Comunità e società
eBook - ePub

Comunità e società

  1. 304 pagine
  2. Italian
  3. ePUB (disponibile sull'app)
  4. Disponibile su iOS e Android
eBook - ePub
Dettagli del libro
Anteprima del libro
Indice dei contenuti
Citazioni

Informazioni sul libro

«Oltre a essere un classico tra i classici della sociologia, Comunità e società è l'espressione precisa ed esemplare – ancora una volta classica – di un'epoca storica e, al suo interno, della particolare e intricata vicenda della Germania tra la fine del XIX secolo e i primi decenni di quello successivo. Questa storicità del testo non ne fa però un reperto archeologico, interessante solo per capire un tempo passato, e perciò davvero significativo solo al suo interno. Essa è importante perché, grazie alla sua veste sociologica, nomina un problema politico che da allora in poi definisce la nostra contemporaneità. La sua sociologia delle contraddizioni del presente è una delle prime e compiute espressioni di un cambiamento radicale nella modalità di produrre teoria politica».
Dall'Introduzione di Maurizio Ricciardi

Domande frequenti

È semplicissimo: basta accedere alla sezione Account nelle Impostazioni e cliccare su "Annulla abbonamento". Dopo la cancellazione, l'abbonamento rimarrà attivo per il periodo rimanente già pagato. Per maggiori informazioni, clicca qui
Al momento è possibile scaricare tramite l'app tutti i nostri libri ePub mobile-friendly. Anche la maggior parte dei nostri PDF è scaricabile e stiamo lavorando per rendere disponibile quanto prima il download di tutti gli altri file. Per maggiori informazioni, clicca qui
Entrambi i piani ti danno accesso illimitato alla libreria e a tutte le funzionalità di Perlego. Le uniche differenze sono il prezzo e il periodo di abbonamento: con il piano annuale risparmierai circa il 30% rispetto a 12 rate con quello mensile.
Perlego è un servizio di abbonamento a testi accademici, che ti permette di accedere a un'intera libreria online a un prezzo inferiore rispetto a quello che pagheresti per acquistare un singolo libro al mese. Con oltre 1 milione di testi suddivisi in più di 1.000 categorie, troverai sicuramente ciò che fa per te! Per maggiori informazioni, clicca qui.
Cerca l'icona Sintesi vocale nel prossimo libro che leggerai per verificare se è possibile riprodurre l'audio. Questo strumento permette di leggere il testo a voce alta, evidenziandolo man mano che la lettura procede. Puoi aumentare o diminuire la velocità della sintesi vocale, oppure sospendere la riproduzione. Per maggiori informazioni, clicca qui.
Sì, puoi accedere a Comunità e società di Maurizio Ricciardi, Ferdinand Tönnies, Giorgio Giordano in formato PDF e/o ePub, così come ad altri libri molto apprezzati nelle sezioni relative a Scienze sociali e Cultura popolare. Scopri oltre 1 milione di libri disponibili nel nostro catalogo.

Informazioni

Anno
2014
ISBN
9788858116128

Capitolo secondo. Teoria della società

19. Il fondamento negativo. L’eguaglianza di valore. Il giudizio oggettivo

La teoria della società muove dalla costruzione di una cerchia di uomini che, come nella comunità, vivono e abitano pacificamente l’uno accanto all’altro, ma che sono non già essenzialmente legati, bensì essenzialmente separati, rimanendo separati nonostante tutti i legami, mentre là rimangono legati nonostante tutte le separazioni. Di conseguenza, qui non si svolgono attività che possano venire derivate da un’unità a priori esistente necessariamente, e che quindi esprimano anche la volontà e lo spirito di questa unità nell’individuo, in quanto compiute per mezzo suo, realizzandosi tanto per gli associati con l’individuo quanto per l’individuo stesso. Piuttosto, in questo ambito ognuno sta per conto proprio e in uno stato di tensione contro tutti gli altri. I campi di attività e di potenza sono nettamente delimitati tra loro, cosicché ognuno rifiuta all’altro contatti e ammissioni, che sono considerati quasi come atti di ostilità. Tale atteggiamento negativo è il rapporto normale tra questi «soggetti di potenza», e designa la società nello stato di quiete. Nessuno farà qualcosa per l’altro, nessuno vorrà concedere e dare qualcosa all’altro, se non in cambio di una prestazione o di una donazione reciproca che egli ritenga almeno pari alla sua. È anzi necessario che essa gli sia più gradita di ciò che avrebbe potuto tenere per sé, poiché soltanto l’ottenimento di un oggetto che appare migliore lo indurrà a privarsi di un bene. Ma se ognuno è partecipe di questa volontà, è evidente che la cosa a può essere per il soggetto B migliore della cosa b, ed egualmente la cosa b migliore della a per il soggetto A; ma senza queste relazioni non può contemporaneamente a essere migliore di b e b migliore di a. Si pone a questo punto il problema di stabilire in quale senso si possa parlare di bontà oppure di valore delle cose, indipendentemente da tali relazioni.
Tale problema può venir risolto, rispondendo che nella concezione qui proposta tutti i beni vengono presupposti come separati, così come i loro soggetti – ciò che uno possiede e gode, è posseduto e goduto con esclusione di tutti gli altri; non esiste in realtà alcun bene che sia tale per tutti. Un tale bene può esistere in virtù di una finzione dei soggetti; ma questa a sua volta non è possibile altrimenti che fingendo o costruendo un soggetto comune e la sua volontà, a cui questo valore comune deve venir riferito. Ma tali finzioni non vengono inventate senza un motivo sufficiente. Un motivo sufficiente è già presente nel semplice atto della consegna e dell’accettazione di un oggetto, in quanto ciò dà luogo a un contatto e alla costituzione di un terreno comune che viene voluto da entrambi i soggetti e che permane per tutta la durata della «transazione». Questa durata può essere immaginata come brevissima o eguale a zero, oppure anche estesa a piacimento. In questo periodo l’oggetto che si sta staccando dalla sfera di A, diciamo, ha cessato di essere in tutto e per tutto sottoposto a questa volontà o a questo potere, e non ha ancora cominciato a essere sottoposto in tutto e per tutto alla volontà e al potere di B: esso sta ancora sotto un potere parziale di A e già sotto un potere parziale di B. Esso dipende cioè da entrambi i soggetti, nella misura in cui le loro volontà possono essere dirette nello stesso senso in rapporto a esso, come avviene finché dura la volontà di dare e di ricevere; esso è un bene comune, un valore sociale. La volontà associata e comune indirizzata verso di esso può essere pensata come una volontà unitaria che, fino al momento dell’esecuzione del duplice atto, ne esige da ciascuno il compimento. Essa deve venir pensata come un’unità in quanto viene concepita come soggetto e le viene attribuito un soggetto: infatti pensare alcunché come esistente o come cosa e pensarlo come unità è tutt’uno. Qui tuttavia occorre distinguere con cura se e per quanto tempo tale ens fictivum esista soltanto per la teoria, e quindi nel pensiero scientifico, oppure esista, e quando, anche nel pensiero dei suoi propri soggetti, e sia da essi posto per un determinato scopo – il che presuppone che essi siano già comunque capaci di un volere e di un agire comune. E infatti si ha di nuovo una situazione diversa se essi vengono rappresentati soltanto come partecipanti alla creazione di ciò che è oggettivo in senso scientifico – in quanto esso è ciò che in date condizioni «tutti» devono pensare. E si deve naturalmente comprendere che ogni atto di dare e di ricevere, nel modo indicato, comporta impliciter una volontà sociale. D’altra parte un’azione siffatta non è concepibile senza un motivo o uno scopo, costituito dalla contro-prestazione accettata; e di conseguenza, dato che questa azione è parimenti condizionata, nessuna delle due può precedere l’altra: esse devono coincidere nel tempo. In altri termini, l’accettazione equivale alla dazione di un surrogato accettato; perciò lo scambio, come atto unificato e unico, è il contenuto della volontà sociale fittizia. In riferimento a questa stessa volontà, i beni o valori scambiati sono eguali. L’eguaglianza è il suo giudizio, e questo è valido per entrambi i soggetti, in quanto essi l’hanno posto nella loro unione; e quindi è valido anche soltanto per la durata dello scambio, e in riferimento al momento dello scambio. Per diventare oggettivo o universalmente valido, anche con questa limitazione, esso deve apparire come giudizio dato da «tutti». Perciò tutti devono avere quest’unica volontà. La volontà di scambio si generalizza; tutti prendono parte al singolo atto e lo confermano, cosicché esso diviene assolutamente pubblico. Al contrario, la generalità può negare questo atto singolo e dichiarare: a non è = b, ma a > b o < b vale a dire che gli oggetti non sono scambiati secondo il loro vero valore. Il vero valore è il valore che è tale in riferimento a tutti, pensato come bene sociale comune. Esso viene constatato quando nessuno stima uno degli oggetti più alto o più basso in termini dell’altro. Ma soltanto in ciò che è ragionevole, giusto, vero tutti concordano non accidentalmente, bensì necessariamente, in modo tale da essere in questo rispetto uniti e da poter essere concepiti come idealmente concentrati nella persona del giudice che, misurando, ponderando e conoscendo, pronuncia il giudizio oggettivo. Quest’ultimo deve essere riconosciuto da tutti e tutti vi si devono conformare, in quanto essi stessi sono dotati di ragione o di un pensiero oggettivo, e quindi usano lo stesso criterio e pesano con la stessa bilancia.

20. Il valore come qualità oggettiva. Le quantità di lavoro necessario

Che cos’è che viene immaginato come criterio o come bilancia, in questa comparazione concettuale? Noi conosciamo la «qualità», la cui quantità deve essere espressa nei termini di questo metro costante, e la chiamiamo «valore». Ma questa qualità non può più essere intesa, in questa sede, come «bontà», in quanto la bontà è qualcosa che viene sentito da un soggetto reale: infatti la diversità di tale sensazione relativamente allo stesso oggetto è il presupposto dello scambio ragionevole. Invece noi andiamo in cerca dell’eguaglianza del valore – nel giudizio oggettivo – di oggetti diversi. La valutazione naturale compara oggetti che appartengono allo stesso genere, e qui il rapporto è affermazione o negazione, più forte o più debole, a seconda che essi appaiono conformi o contrari all’idea di una certa cosa. In questo senso si può anche formulare la categoria generale di cose utilizzabili (utili), per definirne alcune come necessarie e altre come superflue, per metterne in risalto alcune come molto utili e rifiutarne altre come molto dannose. Sotto questo profilo l’umanità dovrebbe però essere concepita come un tutto, o almeno come una comunità di uomini che, come l’individuo, viva, avendo perciò dei bisogni, e che sia unanime nella sua volontà, condividendo quindi utilità e danno (giacché il giudizio viene immaginato nello stesso tempo come soggettivo). Ma quando si afferma l’eguaglianza di valore di due oggetti scambiati, ciò non vuol dire affatto che essi siano egualmente utili o necessari per una collettività. Per questo si dovrebbe supporre anche la possibilità che qualcuno acquisti cose assolutamente dannose, ma ciò sarebbe mostruoso e utopistico. Si può invece fondatamente asserire che il giudizio, quale è determinato dal desiderio, sia errato, e che quindi più d’uno acquisti mediante scambio una cosa per sé dannosa. Ma è evidente che l’acquavite, se nuoce al lavoratore, è senz’altro utile al proprietario della distilleria, non in quanto egli la beve, ma in quanto la vende. Affinché una cosa possa essere considerata in generale come valore sociale si richiede soltanto che da un lato essa sia posseduta in via esclusiva rispetto ad altri, e che dall’altro venga desiderata da qualche esemplare del genere umano: ogni altra sua caratteristica è senz’altro indifferente. Che essa possegga una certa quantità di valore non significa quindi mai che sia dotata di altrettanta utilità. Il valore è una qualità oggettiva: come la lunghezza per la vista e il tatto, o il peso per il tatto e il senso muscolare, tale è il valore per l’intelletto che considera e comprende i fatti sociali. Ciò che quest’ultimo guarda e saggia delle cose è se esse possano venir prodotte rapidamente oppure richiedano molto tempo, se si possano procurare facilmente o costino dura fatica – misurandone la realtà in base alla loro possibilità e stabilendo la loro probabilità. Questo è l’unico criterio del valore, soggettivo per il contraente ragionevole dello scambio e assoluto per la società di scambio. Affermare ciò non vuol dire nient’altro che ogni essere ragionevole di fronte agli oggetti posti in vendita concepisce (e deve concepire) il pensiero che essi, per la loro natura, costano qualcosa – in generale per esistere, e particolarmente per esistere in questo luogo e in questo momento; e che questo costo può essere rappresentato da altri oggetti con i quali i primi sono stati scambiati, oppure dal lavoro, o infine da entrambe le cose. Ma la società umana, questo ens fictivum, non scambia nulla, a meno che essa venga concepita come persona particolare (il che qui è ancora del tutto estraneo alla discussione). Infatti, dato che lo scambio avviene soltanto tra uomini, non esiste alcun essere che le si possa contrapporre. Per essa, quindi, gli oggetti costano soltanto fatica e lavoro, e precisamente – dato che il furto e lo scambio già presuppongono l’esistenza degli oggetti – costano un lavoro di produzione, di cura e di allevamento, di creazione e di modellamento delle materie, che è la causa dell’esistenza delle cose in un determinato tempo; e a questo lavoro interno si può ancora aggiungere quello esterno del movimento nello spazio, che è la causa della loro esistenza in un determinato luogo. Per la società, perciò, le cose sono tutte eguali e ognuna, o ogni quantità, significa soltanto una certa quantità di lavoro per essa necessario. Quindi, se un lavoro è più rapido dell’altro, se è più redditizio (produttivo), cioè se esso produce le medesime cose con fatica minore (grazie a una maggiore abilità o a strumenti migliori), tutte queste differenze si risolvono in essa, e mediante essa, in quantità dello stesso tempo di lavoro medio. In altri termini, questo processo avviene quanto più lo scambio di merci diventa generale o sociale, ossia quanto più ognuno pone in vendita la sua merce per tutti, e tutti sono capaci di produrre la stessa merce, ma ognuno si limita, a proprio giudizio e arbitrio, a quella per lui più facile; di modo che un lavoro per sua natura comunitario non viene diviso o non si divide in quanto si formano, si ereditano e si insegnano arti particolari – ma piuttosto i soggetti assumono un lavoro che corrisponda il più possibile al prezzo che la società gli attribuisce, e che quindi richieda la quantità minima di tempo di lavoro eccedente. Così la società può venir pensata come se consistesse veramente di individui separati che agiscono in complesso per la società generale mentre sembrano agire per sé, e che agiscono per sé mentre sembrano agire per la società. Attraverso una divisione e una scelta sempre rinnovata l’individuo perverrebbe così alla fine a un lavoro effettivamente eguale e semplice o elementare – come a un atomo che egli offrisse come contributo al complessivo lavoro sociale e del quale questo fosse composto. Con lo scambio, ognuno si libera in seguito del valore per lui non utilizzabile, per appropriarsi di un valore eguale per lui utilizzabile. Quale sia il rapporto tra la struttura reale della società e questo concetto, verrà chiarito nel corso e alla fine della presente analisi.

21. La merce come valore. Il valore come merce. Il denaro e il denaro cartaceo

Anche se in forma continuativa avvenisse soltanto lo scambio di merce contro merce, ogni produttore di merci si troverebbe con ciò in un completo stato di condizionamento e di dipendenza da tutti gli altri produttori, poiché il suo contributo sarebbe destinato a procurargli una partecipazione a tutte le altre merci suscettibili di godimento, oltre al ricambio necessario dei mezzi di lavoro – rispetto a cui si presuppone che tutti abbiano un bisogno non eguale ma differente. Questa è la dipendenza dalla società; essa implica tuttavia anche un elemento di superiorità e di disposizione nei riguardi della società. Perciò questo stato si esprime alternativamente come uno stato di istanza e uno di comando – il primo definito dall’offerta della merce come valore, e il secondo definito dall’offerta del valore come merce. Infatti, quando esiste una merce generale che viene contrassegnata come tale dal riconoscimento unanime, cioè dalla volontà della società, essa comporta, in quanto è desiderata per eccellenza, un potere su qualsiasi altra che essa, o meglio il suo proprietario, tenti di ottenere in cambio. Essa rappresenta il concetto astratto di valore. Ciò non esclude che tale merce abbia essa stessa un valore, purché lo rappresenti in una forma maneggevole, suddivisibile in parti eguali, facile da constatare, e con le altre note qualità proprie soprattutto dei cosiddetti metalli pregiati – le quali sono tanto necessarie per misurare i valori e fissare i loro rapporti reciproci come prezzi unitari, quanto lo è una massa in virtù della quale vengono espressi i pesi e i pesi specifici dei corpi. La società alla quale appartengono l’oro e l’argento – infatti essi non sono di nessuno, in quanto sono il denaro: l’argent n’a pas de maître – determina in loro quantità i prezzi di mercato delle merci rispetto a cui l’arbitrio individuale del venditore e del compratore, con il loro mercanteggiare, può muoversi in più o in meno soltanto entro limiti ristretti. Tuttavia il concetto di denaro è rappresentato, in forma più pura che non da qualche «moneta», da una merce in sé priva di valore, quale può essere una carta provvista di segni, che quindi riceve non soltanto il suo significato ma anche il suo valore unicamente dalla società, e non è destinata a nessun altro impiego che non sia questo uso di scambio sociale. Perciò nessuno vuole avere questo denaro per averlo, e ognuno lo vuole per liberarsene. Mentre tutte le altre cose concrete sono buone finché, e nella misura in cui esprimono la loro idea con effetti utili o piacevoli sul possessore, questa cosa astratta è invece buona soltanto finché, e nella misura in cui riesce a esercitare uno stimolo sul non-possessore mediante la prospettiva che egli, a sua volta, eserciterà con ciò lo stesso effetto su altri. D’altra parte ogni cosa, in quanto merce, partecipa a questa mancanza di qualità e di valore del denaro; ogni merce è in un certo grado denaro, ed è tanto migliore quanto più è denaro (cioè quanto più è corrente). La società produce il proprio concetto nella forma del denaro cartaceo, e lo mette in circolazione dandogli corso. Ciò vale in quanto il concetto di valore inerisce al concetto di società come contenuto necessario della sua volontà. Infatti la società non è altro che la ragione astratta – di cui ogni essere ragionevole è partecipe nel suo concetto – in quanto è concepita come in grado di volere e di agire. La ragione astratta costituisce, in una specifica considerazione, la ragione scientifica, e il suo soggetto è l’uomo che riconosce relazioni oggettive, cioè che pensa per concetti. Di conseguenza i concetti scientifici – che per la loro origine consueta e le loro caratteristiche oggettive rappresentano giudizi mediante i quali vengono dati nomi a complessi di sensazioni – costituiscono nella scienza ciò che le merci sono nell’ambito della società. Essi confluiscono nel sistema come merci sul mercato. Il concetto scientifico supremo, che non contiene più il nome di qualcosa di reale, è simile al denaro: tale è ad esempio il concetto di atomo o di energia.

22. Il contratto. Debito e credito. La divisione della proprietà

La volontà concorde presente in ogni scambio – in quanto questo venga concepito come atto sociale – si chiama contratto. Esso è la risultante di due volontà individuali divergenti che si intersecano in un punto. Esso dura fino al completamento dello scambio; vuole ed esige i due atti di cui questo si compone: ma ogni atto può suddividersi in una serie di atti parziali. In quanto si riferisce sempre ad azioni possibili, esso diventa privo di contenuto e cessa quando tali azioni si realizzano o appaiono impossibili: nel primo caso si ha l’adempimento, nel secondo la rottura del contratto. La volontà individuale che entra nel contratto si riferisce o alla sua azione presente e reale – come nella consegna di merce o di denaro – o alla sua azione futura e possibile. E quest’ultima, a sua volta, può apparire come una parte residua dell’azione concepita come presente nella sua totalità, e quindi come avente per contenuto la consegna del resto della merce o del denaro; oppure può venir concepita in tutto e per tutto, e con il suo inizio in un momento lontano nel tempo (il termine); cosicché viene data e accettata, per la parte o per il tutto, la pura volontà. La pura volontà può diventare evidente anche in altro modo, ma è propriamente percepibile soltanto quando è stata tradotta in una parola e quindi espressa. La parola viene data in luogo della cosa: essa ha per chi la riceve il valore della cosa, nella misura in cui il legame tra parola e cosa è necessario, e quindi il conseguimento appare sicuro. La parola non ha alcun valore come «pegno», poiché non può essere oggetto di godimento né venir venduta come cosa per sé. Tuttavia essa equivale alla consegna ideale della cosa stessa. Chi ha avuto la parola ha acquistato il pieno diritto sulla cosa, il solo diritto che possa avere in virtù della volontà propria – la cui potestà attuale costituirebbe il fondamento naturale della proprietà reale – e ciò in forza della volontà generale, cioè sociale. Infatti la società, incapace di esaminare ogni caso, presume a favore della consegna, in quanto condizionata dallo scambio, e a favore dello scambio di oggetti equivalenti. Ciò non significa se non che nella società correttamente intesa non soltanto la situazione attuale di ogni individuo, ma anche ogni scambio e quindi ogni promessa sono concepiti come validi in conformità alla volontà di tutti, ossia come legali, e perciò vincolanti. Tuttavia la promessa richiede in primo luogo il consenso del destinatario, poiché soltanto con la sua volontà una cosa che gli appartiene (sul fondamento dello scambio, quale unico fondamento concepibile) può riman...

Indice dei contenuti

  1. Introduzione
  2. Prefazione alla prima edizione
  3. Prefazione alla seconda edizione
  4. Libro primo. Determinazione generale dei concetti principali
  5. Introduzione: il tema
  6. Capitolo primo. Teoria della comunità
  7. Capitolo secondo. Teoria della società
  8. Libro secondo. Volontà essenziale e volontà arbitraria
  9. Capitolo primo. Le forme della volontà umana
  10. Capitolo secondo. Spiegazione dell’antitesi
  11. Capitolo terzo. Il significato empirico
  12. Libro terzo. Presupposti sociologici del diritto naturale
  13. Capitolo primo. Definizioni e tesi
  14. Capitolo secondo. L’elemento naturale nel diritto
  15. Capitolo terzo. Le forme della volontà associata: la collettività e lo Stato
  16. Appendice
  17. Risultati e prospettive