1632. Galileo, la Terra, la Luna
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1632. Galileo, la Terra, la Luna

  1. 20 pagine
  2. Italian
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1632. Galileo, la Terra, la Luna

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1632: i censori del Sant'Uffizio concedono l'imprimatur e passa alle stampe a Firenze la sistematica, minuziosa, implacabile distruzione della tradizionale visione del cosmo. Non è infatti solo una raccolta di teorie quel Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo. C'è chi dice, in quegli anni, che sono cadute le muraglie del mondo, e chi invece afferma che è crollata per sempre ogni possibile certezza. Cosa vede Galileo quando guarda la superficie della Luna? Vede che la Luna non è (come si credeva da millenni) una perfetta sfera lucida, ma un'altra Terra e questo appare assurdo, inaccettabile. Affermare teorie nuove vuole dire consegnarne alla dimenticanza altre, saldamente connesse a una tradizionale immagine del mondo, mutare l'identità di oggetti che sembrano conosciuti da sempre. Dietro la complicata macchina costruita da Aristotele e da Tolomeo stava qualcosa che gli uomini hanno pensato da quando, per la prima volta, hanno alzato gli occhi verso il cielo stellato. Il cosiddetto universo a due sfere era duplice: c'è il mondo terreno compreso entro la sfera della Luna che è il mondo del consumarsi e del finire delle cose, della malattia e della morte, del non sapere del futuro. Sopra la sfera della Luna c'è il mondo celeste dove non ci sono variazioni ma solo regolarità dei moti, dove nulla nasce e nulla si corrompe, ma tutto è immutabile ed eterno.

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Informazioni

Anno
2013
ISBN
9788858108284
Argomento
Storia

1632. Galileo, la Terra, la Luna

di Paolo Rossi

Giambattista Vico, a Napoli, nel terzo decennio del Settecento, pensava che i primi uomini, simili a bestioni tutto stupore e ferocia, si sentissero guardati dal Cielo. Pensava anche che per questo gli uomini avessero iniziato a comportarsi in modo diverso dagli animali. Forse è vero, ma è invece certo che i primi pastori cominciarono molte decine di migliaia di anni fa a contemplare la volta celeste. La costruzione di calendari, l’inizio di osservazioni sistematiche, di calcoli, di teorie sono cominciati, in Babilonia e in Egitto, 3500 anni fa. Molte delle nostre scienze sono giovani e recenti, molte altre continuano a nascere. Alcune sono morte. L’astronomia ci accompagna fin dalle origini, è presente in tutte le civiltà, è qualcosa che è nato nella notte dei tempi e che non abbiamo mai abbandonato.
Dalle lontane origini guardare il cielo vuol dire alzare gli occhi in alto e aguzzare la vista. Le ipotesi, i calcoli, le teorie sono legate a quelle osservazioni. Nuove osservazioni confermano o smentiscono le ipotesi. Queste ultime spingono a osservare certi e non altri fenomeni celesti. Questa lunga storia è piena di solide tradizioni teoriche e di forti mutamenti nell’elaborazione delle ipotesi e delle teorie. Ma in questa lunga storia c’è un punto di svolta e di non ritorno, c’è una rivoluzione che riguarda il modo di guardare, la connessione fra la scienza e gli strumenti, i rapporti fra le teorie e la pratica, fra il cervello e le mani.
Ciò che segna una rivoluzione è l’abbandono, da parte di Galileo, di un’astronomia fondata sul vedere naturale, la sua fiducia in uno strumento che era nato nell’ambiente degli artigiani e dei meccanici, era progredito solo per pratica, era stato parzialmente accolto negli ambienti militari, ma era ignorato o addirittura disprezzato dalla scienza dei professori. Galileo ricostruisce il cannocchiale e lo presenta a Venezia nell’agosto del 1609 per farne poi dono al governo della signoria. Per Galileo il cannocchiale non è uno dei tanti strumenti curiosi costruiti per il diletto degli uomini di corte o per l’immediata utilità degli uomini d’arme. Con spirito metodico e con mentalità scientifica egli lo volge verso il cielo, lo trasforma in uno strumento scientifico. Egli sa bene di aver iniziato un nuovo cammino, di essere stato il primo a vedere la superficie della Luna e i satelliti di Giove e il carattere composito della Via Lattea: «Io mi trovo al presente in Venezia per far stampare alcune osservazioni le quali col mezo di un mio occhiale ho fatte ne i corpi celesti; e sì come sono d’infinito stupore, così infinitamente rendo grazie a Dio, che si sia compiaciuto di far me solo primo osservatore di cose ammirande e tenute a tutti i secoli occulte».
Per prestare fede a ciò che si vede con il cannocchiale bisogna credere che quello strumento serva non a deformare, ma a potenziare la vista. Bisogna abbandonare l’antico, radicato punto di vista antropocentrico che considera il guardare naturale degli occhi umani come un criterio assoluto di conoscenza. Cosa importa, scrive Galileo, se il lume dei Pianeti Medicei non arriva a terra? Il fatto che ci siano oggetti non luminosi per noi implica forse che quegli oggetti non esistano? E invece può darsi «che tali stelle veggon le aquile o i lupi cervieri, che alla debil vista nostra rimangono occulte».
Le scoperte di Galileo suscitarono polemiche aspre, rifiuti tenaci, ostinate manifestazioni d’incredulità. Alcune di quelle polemiche erano motivate proprio dall’impiego di uno strumento meccanico che prendeva il posto degli occhi...

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  1. 1632. Galileo, la Terra, la Luna