Prima lezione di storia della lingua italiana
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Prima lezione di storia della lingua italiana

  1. 198 pagine
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Prima lezione di storia della lingua italiana

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Dal latino all'italiano, dalla lingua popolare alla lingua poetica, dalla grammatica storica all'influenza dei contesti culturali e sociali. In questa Prima lezione, un grande maestro della linguistica guida il lettore in un percorso puntuale, sostanziato di fatti e di esempi (e perché no, di qualche curiosità), attraverso la disciplina fondamentale per capire la storia e l'evoluzione della nostra lingua.

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Informazioni

Anno
2015
ISBN
9788858119860

1. Le fondamenta

1.1. Temi, libri, persone

Di che cosa si occupa la storia della lingua? La risposta non è intuitiva né univoca. L’epigrafia latina, per esempio, ha ben chiari l’oggetto di studio (testi in lingua latina su supporti di vario tipo, ma non su papiro o pergamena), il segmento cronologico (dalle origini della scrittura latina fino all’età tardo-antica) e persino un riconosciuto progenitore, il veronese Scipione Maffei, che si proponeva di raccogliere le epigrafi latine fino ad allora note – la documentazione è il presupposto di qualsiasi disciplina storica – e che fondò un museo lapidario nella sua città nel 17451.
Nel nostro caso si tratta invece di un complesso di saperi e di tecniche che attraversa più aree contigue. Nel 1972 il compianto Alberto Varvaro ha parlato di una «categoria controversa» e diversi anni dopo, in riferimento alla tradizione italiana, ha confezionato una sorta di ricetta dello «storico della lingua italiana prototipico»:
un fondo (nel senso gastronomico del termine) di preparazione linguistica, una dose prevalente di interesse per la lingua letteraria, un’aggiunta di curiosità per le metodologie della critica letteraria, larga disponibilità per l’esercizio della critica e della storiografia letteraria in sé e per sé; beninteso, a supportare il tutto c’è quasi sempre la pratica personale dell’edizione critica, almeno una volta nella vita.
Avremo occasione di ritornare su questa brillante ricetta; notiamo sùbito, però, che la dose di linguistica, in particolare di linguistica storica, andrebbe rafforzata: è proprio questo l’ingrediente che dà sapore a tutto il resto.
Se è indubbio che i problemi culturali e le linee di ricerca esistono indipendentemente dal fatto che esista una specifica disciplina di riferimento, è innegabile che l’attivazione di una cattedra universitaria dedicata giovi alla promozione degli studi di quel particolare settore e, prima ancora, ne chiarisca il senso e la direzione. Se è così, l’atto di nascita di una storia della lingua risale al 1900, quando Ferdinand Brunot (1860-1938) fu chiamato alla cattedra di Histoire de la langue française espressamente istituita per lui alla Sorbona. Di lì a qualche anno Brunot avrebbe dato avvio alla sua monumentale Histoire de la langue française, poi continuata da altri.
Le vicende storiche delle varie lingue influenzano l’impostazione degli studi e incidono inevitabilmente sulle rispettive tradizioni di ricerca e di didattica. Le lingue romanze hanno nel latino la base comune, prescindendo dalla quale non si potrebbe procedere nello studio della linguistica romanza; ma, pur condividendo il distacco dal sistema linguistico latino (perdita delle declinazioni, sviluppo del passivo analitico ecc.) e l’esposizione ad analoghi macrofenomeni storico-culturali (contatti con le popolazioni germaniche, influsso del cristianesimo ecc.), attraversano diversissime fasi di sviluppo nel corso della loro storia.
In generale, spiccano le differenze tra l’italiano, da una parte, e le altre due grandi lingue romanze europee, il francese e lo spagnolo, dall’altra. Nel primo caso, infatti, la percezione di uno sviluppo senza soluzioni di continuità, dal Placito di Capua (960) alla lingua degli sms – quale che ne sia l’effettivo fondamento (cfr. cap. 5) – fa sì che il singolo storico della lingua, anche se proiettato sulla contemporaneità dalla sua ricerca scientifica personale, non possa prescindere dai problemi delle Origini (come parte integrante delle sue competenze professionali e magari come possibile oggetto di un corso universitario). Nel secondo caso, l’esistenza di uno iato tra fase antica e fase moderna (variamente collocabile) dà vita a profili scientifici e accademici distinti.
Relativamente vicino al quadro italiano è l’assetto disciplinare della “Storia della lingua spagnola” in Spagna, forse con una più spiccata focalizzazione di aspetti di linguistica in senso stretto: fonetica, morfologia e sintassi storiche. In Francia, la “Storia della lingua francese” è concentrata sul francese antico, la langue d’oïl (e corrisponde sostanzialmente a quel che è, in Italia, la “Filologia romanza”: accentuata vocazione medievistica e spiccata caratterizzazione filologica), mentre di Victor Hugo o di formazione delle parole si occuperebbero, piuttosto, studiosi rispettivamente di letteratura e di linguistica. Allargando il quadro all’Europa non romanza, in Germania si hanno cattedre distinte a seconda che le competenze vertano sulla fase medievale (700-1500 circa) o sulla lingua moderna (dunque sullo sviluppo del tedesco letterario e dei suoi dialetti da Lutero fino ad oggi). Analogamente, nel Regno Unito è spiccata la separazione tra l’Old English del Beowulf, il Middle English di Chaucer (più accessibile per lo studente anglofono; ma in generale nelle università britanniche circolano testi con traduzione a fronte) e l’inglese moderno.
La nascita della “Storia della lingua italiana” può essere fissata al 1938, quando fu istituita l’omonima cattedra all’Università di Firenze attribuita a Bruno Migliorini (1896-1975); l’anno successivo sarebbe stata attivata una cattedra anche nell’Università di Roma per Alfredo Schiaffini (1895-1971); fino alla fine degli anni Cinquanta, con le nomine di Gianfranco Folena (a Padova, 1956) e di Maurizio Vitale (a Milano, 1957), in anni in cui gli studi italianistici erano egemonizzati dalla Letteratura italiana, non furono istituite altre cattedre di ruolo per questa materia.
A Schiaffini dobbiamo, tra l’altro, una raccolta di Testi fiorentini del Due e Trecento (1926), che intendevano rappresentare una specie di preistoria della prosa d’arte destinata a fiorire col Boccaccio. La raccolta è importante ancora oggi per due motivi: da un lato perché mostra la necessaria correlazione tra storia della lingua e filologia, intesa come accertamento preliminare della lezione dei testi (si veda oltre, pp. 90-98); dall’altro perché Schiaffini dà «spazio ad una varia campionatura che include sia volgarizzamenti dal latino e dal francese, sia prosa narrativa» (Stussi). Su questa via l’impresa di Schiaffini sarebbe stata continuata da Arrigo Castellani (1920-2004), che mise in atto tecniche di trascrizione di insuperata acribia e che indagò in molteplici studi il toscano medievale (in particolare “testi pratici”, cioè legati alle contingenze della vita quotidiana, dai libri di conti agli statuti delle confraternite): la caratterizzazione linguistica da lui delineata in cinquant’anni di studi è ancora oggi fondamentale.
Ma torniamo a Bruno Migliorini, figura decisiva per la definizione accademica della disciplina. La sua opera regge molto bene l’usura del tempo; forse più di quel che avvenga per altri grandi linguisti della sua generazione, il cui nome ha resistito nella memoria degli studiosi successivi meglio dei rispettivi libri. È la conseguenza della sua vocazione alla ricerca concreta, empirica, fondata sulla rete di indagini minuziose e instancabili: nulla dies sine schedula ‘nessun giorno senza una scheda che registri qualche dato’ era il suo motto, ricalcato facetamente sul nulla dies sine linea che Plinio il Vecchio attribuiva al pittore greco Apelle. Ciò comportava un parallelo disinteresse per le correnti della linguistica generale e, soprattutto, per le descrizioni che talvolta ne discendono, fondate su una lettura parziale dei dati e non sulla raccolta il più possibile vasta e documentata – e perciò stesso tendenzialmente più obiettiva – dei materiali.
Migliorini ebbe molto forte il senso dell’autonomia della storia della lingua rispetto sia alla glottologia, sia alla storia della letteratura. Dalla grande tradizione dialettologica italiana rappresentata, sulla scia del magistero di Graziadio Isaia Ascoli (1829-1907), da Carlo Salvioni (1858-1920), massimo esploratore dei dialetti lombardi, e da Clemente Merlo (1879-1960), massimo esploratore dei dialetti centro-meridionali, lo separava la sua freddezza per un’analisi che fosse fondata soltanto sulle strutture intrinseche, a partire dalla fonetica, col rischio di sottovalutare i fatti di cultura che agiscono nella lingua. L’oggetto privilegiato della ricerca dialettologica era, ed è in parte anche ora, il parlante “popolare” (contadino piuttosto che cittadino, analfabeta piuttosto che alfabeta, anziano – e dunque più legato al dialetto tradizionale – piuttosto che giovane); Migliorini era sollecitato invece dall’intera platea dei parlanti e degli scriventi, in cui sono ben rappresentati il portato (e il prestigio) della cultura. È stato più volte rilevato come l’articolo che nel 1939 apriva «Lingua nostra», la prima rivista di Storia della lingua italiana, fondata da lui insieme al glottologo Giacomo Devoto (1897-1974) – dunque con l’intento di una dichiarazione programmatica di portata generale –, fosse dedicato proprio alle Correnti dotte e correnti popolari nella lingua italiana.
In ciò Migliorini si richiamava a un remoto precursore: Ugo Angelo Canello (1848-1883), professore di Storia delle letterature neolatine (l’odierna Filologia romanza) a Padova, morto precocemente per i postumi di un incidente di carrozza. Canello aveva progettato una Storia della lingua italiana, scrivendone solo i primi due capitoli, restati manoscritti fino ad anni recenti, e pubblicando già nel 1873 una lezione sullo stesso argomento. Sono due i tratti più interessanti della sua ricerca linguistica: l’attenzione per la lingua coeva (la sua Storia della lingua cominciava dall’età moderna e il primo capitolo era dedicato all’apporto inglese, un tema di stretta attualità); e soprattutto la valorizzazione della componente dotta del patrimonio linguistico, nella convinzione, ineccepibile, che «Tra le classi superiori e inferiori d’una società c’è ricambio continuo sia d’idee che di parole o di frasi»2.
A Migliorini dobbiamo la prima vera Storia della lingua italiana, pubblicata, dopo molti anni di studio e diverse anticipazioni, nel 1960 (Firenze, Sansoni): era l’anno del millenario del più antico documento che in Italia certifichi un uso consapevole del volgare distinto dal latino, il già ricordato Placito di Capua del marzo 960, seguito a breve distanza, nel 963, da tre documenti del tutto simili (per questo si usa spesso il plurale placiti). Non si tratta di un anniversario qualsiasi. Il Placito di Capua contiene la formula con la quale tre testimoni affermavano che, per quanto a loro risultava, il monastero di Montecassino aveva goduto per trent’anni del possesso di certe terre, la cui proprietà veniva contestata dall’attore della causa, tale Rodelgrimo: «Sao ko kelle terre per kelle fini que ki contene, trenta anni le possette parte Sancti Benedicti» (‘So che quelle terre, nei confini che qui – cioè nel promemoria che ciascun testimone teneva in mano – sono indicati, le possedette per trent’anni il Monastero di San Benedetto’). Spiccano, nel merito, la continuità col diritto romano (il principio dell’usucapione, lì invocato, vale ancora oggi, benché con un diverso limite temporale) e, nella lingua, la specificità settoriale. Come ha scritto un grande giurista che è anche un grande linguista, quello del placito è «un modo d’esprimersi che è tutto giuridico» e ogni parola ha «un suo valore nitidamente definito»3, a cominciare da parte ‘parte in causa’ (sulla grafia avremo modo di ritornare: p. 56).
Ma la Storia di Migliorini è ben lontana da qualsiasi intento celebrativo. Ricchissima di spogli di prima mano, equamente distribuiti nel corso dell’intera trattazione, si arresta allo scoppio della prima guerra mondiale: fatto notevole, se pensiamo che Migliorini è stato tra i primi a ritenere degno di attenzione scientifica anche l’italiano contemporaneo (e questo è un altro aspetto che lo avvicina a Canello). È stato opportunamente osservato che «ci sono intere sezioni della Storia in cui le citazioni sono soltanto riferimento diretto ad opere del s...

Indice dei contenuti

  1. Premessa
  2. 1. Le fondamenta
  3. 2. Dal latino all’italiano
  4. 3. Il latino nella storia dell’italiano
  5. 4. Filologia, letteratura, storia
  6. 5. Italiano antico e italiano moderno
  7. 6. Scritto e parlato
  8. 7. Un certificato storico per l’italiano