V. Il mestiere
Per parlare del loro lavoro, ma anche della propria condizione, le ragazze, che fossero «occulte», di étuve o di bordello, impiegavano il termine métier, «mestiere». Intendevano con questo l’essenziale: la loro attività – che i robins, gli scribacchini, qualificavano come ars meretricalis – con le sue pratiche erotiche, ma anche tutto ciò che permetteva di esercitarla (contesto ambientale, normativo, sociale) che la donna assicurava in proprio o in seno ad una piccola comunità di vincoli, di profitti, di condivisioni e di conflitti, e che era necessario abbandonare relativamente presto, poiché l’avanzare dell’età costringeva a coraggiose riconversioni. Questo è l’itinerario qui proposto; esso ci conduce dall’analisi materiale dei luoghi alle modalità di funzionamento di queste officine e, in un secondo tempo, dai modi di lavorare e di vivere di queste ragazze ai loro destini ultimi e divergenti.
«Buona strada» e «grande casa»
Il cuore di quest’universo – il prostibulum publicum –, è rappresentato in senso giuridico sia da una strada, o un insieme di strade – modello soprattutto meridionale – sia da una «grande casa» (casa chiusa), versione piuttosto nordica della cosa, sia, infine, da un insieme misto di edifici postribolari agglomerati al centro di un quartiere di taverne, locande e pensioni.
La «buona strada» (strada riservata) delle città meridionali (la pobla de les dones, el publich, el partit, la puteria) ha una diversa importanza a seconda dell’entità del centro. Ad Avignone si tratta essenzialmente di una lunga strada che attraversa il Borgo nuovo da nord a sud e dei vicoli che se ne dipartono1. Al centro si apre una piazzetta quadrata alberata, provvista di un pozzo. Gli alloggiamenti delle donne sono disseminati lungo queste strade, che annoverano anche le loro taverne, le loro étuves postribolari, le loro accoglienti locande. A Perpignan il partit si sviluppa all’interno di una cinta che racchiude giardini, boschetti, piccole camere in forma di padiglioni isolati e case che contengono stanze e saloni2. Il publich di Valenza ha suscitato nel 1500 le simpatie del cavaliere borgognone Antoine de Lalaing:
Il luogo delle ragazze pubbliche, grande come una piccola città, è cinto tutt’intorno di mura in cui si apre un’unica porta. Qui si trovano tre o quattro strade piene di casette, in ciascuna delle quali si trovano ragazze alquanto vezzose vestite di raso e di velluto, e saranno in tutto due o trecento ragazze. Le loro casette sono ornate ed arredate di buone stoffe; vi sono taverne ed osterie. A causa del caldo non si può vedere così bene il luogo di giorno come al buio della sera, perché è allora che esse si siedono al loro uscio, con buone lampade appese accanto per poterle osservare a piacimento3.
Ecco infine il partit di Barcellona, visitato a metà del XVI secolo da Thomas Platter:
Si tratta di una stradina lunga e stretta chiusa da un gran portone. Sui due lati di questa stradina, al pian terreno, una serie di camerette si susseguono una all’altra come celle di un convento. Se ne contano una quarantina. Ogni prostituta risiede in uno di questi pied-à-terre, ciascuna nel proprio. La stradina resta aperta per tutta la giornata. Le ragazze acquistano i loro pasti da un oste del quartiere, cui versano il prezzo del vitto4.
Questo modello «meridionale» si ritrova anche in luoghi distanti dal Mediterraneo. Le «camere per ragazze» lionesi, possedute dal tintore Pierre Barsuraube non lontano dal Rodano nel 1493, si celano all’interno di un’area recintata con case, granai e giardini – eco modesta del partit perpignanese5. A Londra infine, sulla riva destra del Tamigi, le bianche stews di Southwark, una dozzina in tutto, hanno ciascuna un giardino affacciato sul fiume e sono circondate da taverne e abitazioni, tutte poste sotto la signoria del vescovo di Winchester6.
Quali che ne siano le dimensioni, la forma e la tipologia, talvolta agreste e talvolta urbana, le «buone strade» contengono sempre due elementi fondamentali, le boticas e gli alberghi. Le prime, abitazioni personali delle prostitute, possono servire alla consumazione del rapporto. I secondi, la o le case di padres e madres, riuniscono i servizi necessari alla vita collettiva, stalle, cucine, sale comuni7.
La «grande casa» (o «buona casa», «casa comune», «casa delle ragazze», Châtel Joyeux, Château Vert, Chateau Gaillard, Castelletto, Couvent Rouge, ecc.) ospita al suo interno tutti gli elementi che nella buona strada si trovano distinti. Si beve e si conversa nel salone, ci si corica nelle stanze delle prostitute che vi abitano. Se nelle cittadine di terz’ordine la «buona strada» può essere semplicemente una viuzza chiusa a vicolo cieco, la «grande casa» in centri dello stesso calibro può limitarsi ad un edificio molto modesto; verso il 1500 il bordello d’Alès ha soltanto quattro camere, come anche quello di Tarascona8. A Würzburg, nel 1487, la casa è su due piani; al pianterreno si trova un’ampia sala affiancata dalla cucina, mentre il piano superiore dispone di sei camere ammobiliate9.
A proposito dello Château Vert di Tolosa, in un procedimento del 1462 si legge che esso «è grande, spazioso, con vari edifici, camere e altre case, ed è tutto chiuso in modo tale che di notte nessuno può entrarvi per portare offesa alle ragazze»10. Situazione analoga a Monaco, ove l’imponente edificio, attorniato da un giardino cinto di mura, accoglieva su ciascuno dei suoi due piani una grande sala riscaldata circondata da dodici camerette. Il bordello di Digione, grazie alla dettagliatissima contabilità relativa alla sua edificazione nel 1446 e alla sua ricostruzione nel 1517 è sicuramente tra i meglio conosciuti in Occidente. Nel 1446 la municipalità decide di acquistare in Rue des Petits-Champs una casa con cortile, porticato, giardino e pertinenze al prezzo di 400 lire, per farne il nuovo prostibulum. Le spese di ristrutturazione (quasi 300 lire) permettono di sapere che l’edificio comprende, oltre a un salone e a una sala posteriore, 20 camere – dieci ad ogni piano –, una galleria alta ed una bassa e una scala con ringhiera per salire alle camere superiori. Queste hanno tutte un caminetto, una finestra, e – sicuramente – un gabinetto, e ciascuna è chiusa da una solida porta a doppia serratura.
La ricostruzione del 1517 mostra un edificio grosso e massiccio, di 25 metri di lato e con muri spessi tre piedi; esso contiene, oltre alla sala di guardia, 14 camere di 3 x 3,5 metri, dotate ciascuna del suo caminetto, della sua finestra protetta da sbarre di ferro, del suo gabinetto; alcune hanno due letti, e tutte hanno un nome e le pareti imbiancate a calce. Sulla cornice della porta principale, in pietra, è posto lo stemma della città (così come a Strasburgo, a Tarascona e altrove)11.
L’organizzazione delle étuves sembra obbedire a un’analoga ripartizione degli spazi: oltre agli impianti di riscaldamento e alla legnaia, all’alloggio del gestore e dei suoi servitori, la grande sala in cui si preparano i bagni è circondata da un certo numero di camere, provviste di letti in numero variabile da uno a quattro. Alcune comunicavano con la sala, come si vede peraltro nelle numerose miniature del XV secolo che raffigurano questi stabilimenti di bagni e di piacere.
Le «grandi case» causano molti meno problemi alle autorità di quanto non facciano le «buone strade». Lo stato di semi-reclusione delle ragazze che vi lavorano deve esser fonte di pesante sofferenza (ma pensiamo agli apprendisti, che molto spesso non escono praticamente mai dall’alloggio del maestro); fortunatamente il giardino, presente ovunque, contribuisce a temperare la monotonia dei giorni.
Firenze, Pisa e Venezia offrono come prostibulum un complesso di edifici, cortili, vicoli e botteghe, con le loro case chiuse (a Firenze l’albergo del Frascato, la casa di Betto di Zanobi, l’albergo di Malacucina), i loro portici e le loro taverne. A Pisa il Castelletto è un complesso insieme di palazzi, cortili, pertinenze e giardini. Il Castelletto veneziano ha struttura simile; dalla via principale si dipartono diverse calli che sboccano spesso al Canal Grande. Vi si trovano al contempo ostelli e voltae sive appothecae affittate alla giornata. Le strade da fiera parigine nell’XI e nel XV secolo dovevano presentare un aspetto simile, con le loro successioni di catapecchie, di taverne e soprattutto di locande le cui sale comuni facilitavano gli incontri e animavano l’insieme12.
Ma in quali orari, e secondo quale calendario? Abbiamo potuto constatare che le norme che limitavano l’accesso ai luoghi di piacere, prostibulum e étuves, non erano diverse da quelle che si applicavano alle taverne e alle locande; come alla locanda, il cliente che giunge al crepuscolo, può legittimamente trascorrere la notte con una ragazza (in Germania, come in Castiglia o in Borgogna).
Lo svolgimento della giornata di lavoro è ricalcata probabilmente anche su quello del laboratorio artigianale o della bottega. Ne abbiamo indizio da un articolo del Codice di diritto consuetudinario di Southwark relativo alle stews, che proibisce l’accesso ai bagni alle donne, nei giorni di festa, tra San Michele [il 29 settembre, N.d.T.] e la Candelora [il 2 febbraio, N.d.T.] dalle 8 alle 11 del mattino e dall’1 alle 5 di sera. Dalla Candelora a San Michele invece, è fatto divieto tra le 6 e le 11 di mattina e tra l’1 e le 6 di pomeriggio. La durata dell’orario di lavoro effettivo varia dunque ampiamente secondo la stagione (...