1632. Galileo, la Terra, la Luna
di Paolo Rossi
Giambattista Vico, a Napoli, nel terzo decennio del Settecento, pensava che i primi uomini, simili a bestioni tutto stupore e ferocia, si sentissero guardati dal Cielo. Pensava anche che per questo gli uomini avessero iniziato a comportarsi in modo diverso dagli animali. Forse è vero, ma è invece certo che i primi pastori cominciarono molte decine di migliaia di anni fa a contemplare la volta celeste. La costruzione di calendari, l’inizio di osservazioni sistematiche, di calcoli, di teorie sono cominciati, in Babilonia e in Egitto, 3500 anni fa. Molte delle nostre scienze sono giovani e recenti, molte altre continuano a nascere. Alcune sono morte. L’astronomia ci accompagna fin dalle origini, è presente in tutte le civiltà, è qualcosa che è nato nella notte dei tempi e che non abbiamo mai abbandonato.
Dalle lontane origini guardare il cielo vuol dire alzare gli occhi in alto e aguzzare la vista. Le ipotesi, i calcoli, le teorie sono legate a quelle osservazioni. Nuove osservazioni confermano o smentiscono le ipotesi. Queste ultime spingono a osservare certi e non altri fenomeni celesti. Questa lunga storia è piena di solide tradizioni teoriche e di forti mutamenti nell’elaborazione delle ipotesi e delle teorie. Ma in questa lunga storia c’è un punto di svolta e di non ritorno, c’è una rivoluzione che riguarda il modo di guardare, la connessione fra la scienza e gli strumenti, i rapporti fra le teorie e la pratica, fra il cervello e le mani.
Ciò che segna una rivoluzione è l’abbandono, da parte di Galileo, di un’astronomia fondata sul vedere naturale, la sua fiducia in uno strumento che era nato nell’ambiente degli artigiani e dei meccanici, era progredito solo per pratica, era stato parzialmente accolto negli ambienti militari, ma era ignorato o addirittura disprezzato dalla scienza dei professori. Galileo ricostruisce il cannocchiale e lo presenta a Venezia nell’agosto del 1609 per farne poi dono al governo della signoria. Per Galileo il cannocchiale non è uno dei tanti strumenti curiosi costruiti per il diletto degli uomini di corte o per l’immediata utilità degli uomini d’arme. Con spirito metodico e con mentalità scientifica egli lo volge verso il cielo, lo trasforma in uno strumento scientifico. Egli sa bene di aver iniziato un nuovo cammino, di essere stato il primo a vedere la superficie della Luna e i satelliti di Giove e il carattere composito della Via Lattea: «Io mi trovo al presente in Venezia per far stampare alcune osservazioni le quali col mezo di un mio occhiale ho fatte ne i corpi celesti; e sì come sono d’infinito stupore, così infinitamente rendo grazie a Dio, che si sia compiaciuto di far me solo primo osservatore di cose ammirande e tenute a tutti i secoli occulte».
Per prestare fede a ciò che si vede con il cannocchiale bisogna credere che quello strumento serva non a deformare, ma a potenziare la vista. Bisogna abbandonare l’antico, radicato punto di vista antropocentrico che considera il guardare naturale degli occhi umani come un criterio assoluto di conoscenza. Cosa importa, scrive Galileo, se il lume dei Pianeti Medicei non arriva a terra? Il fatto che ci siano oggetti non luminosi per noi implica forse che quegli oggetti non esistano? E invece può darsi «che tali stelle veggon le aquile o i lupi cervieri, che alla debil vista nostra rimangono occulte».
Le scoperte di Galileo suscitarono polemiche aspre, rifiuti tenaci, ostinate manifestazioni d’incredulità. Alcune di quelle polemiche erano motivate proprio dall’impiego di uno strumento meccanico che prendeva il posto degli occhi...