Il plurilinguismo
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Il plurilinguismo

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Il plurilinguismo

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Il plurilinguismo è un fenomeno antico quanto la torre di Babele, si potrebbe dire, diffuso in Europa e fuori d'Europa. Può riguardare una persona o una società, una regione, uno stato o un testo, anche letterario, redatto in più lingue. È dunque una tematica complessa che interessa un ventaglio di situazioni e prospettive diverse, che possono coinvolgere non solo lingue ufficiali ma anche dialetti, con la possibilità di estendersi alle variazioni di una stessa lingua. Carla Marcato muove da questa pluralità semantica del fenomeno per una indagine a tutto campo sul bi- e plurilinguismo individuale e il bi- e plurilinguismo collettivo.

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Informazioni

Anno
2012
ISBN
9788858105474

1. Parole e concetti

1.1. Plurilinguismo

Il plurilinguismo come concetto rientra nel quadro della tematica relativa alla ‘mescolanza linguistica’, che già sul finire del XIX secolo si era imposta nella ricerca linguistica3. Tale problematica mette in crisi l’idea di una lingua monolitica e dell’uomo come individuo monolingue e dà il via a studi sulle condizioni e gli effetti del bilinguismo e del plurilinguismo.
Pur essendo ormai un termine ben noto e assai usato, plurilinguismo è vocabolo di recente introduzione in italiano e risale al 1951 (in lingua inglese plurilingualism è datato 1952-19534, precedente è multilingualism, del 1940).
Il termine nasce nell’ambito della critica letteraria ad opera di Contini5, il quale definisce le categorie plurilinguismo e unilinguismo come le due linee fondamentali che percorrono la tradizione letteraria italiana, che egli individua rispettivamente in Dante e in Petrarca. La distinzione si basa sul fatto che la lingua6 dantesca è caratterizzata da un lessico assai variato, per la compresenza di diversi livelli e registri della lingua:
Dei più visibili e sommarî attributi che pertengono a Dante, il primo è il plurilinguismo. Non si allude naturalmente solo a latino e volgare, ma alla poliglottia degli stili e, diciamo la parola, dei generî letterarî [...] Ecco in Dante convivere l’epistolografia di piglio apocalittico, il trattato di tipo scolastico, la prosa volgare narrativa, la didascalica, la lirica tragica e la umile, la comedìa. In secondo luogo, pluralità di toni e pluralità di strati lessicali va intesa come compresenza: fino al punto che al lettore è imbandito non solo il sublime accusato o il grottesco accusato, ma il linguaggio qualunque (Contini 1970: 171-172).
Rispetto alla lingua dantesca7, quella petrarchesca è estremamente selezionata:
Alle qualificazioni ora riassunte fanno contraltare altrettante e inverse di Petrarca [...] In primo luogo, dunque, unilinguismo, se non è dir troppo. Posta quella cultura, il bilinguismo con frontiere ben segnate è la soluzione più rigorosa [...] Pertanto, se non monoglottia letterale, è certa l’unità di tono e di lessico, in particolare, benché non esclusivamente, nel volgare (Contini 1970: 173-174).
Un confronto, dunque, tra una lingua con una notevole differenziazione e una lingua «caratterizzata da una relativa povertà lessicale, in dipendenza da una gamma di situazioni poetiche selezionate, legate al tema amoroso e ad un paesaggio ideale» (Beccaria 2004 s.v. monolinguismo)8. Come si può osservare, il plurilinguismo in tal caso si riferisce a una prospettiva variazionistica della lingua, nel senso che una lingua si presenta come insieme di elementi mutevoli9.
Le categorie plurilinguismo / unilinguismo, definite da Contini come espressione dei tratti caratterizzanti lingua dantesca e lingua petrarchesca, sono riprese e discusse da Pasolini che utilizza il termine plurilinguismo vs. monolinguismo:
La contrapposizione di plurilinguismo dantesco a monolinguismo petrarchesco era [...] parzialmente errata. Se mai c’è da contrapporre monolinguismo a monolinguismo: un monolinguismo eletto e selettivo (Petrarca) e un monolinguismo tonale (Dante)10.
Rispetto all’ambito della critica letteraria, in quello della ricerca linguistica il termine plurilinguismo viene assunto in Italia alcuni anni dopo. Ne parla Vittore Pisani in uno scritto del 1962 esprimendo la sua opinione:
Bilinguismo (o meglio plurilinguismo) è la condizione fondamentale di ogni parlare, cioè a dire di ogni comunicazione linguistica che ogni uomo rivolge ad altri uomini [...] Ed ognuno di noi è plurilingue nella prassi quotidiana, del che è prova il passare dal dialetto alla lingua nazionale, dall’espressione famigliare a quella accademica, che sono i casi più comuni11.
È, anche questa, una posizione in cui ritorna l’impiego del termine riferito alla varietà della lingua. D’altra parte anche in quegli anni, nel contesto della linguistica, con plurilinguismo si intende la condizione di un individuo o di una collettività che parla più lingue, intese come lingue con strutture distinte, come potrebbero essere quelle che un non specialista chiamerebbe ‘lingue straniere’.
Se, in certa prospettiva di ricerca, nel plurilinguismo assume importanza la ‘distanza’ tra le lingue in oggetto, in un’altra, invece, tale distanza, ovvero diversità tra le lingue in contatto, non conta e quindi rientrano nella problematica plurilingue anche le varietà di una stessa lingua, essendo interessate dal contatto linguistico e dai fenomeni dell’interferenza. Weinreich, a proposito di bilinguismo, ma con la precisazione che le osservazioni sono da estendere al plurilinguismo12, «la pratica cioè dell’uso alternativo di tre o più lingue»13, scrive:
Considereremo qui il contatto linguistico e il bilinguismo nel senso più lato, senza specificare il grado di diversità tra le due lingue. Ai fini del nostro studio è irrilevante che i due sistemi siano ‘lingue’, ‘dialetti della stessa lingua’ o ‘varietà dello stesso dialetto’. Quanto maggiore è la differenza tra i sistemi, cioè quanto più numerose sono le forme e le strutture che si escludono reciprocamente in ciascuno di essi, tanto più crescono i problemi legati al loro apprendimento e l’area potenziale di interferenza. Ma i meccanismi dell’interferenza, a prescindere dalla quantità dell’interferenza stessa, saranno sempre gli stessi, che il contatto sia tra cinese e francese o tra due sottovarietà di inglese usate da famiglie vicine. E benché non si dia per solito il nome di bilinguismo alla padronanza di due sistemi così simili, il termine nel suo senso tecnico potrebbe agevolmente essere esteso a coprire anche questi casi di contatto (Weinreich 1974: 4-5).
Dunque, si è imposta l’accezione di plurilinguismo come problematica complessa che riguarda non solo le situazioni in cui sono presenti lingue diverse ma anche quelle apparentemente monolingui, con dialetti e varietà (diatopiche o geografiche, diastratiche o sociali, diafasiche o situazionali), ovvero la prospettiva variazionistica. È questo anche il modo di concepire il plurilinguismo da parte di vari studiosi. Si richiama in particolare la posizione di Wandruszka – Paccagnella, in cui il plurilinguismo è intrinseco all’idea di lingua come «polisistema»14:
Il plurilinguismo è già la situazione della lingua madre; la lingua della scuola è subito una p r i m a seconda lingua, una lingua di cultura trans-regionale, trans-sociale, successiva alla lingua dell’infanzia regionalmente, socialmente, culturalmente limitata. C’è uno scarto fra la lingua in uso nel lavoro, nelle relazioni sociali e quella parlata nella cerchia familiare; c’è un cambio di registro dalla lingua quotidiana «feriale» a quella «domenicale», dalla lingua di cultura a quella d’uso. Il plurilinguismo si estende a tutta la gamma dello spettro socioculturale. Le lingue non sono monosistemi: ogni lingua è, in realtà, un conglomerato di lingue, ogni lingua è un polisistema (Wandruszka – Paccagnella 1974: 10-11).
L’ampia accezione di plurilinguismo si affianca a quella più ristretta secondo la quale il riferimento è all’uso di lingue diverse, «cioè non comunicanti direttamente tra loro» (Francescato 1994: 95). Dall’esigenza di distinguere in qualche modo tra le accezioni di plurilinguismo, anche in rapporto con i diversi statuti delle lingue implicate in situazioni di plurilinguismo, dipendono particolari usi terminologici. In particolare si richiama Denison (1985: 21) per il quale plurilinguismo è da intendersi come «la competenza che un individuo può avere in più lingue o in più dialetti senza specializzazione di funzione», mentre con pluriglossia15 allude alla specializzazione di funzione, vale a dire a una distribuzione complementare degli ambiti d’uso. La casistica che rientra nella tematica del plurilinguismo è assai varia e la terminologia relativa è altrettanto variabile, e ciò non aiuta a districarsi all’interno di un così multiforme insieme. Si veda, ad esempio, un’altra possibile differenziazione terminologica richiamata da Dubois (1979 s.v. bilinguismo): «nella misura in cui un poliglotta qualifica un individuo che parla più lingue per averle apprese individualmente, mentre plurilingue è un termine più generale, si è pensato di riservare il termine diglossia al caso in cui il poliglotta parla, oltre alla lingua madre, solo una lingua straniera»16.

1.2. Tipi di plurilinguismo

Una conseguenza dei diversi aspetti che rientrano nell’ambito del plurilinguismo è il progressivo e necessario lavoro di suddivisione tra un tipo e l’altro, che richiama il ventag...

Indice dei contenuti

  1. Premessa
  2. 1. Parole e concetti
  3. 2. Il bi- e plurilinguismo individuale
  4. 3. Il bi- e plurilinguismo sociale
  5. 4. Il contatto linguistico
  6. 5. Status di un sistema linguistico
  7. 6. Plurilinguismo nell’Unione Europea
  8. 7. Plurilinguismo e neoplurilinguismo in Italia
  9. 8. Plurilinguismo letterario
  10. Bibliografia