La Vera Croce
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La Vera Croce

Storia e leggenda dal Golgota a Roma

  1. 192 pagine
  2. Italian
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La Vera Croce

Storia e leggenda dal Golgota a Roma

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Elena, madre di Costantino, è decisa a rinvenire il patibolo sul quale il Salvatore è stato immolato. Si reca in pellegrinaggio a Gerusalemme e comincia gli scavi sul luogo del supplizio. Le croci vengono ritrovate e con un ingegnoso stratagemma si riesce a individuare quale delle tre è quella di Gesù: il culto adesso può cominciare.

Chiara Mercuri ricostruisce l'appassionante storia della croce, dispiegando con la sua prosa il fascino narrativo della storia. Corrado Augias, "la Repubblica"

Con un agile volume Chiara Mercuri racconta le vicissitudini della croce e spiega perché essa sia divenuta non solo un oggetto di culto ma il simbolo dell'identità di un intero popolo. Protagonista della storia non è quindi la sola croce, ma gli uomini e le donne che la trovarono e la resero essenziale alla comunità cui appartenevano. Melania Mazzucco, "la Repubblica"

Le leggende relative alle reliquie, a quelle della Passione soprattutto, hanno risvolti storico-politici importanti: a Roma, come scrive Chiara Mercuri, sono essenziali al papato per costruire l'immagine di una città-santuario e rivendicarne il ruolo di centro della cristianità, in sostituzione della stessa Gerusalemme. Marina Montesano, "il manifesto"

È la più suggestiva rappresentazione della passione di Cristo, l'emblema stesso del cristianesimo e insieme un simbolo di potere. Tutti vorrebbero vantarne il possesso. Dalla Terra Santa a Costantinopoli, da Aquisgrana a Roma, la storia della Vera Croce, tra pietà religiosa e interesse sacrilego, tra esaltazione fanatica e scellerate persecuzioni.

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Informazioni

Anno
2016
ISBN
9788858125113

1.
Elena sul Golgota

Costantino e il concilio di Nicea

Nel 325 dopo Cristo, l’imperatrice Elena, madre di Costantino, si reca in Oriente per prendere parte al concilio di Nicea. È il primo concilio ecumenico della storia del cristianesimo ed è Costantino stesso a volerlo. La fede alla quale ha riconosciuto, con l’editto di Milano del 313, pari dignità con le altre religioni, ha bisogno di trovare una sua coesione interna. Se le persecuzioni sono definitivamente cessate, all’interno del clero infuriano invece le dispute e le scissioni su questioni dottrinali sempre più complesse.
Al concilio, Costantino ribadisce la propria volontà che la Chiesa trovi un credo comune e ricostruisca la propria unità. Le dispute sulle interpretazioni teologiche provocano infatti spaccature e divisioni che si riflettono anche sulla tenuta interna dell’Impero.
La fede cristiana ha attecchito su culture filosofiche locali che hanno dato origine a particolari interpretazioni del cristianesimo. I conflitti dottrinali, del resto, non si presentano solo come vuote dispute tra teologi, ma rivelano una costante preoccupazione: salvaguardare il monoteismo. Nei Vangeli e negli Atti degli Apostoli, infatti, vengono chiamate in causa tre figure, quelle del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo. Come motivare tale tripartizione a fronte di un rigido monoteismo? Bisogna considerarle tre divinità distinte e come tali venerarle? E come giustificare la posizione di Gesù, il figlio, accanto a quella di Dio-Padre? Le risposte a queste domande sono diverse e, in alcuni casi, opposte.
Gli adozionisti sostengono che Gesù è un semplice uomo, «adottato» da Dio attraverso il battesimo ricevuto sulle rive del Giordano: solo il Padre è vero Dio. Per i modalisti il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo non sono che tre modi diversi di manifestarsi dell’unico Dio. Per gli ariani, ispirati alla predicazione del presbitero Ario di Alessandria, in Cristo non si trova che una sola natura, quella umana.
L’arianesimo è stato più volte condannato, ma continua a diffondere le sue idee e a fare proseliti. Costantino è già intervenuto tra le parti per placare i disordini e le divisioni, ma senza risultato. Ogni comunità di fedeli sembra volersi stringere attorno al proprio vescovo e far capo solo a lui, quasi ci fossero tante chiese quanti i vescovi nominati a reggere le comunità locali. Soprattutto le sedi principali, gli episcopati, che possono contare su un maggior numero di fedeli, sono le più renitenti a sottomettersi a una linea comune imposta dall’autorità civile. Gerusalemme, Costantinopoli, Alessandria, Antiochia, Roma hanno posizioni diverse, seguono differenti interpretazioni delle Scritture, si attaccano e si consumano in diatribe logoranti e apparentemente senza fine.
L’unica possibilità allora è quella di riunire un concilio, un’assemblea ecumenica, a cui tutti dovranno partecipare. Un sinodo dal quale dovrà uscire una linea univoca e chiara che l’imperatore avrà poi facoltà d’imporre.
Una precisazione è d’obbligo: in questa fase, la Chiesa è ancora sottoposta – come qualsiasi altro organismo, comunità o credo accettato – all’autorità dell’imperatore e alla sua tutela; è quindi compito del supremo rappresentante e magistrato dello Stato convocare i concili e appianare le controversie religiose.
Costantino, dunque, con il consenso di papa Silvestro, il 20 maggio del 325, a Nicea, in Anatolia, riunisce il concilio per dirimere la questione trinitaria. Per oltre due mesi, 250 vescovi, in grande maggioranza provenienti dall’Oriente, si affrontano in dispute serrate. Si attaccano e si difendono, setacciando ogni passo della Scrittura, cercando la frase adatta, a volte la parola, che possa suffragare la loro posizione.
Papa Silvestro non è presente, ha inviato due legati. È dunque a Costantino – ai suoi rappresentanti che sovrintendono i lavori dell’aula – che tocca il compito spinoso di trovare i punti su cui far convergere le posizioni opposte. E Costantino, alla fine, si comporta nello stesso modo in cui si sarebbe comportato per una qualunque questione di competenza dello Stato: fa redigere un testo di riferimento, un canone che tutti i partecipanti devono sottoscrivere e lo adotta per stabilire ciò che è dentro e ciò che è fuori la legalità, «il credo». Molto più di una preghiera, uno dei simboli più duraturi e noti della fede cristiana.
Di buon grado o di malavoglia, ogni vescovo sarà costretto ad approvarlo e, di buon grado o di malavoglia, ogni presbitero verrà obbligato ad imporne la recita durante l’ufficio. Ciascuno dovrà proclamarlo nel corso della messa, per dare conto della propria piena ortodossia. La ripetizione di quella formula, settimana dopo settimana, liturgia dopo liturgia, servirà a introiettarne i contenuti: «Credo in un solo Dio, Padre onnipotente... E in un solo Signore, Gesù Cristo, figlio di Dio... generato non creato, della stessa sostanza del Padre... Per noi uomini e per la nostra salvezza egli discese dal cielo, si è incarnato, si è fatto uomo, ha sofferto e il terzo giorno è risorto...».
S’inizierà a recitarlo fin da bambini, mandandolo a memoria, affinché i nuovi cristiani crescano simili ad arbusti ben piantati; e così non ci saranno più discussioni, né interventi dell’autorità civile, né eterodossie da sradicare.
Ma facciamo un passo indietro.
«In hoc signo vinces», aveva detto l’angelo a Costantino, quando gli era apparso in sogno alla vigilia della battaglia di Ponte Milvio. All’epoca, nel 312, Costantino era ancora un adoratore del Sol Invictus. Della fede cristiana, però, conosceva abbastanza, perché la madre, molti anni prima, vi si era convertita e il padre, a differenza degli imperatori che l’avevano preceduto, aveva adottato una politica di tolleranza nei confronti della nuova fede.
Quella sera, la sera prima della battaglia, Costantino è rivolto alla ricerca di alleati celesti. Si dice che il suo nemico, Massenzio, che ha dato prova di grandi successi militari, sia dedito alle arti magiche. Il mondo romano ripone grande fiducia nell’alleanza tra Impero e divinità per sostenere le sorti incerte della guerra, e affronta la scelta del dio al quale votarsi in battaglia con la stessa cura con cui sceglie gli eserciti alleati.
L’idea che il proprio nemico, che da tempo appare il più favorito dalla sorte, possa contare sulla protezione di forze occulte, reputate invincibili, turba non poco la veglia dell’imperatore. Poi quella visione, un angelo con una croce monogrammata, che – come Costantino stesso racconterà al suo biografo, Eusebio di Cesarea – gli predice «in questo segno vincerai». Costantino dà peso al suo sogno, cerca di decifrarlo, lo accoglie come un presagio.
Quella del IV secolo è, naturalmente, una mentalità molto diversa dalla nostra, una mentalità per la quale è del tutto normale che le forze soprannaturali si mettano in dialogo con quelle naturali, in prossimità di grandi eventi. Dunque Costantino, lungi dal minimizzare, risponde alla visione e fa apporre sugli scudi dei suoi soldati il segno mostratogli dall’angelo: le iniziali greche del nome di Cristo, X (chi) e P (ro), che sovrapposte formano il Crismòn, la croce monogrammata.
Alcuni storici ritengono che Costantino non ne comprendesse neppure il significato, che non si trattasse nemmeno di una croce, ma di una stilizzazione di quel «Sole Invincibile» cui l’imperatore – come gran parte dell’esercito – era devoto da tempo. Molti attribuiscono la trasformazione del segno descritto da Costantino alla sola penna di Eusebio di Cesarea, che qualche anno dopo, quando ricevette il compito di scriverne la biografia, non perse occasione, da cristiano, di presentare l’imperatore come campione della sua fede.
La storiografia ci consegna diversi ritratti dell’imperatore: Costantino ora è un pagano superstizioso, ora un devoto cristiano, ora un militare astuto, ora un uomo di Stato tollerante, al punto che viene da chiedersi se la sua biografia sia un’invenzione degli storici o il lascito deliberato del fondatore dell’impero cristiano.

La Roma di Costantino

Per quanto le forzature di Eusebio, nel costruire una biografia cristiana, siano evidenti, non si possono tuttavia ignorare fatti che trovano ampio riflesso nella legislazione, a cominciare da quell’editto di Milano destinato a cambiare il corso della storia. Con esso le persecuzioni cessano, e per la fede cristiana si apre la via per divenire – qualche decennio più tardi, con Teodosio – religione di Stato.
Eloquente è inoltre la straordinaria attività edilizia consentita, e in molti casi anche promossa, dall’imperatore: uno sforzo enorme, teso a dare all’Impero un volto nuovo, anche cristiano. Uno sforzo che non può dirci nulla circa la sincerità della sua fede, ma che rappresenta una cifra importante, forse, della sua politica religiosa.
Costantino, dunque, volta definitivamente le spalle alla Roma pagana. Diserta ciò che la tradizione religiosa gli ha consegnato in eredità: gli usi, i rituali, le pratiche devote. All’indomani della battaglia di Ponte Milvio, rifiuta persino di recarsi nell’area sacra del Campidoglio per rendere grazie a Giove Ottimo Massimo, com’è tradizione per gli imperatori vittoriosi.
Il suo orientamento, il suo interesse sono evidenti anche nella sua politica urbanistica: Costantino sembra disinteressarsi del cuore tradizionale della città, dove si concentrano i templi degli dèi della religione pagana cari all’aristocrazia senatoriale che, in gran parte, aveva appoggiato il rivale Massenzio. Qui completa alcuni progetti già impostati dai predecessori, come per esempio la basilica cosiddetta di Massenzio nel Foro, o erige monumenti con un chiaro – e minaccioso – riferimento politico, come l’arco di Costantino, su cui appare la formula «per ispirazione divina e per grandezza del suo spirito, con il suo esercito egli rivendicò lo Stato per mezzo di giusta guerra tanto dal tiranno quanto da ogni fazione».
A Roma Costantino fa costruire anche delle terme, e realizza una serie di interventi minori. Niente a che vedere con ciò che ha in mente per Bisanzio, dove darà il via a una gigantesca e monumentale ricostruzione: nascerà una nuova, potente e organizzata città, una grande capitale che prenderà il suo nome – Costantinopoli – e governerà la parte orientale dell’Impero per più di mille anni dopo la morte del fondatore. Sarà una capitale cristiana, con grandi chiese, un nuovo senato e nuove residenze imperiali.
Nei confronti di Roma il suo interesse è molto limitato se riferito all’urbanistica civile. Non è così, invece, per quel che riguarda gli edifici destinati al culto della religione appena legalizzata. In ogni caso, Costantino risiederà poco nell’Urbe, sia per i suoi impegni militari sia perché – come abbiamo detto – preferirà Costantinopoli a Roma. Diversamente dal figlio, la madre Elena si stabilirà a Roma, ma non nel palazzo imperiale sul Palatino, bensì in una grande residenza, sempre di proprietà imperiale, posta ai limiti dell’area urbana, il Sessorium, o palazzo sessoriano.
In un’area poco distante dal Laterano, occupata da una serie di maestosi edifici realizzati in gran parte nel secolo precedente ad opera di imperatori appartenuti alla famiglia dei Severi, Costantino fa sorgere il più grande santuario urbano cristiano. Si tratta di un’area posta presso la Porta Asinaria, distante dal centro monumentale pagano; qui egli ricava un grande spazio edificabile, facendo smantellare la caserma delle guardie imperiali, i reparti rimasti fedeli fino all’ultimo al rivale Massenzio, e vi fa erigere un imponente complesso religioso dedicato al Salvatore: una basilica di enormi dimensioni con annesso battistero, oggi conosciuta come San Giovanni in Laterano.
La principale novità in campo edilizio, inaugurata da Costantino a Roma, è permettere, promuovere e sovvenzionare la costruzione di grandiose basiliche cristiane: solo una – con certezza – all’interno delle mura, il Laterano; numerose altre fuori dal recinto abitato, basiliche cimiteriali – come vedremo – destinate al culto ad corpus, sul corpo dei martiri.
La popolazione cristiana non è maggioranza ovunque, nell’Impero. Lo è forse in Oriente e in alcune aree del Nord Africa, ma non a Roma e in gran parte dell’Occidente. L’attenzione mostrata dal nuovo imperatore per i cristiani indica il peso sociale e politico che essi hanno ormai raggiunto; non si può tuttavia escludere che essa sia il riflesso di un effettivo cambiamento di fede; resta il fatto che – dal punto di vista formale – Costantino si converte al cristianesimo assai tardi, forse appena prima della morte, avvenuta nel 337.
Come interpretare allora la sua incessante attività, orientata a fare del cristianesimo «la religione» dell’Impero? De iure, infatti, il suo editto riconosce alla nuova religione il semplice diritto a vivere, a non essere perseguitata, e passerà alla storia come l’«editto di tolleranza», ad indicare che da quel momento la religione cristiana sarà «tollerata» al fianco delle altre. De facto, però, Costantino contribuisce sensibilmente a edificarne le fondamenta civili e istituzionali, a monumentalizzare le tombe dei suoi martiri, a definirne i contenuti dottrinali, a uniformarne il credo; a darle un volto, che ancora oggi mantiene in sé la tangibile testimonianza del suo progetto urbanistico, architettonico e politico.
Costantino sovvenziona la costruzione – su nuove aree – di basiliche dotate di portici e navate, di statue e mosaici, di marmi e colonnati; in ogni città dell’Impero, le comunità cristiane escono dai luoghi di culto privati, le domus ecclesiae, semplici sale interne alle case di fedeli benestanti, e costruiscono – quasi sempre con soldi pubblici – vere e proprie chiese. Sui corpi dei martiri, venerati con prudenza nelle catacombe, sorgono edifici in grado di contenere migliaia di persone.
A Roma, città della tradizione pagana, l’emersione della nuova fede dalla semiclandestinità ha un effetto dirompente. Una capitale cristiana prende forma nel giro di pochi anni e inizia a rivaleggiare con i maestosi santuari pagani del centro della città. Gli edifici dei cristiani sono meno imponenti, ma iniziano subito ad attrarre fedeli da ogni parte dell’Impero. La topografia della città in età costantiniana cambia: al profilo classico si sovrappone, via via, quello cristiano, ancor oggi chiaramente riconoscibile.
Oltre alla grande basilica del Laterano – presso la quale sorge l’unico battistero della comunità, dove solo il papa ha facoltà di battezzare i nuovi fedeli – vengono edificate anche una serie di chiese cimiteriali: San Sebastiano sulla via Appia; San Lorenzo sulla via Tiburtina; Sant’Agn...

Indice dei contenuti

  1. 1. Elena sul Golgota
  2. 2. Ambrogio, l’Impero e la croce
  3. 3. Cosroe il profanatore
  4. 4. Tra devozione e potere
  5. 5. Il talismano di Carlomagno
  6. 6. La lunga storia del culto delle reliquie
  7. 7. La Vera Croce nella «Legenda Aurea»
  8. 8. A Roma
  9. Bibliografia