7 dicembre 374. Ambrogio vescovo di Milano
di Franco Cardini
Milano, anno del Signore 374. Una grande città, una delle capitali dell’impero da quando, con Diocleziano, ci si è resi conto che la compagine imperiale è troppo vasta, i collegamenti troppo lenti e difficili e i pericoli troppo incombenti perché ci si possa permettere il lusso d’una sola capitale. Una città ormai quasi del tutto cristiana, per quanto una qualificata minoranza pagana sia presente ed esista anche una forte colonia ebraica. Ma il quadro della società cristiana è quello caratteristico dell’epoca: segnato da una divisione profonda e da una forte difficoltà di convivenza tra i cosiddetti «atanasiani», che hanno accettato il dettato conciliare di Nicea del 325, e i cosiddetti «ariani» che lo respingono. Alla morte del vescovo Aussenzio – le propensioni ariane del quale erano note – la tensione tra le due comunità ecclesiali è tale da render difficile l’elezione di un nuovo vescovo. Il governatore Aurelio Ambrogio interviene nella questione con l’intento di rasserenare gli animi e di contribuire a trovare un accordo. D’un tratto, la voce di un fanciullo si leva e tutto il popolo le fa coro: «Ambrogio vescovo!». Il funzionario si schermisce, resiste, rifiuta; tenta perfino una fuga dalla città, prendendo di notte la strada per Ticino, l’odierna Pavia. Ma nella notte si smarrisce, o è Dio che gli fa perdere la via perché ha in serbo per lui progetti diversi rispetto a quel che egli spera. Al mattino, il fuggitivo si ritrova dinanzi alla Porta Romana, quella da cui esce la strada per chi vuol andare a meridione, verso Piacenza e poi Rimini, sulla Via Emilia. Comprende che quella è la volontà del Signore: e accetta così d’inoltrarsi sul cammino della sua conversione e del suo governo della Chiesa e del popolo milanese.
Questo, almeno, è il racconto del fido segretario Paolino, il suo primo agiografo. Le conosciamo, le scene che egli evoca. Sono le stesse mirabilmente sbalzate nell’argento dell’altare di Volvinio, il capolavoro del pieno IX secolo custodito nella basilica ambrosiana. Ma per cercar di comprendere più a fondo il senso di questa pagina dove molto sembra leggendario, dovremo prima delineare un breve profilo di Ambrogio e quindi richiamare i tratti salienti della sua esperienza religiosa e politica di vescovo.
Aurelio Ambrogio nacque nel 339-340 a Treviri; era – dopo i fratelli Marcellina, nata pare a Roma verso il 335, e Satiro, ch’era forse suo gemello – il terzo dei figli di un alto magistrato che era praefectus praetorio per le Gallie ma del quale conosciamo in modo impreciso e incompleto il nome (forse Uranius Ambrosius, forse Uranius Satyrus) e di una nobile matrona appartenente a quella gens Aurelia ch’era proprietaria di vasti latifondi in Sicilia e nell’Africa settentrionale. Un mistero grava attorno alla nostra incerta conoscenza del nome del padre di Ambrogio: è molto probabile che egli fosse coinvolto nelle lotte per la successione di Costantino, che avesse preso partito per una fazione sconfitta e che per questo fosse stato colpito da una damnatio memoriae.
Sta comunque di fatto che Ambrogio perdé il padre quando era ancora molto giovane; dopo la scomparsa dell’alto funzionario il clima di Treviri non dovette più sembrar adatto alla sua famiglia che si trasferì a Roma, dove gli Aurelii godevano di altissima posizione e di molti amici. Il ragazzo poté studiare e quindi entrare nella carriera amministrativa.
Poco sappiamo sulla sua educazione religiosa: visse comunque giovanissimo in un ambiente cristiano, forse addirittura pio. Secondo il biografo Paolino, fin da ragazzo Ambrogio aveva manifestato, sia pur solo per gioco, il suo interesse e la sua propensione per la carriera episcopale. La sorella Marcellina più o meno diciottenne assunse il velo che la consacrava alla verginità la vigilia di Natale del 353 (o l’Epifania del 354) dalle mani di papa Liberio: un evento che colpì molto il ragazzo. Secondo l’uso del tempo, la giovane consacrata continuò a vivere nella propria casa, insieme con un’amica, con la quale condivideva la vita di preghiera. Molte erano le personalità religiose che venivano a farle visita: il che rende l’idea sia dell’ambiente elevato, sia dell’atmosfera regnante in famiglia.
Nel 365 Ambrogio, insieme col fratello maggiore Satiro, si recò a Sirmio dove entrambi poterono svolgere il loro lavoro sotto Vulcacio Rufino, praefectus praetorio per l’Italia, l’Illirico e l’Africa. Nel 368 Ambrogio fu accolto come membro del consiglio privato del nuovo praefectus, Sesto Petronio Probo, un r...