciuti come tali. Se osservata da un’altra prospettiva, comunque, la figura del bandito può fornire allo storico moderno un buon indice della maggiore o minore presa dello stato sul complesso della società. Studiando i banditi nel mondo romano, non solo si capisce di più di queste «riserve arcaiche» di potere personale nel mondo romano, ma si comprende anche meglio la natura dello stesso stato romano.
Nella terminologia formale latina, i banditi erano generalmente definiti latrones (singolare, latro), e il banditismo come latrocinium. In quella metà del mondo romano dove le élite sociali e politiche usavano il greco come koine, i termini greci corrispondenti, per designare i banditi e il brigantaggio erano lestai (singolare, lestes) e lesteia. Come abbiamo appena detto, il punto di riferimento più antico per questi termini era una forma di potere prestatale, l’anarchia storicamente antecedente alla nascita dello stato. Ciò è espresso in forma simbolica nei racconti mitici sulla fondazione delle grandi comunità politiche ateniese e romana. Nel primo caso, il leggendario fondatore dell’Attica, Teseo, sconfigge dei lestai prima di dirigere la grande unificazione mitica (synoikismos) dell’Attica, la fondazione dello stato ateniese (Plutarco, Vita di Teseo, 6, 4; 10, 2). Nel caso di Roma, sono Romolo e Remo che abbandonano il loro ruolo di pastori-banditi nel processo di fondazione della nuova città (Livio, 1, 4, 9; 1, 5, 3; Eutropio, 1, 1-3).
Il problema, per i pensatori romani, era allora quello di capire attraverso quale processo, o per il possesso di quali requisiti, le società civilizzate si distinguevano da quelle primitive. Quando Cicerone considerava la giustizia il valore etico fondamentale che permetteva alle società umane di funzionare, ammetteva che perfino le bande dei delinquenti obbedivano alle sue «leggi generali». In più, egli tracciava una distinzione chiaramente quantitativa fra banditismo e statualità: «Tale essendo dunque l’effetto della giustizia, da consolidare ed aumentare anche la potenza dei briganti, quanto grande penseremo che sia la sua forza in un ordine legale, giuridico e politico?» (Dei doveri, 2, 11, 40). Ma non era soltanto una «giustizia più grande» a distinguere lo stato dal brigante. La distanza che li separava era, agli occhi di Cicerone, qualitativamente assoluta, come quando poneva a Clodio, suo nemico personale e politico, la domanda retorica: «Che cos’è, infatti, una cittadinanza? Ogni raccolta di uomini, anche feroci e selvaggi? Ogni moltitudine, anche di fuggitivi e ladroni riuniti in un solo luogo? Non c’è dubbio, dirai di no» (I paradossi degli stoici, 27). E ancora, per quanto la giustizia esigerebbe un trattamento imparziale, c’era un’assoluta diversità tra questo semplice comportamento e la costituzione di uno stato. Il caos del potere personale che non faceva affidamento che su un’etica di fair play per realizzare la coesione sociale è caratteristico, per Cicerone, dell’assenza di qualsiasi tipo di stato: vale a dire, le norme concordate all’interno di un gruppo di uomini «non recano il nome di leggi più che se dei briganti ne avessero stabilite nelle loro bande» (Delle leggi, 2, 5, 13). In effetti, mettendo a nudo l’artificialità della cultura e delle norme morali si arriverebbe a riconoscere che c’erano ancora alcuni popoli «barbarici» per i quali il banditismo era un’occupazione onorevole.
Ma secondo la morale dominante chi si dava al banditismo lo faceva contro le proprie intime convinzioni etiche: se avesse avuto la possibilità di scegliere, il bandito avrebbe preferito acquisire dei beni «con mezzi onorevoli» piuttosto che rubando. Secondo le generali affermazioni di una moralità statale, anche chi aveva fatto il brigante per tutta la vita non viveva più in uno spazio etico separato da quello degli altri uomini, i sudditi degli stati. Più precisamente veniva espressa, da parte di senatori moralisti come Seneca, ad esempio, l’idea...

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