Cattolici a sinistra
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Cattolici a sinistra

Dal modernismo ai giorni nostri

  1. 296 pagine
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Cattolici a sinistra

Dal modernismo ai giorni nostri

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È un mondo variegato e percorso da tante correnti di pensiero, quello dei cattolici legati ai temi della sinistra e ai movimenti sociali di liberazione. Dai credenti che abbracciarono l'utopia marxista ai cattolici moderati che ipotizzarono alleanze solo strategiche con i partiti dei lavoratori, Daniela Saresella presenta i molti percorsi e i differenti caratteri che hanno connotato il complesso rapporto tra mondo cattolico e sinistra nell'Italia dell'ultimo secolo.

Una attenzione particolare è rivolta alla complessa questione dell'unità politica dei cattolici che, auspicata per molti decenni, andò scomparendo con la fine del ruolo di coagulo dei voti moderati e anticomunisti assunto dalla Dc nella Prima Repubblica.

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III. Verso il cambiamento

3.1. La svolta conciliare

Il 1956 rappresentò una data spartiacque nello scenario politico internazionale, sia per la crisi del canale di Suez, che segnò una nuova tappa nel processo di emancipazione dei Paesi del Terzo mondo dalle ex potenze coloniali, sia per le novità che emersero nel blocco comunista, dove la fine del mito di Stalin aprì la speranza che fosse possibile costruire il socialismo percorrendo nuove vie. Tali vicende ebbero ripercussioni anche nel nostro Paese, dove il partito di Nenni accentuò la propria autonomia rispetto all’ingombrante alleato comunista e dimostrò la propria disponibilità a un rinnovamento democratico delle strutture del sistema politico e sociale; contemporaneamente nella Dc era in atto un duro scontro tra chi ipotizzava l’apertura al Psi e chi invece avallava colpi di coda della destra.
Le ipotesi di dialogo tra cattolici e socialisti trovarono un importante avallo nella nuova amministrazione americana1 e insperata forza con l’ascesa al soglio pontificio di Giovanni XXIII2, portatore di una rinnovata tensione spirituale e religiosa dopo il lento declino degli anni di Pio XII. Papa Roncalli non intervenne direttamente nella discussione in corso sull’apertura a sinistra ma, contraddicendo le posizioni maggioritarie all’interno della Curia, quando Fanfani e Moro si appellarono al pontefice ricevettero da lui un incoraggiamento a continuare nel percorso intrapreso3.
Gli ultimi anni Cinquanta furono dunque importanti per la cultura cattolica perché il papato giovanneo seppe spronare i credenti ad affrontare i problemi del mondo contemporaneo senza le pesanti eredità del periodo precedente, ma con uno spirito di apertura e di condivisione. Non è qui il caso di aprire un capitolo sul Concilio e di far riferimento alle importanti analisi e pubblicazioni che ha prodotto in proposito la storiografia, e in particolare l’Istituto di Scienze religiose Giovanni XXIII di Bologna. Certo è che quella che era stata la tensione escatologica che aveva caratterizzato il cristianesimo sin dalle origini parve avere come sbocco proprio la riflessione di questi anni, tanto che il Concilio fu da taluni vissuto come il «compimento del sogno dei profeti». Scriveva in proposito Dossetti: «si portò nel Concilio una certa ecclesiologia che era riflesso anche dell’esperienza fatta e della necessità di non impegnare la Chiesa nelle cose mondane, la Chiesa in quanto tale, e di non camuffare, politicamente e ecclesiologicamente, realtà politiche opinabili»4.
Dossetti ebbe un ruolo rilevante durante il Vaticano II in quanto, insieme a mons. Carlo Colombo, diventò perito conciliare e collaborò con i cardinali moderatori Lercaro, Döpfner, Suenens e Agagianian. L’ex esponente della sinistra democristiana si adoperò perché prevalesse una maggioranza favorevole ad una visione riformatrice e in particolare perché, recuperando il pensiero di Rosmini, si approdasse alla definizione della Chiesa come «popolo di Dio»; il suo impegno si spese anche a favore del decreto sull’ecumenismo, in cui si superava la convinzione che la religione di Roma avesse il monopolio della verità cristiana, e della dichiarazione Dignitatis humanae sulla libertà religiosa, che chiarì il rapporto tra autorità e libertà5. Ma soprattutto Dossetti ritenne che il Concilio, come già l’articolo 11 della Costituzione, e come auspicava la Pacem in terris, dovesse esplicitare il ripudio dei conflitti; ciò lo pose in contrasto con l’episcopato statunitense che, coinvolto direttamente nella guerra fredda, non riteneva opportuna una dichiarazione che avrebbe impedito l’appoggio alla politica estera americana6.
Questi cambiamenti in atto nella Chiesa implicarono anche trasformazioni nell’ambito politico perché, come ha sottolineato Scoppola, non ci può essere «una vera democrazia se non c’è prima riforma religiosa, un modo di intendere la vita religiosa adeguato alle responsabilità che la democrazia richiede»7. Le riflessioni che si svolsero in quegli anni portarono la Chiesa a superare «il ciclo del potere temporale, secondo le indicazioni dell’ultimo grande filosofo cristiano Antonio Rosmini nelle Cinque piaghe della Chiesa», e da ciò ebbe inizio la crisi della Dc: una Chiesa che riconduce il suo ruolo ad una dimensione spirituale, infatti, non può aspirare ad essere anche dispensatrice di indicazioni politiche8.
È all’interno di questo contesto che si assistette ad un nuovo fermento del mondo intellettuale e a una mobilitazione di energie e di intelligenze volte ad affrontare le sfide che si affacciavano nella società italiana: la ricerca avviata dal Concilio nel mondo dei credenti creò infatti le condizioni di una vivace elaborazione che avvenne principalmente attraverso le riviste, in particolare «Testimonianze» e «Questitalia», entrambe nate nel 1958. «Testimonianze», il cui direttore era lo scolopio p. Ernesto Balducci, individuò sin dall’inizio come pubblico quella parte del clero e del laicato cattolico che si mostrava insofferente nei confronti dell’attivismo dell’Azione cattolica di Gedda e in generale delle rigidità che avevano contrassegnato il pontificato di Pio XII: questi credenti cercavano spazi per conquistare una propria «maturità» nell’ambito della Chiesa e soprattutto intendevano «sclericalizzare la teologia e creare una cultura cattolica teologicamente qualificata». I punti di riferimento erano i teologi francesi de Lubac, Daniélou, Congar, e accanto ad essi Maritain, Mounier, Gabriel Marcel, Bernanos, da cui la rivista trasse stimoli sulla riflessione a proposito dell’autonomia della politica, del rispetto della persona, della distinzione tra valori spirituali e temporali, della condanna della civiltà occidentale9.
«Questitalia», fondata a Venezia da Wladimiro Dorigo, già esponente della sinistra della Base10, e ammonito nel 1955 dalla Chiesa per l’utilizzo di un linguaggio considerato «in odore di marxismo», si dichiarava una rivista non cattolica o di cattolici – anzi negò sempre con determinazione la legittimità di tale definizione – anche se pose al centro dei propri interessi il tema dell’organizzazione politica dei cattolici e del ruolo che essi avevano assunto nell’Italia del secondo dopoguerra. L’intento, come dichiarava Dorigo in una lettera aperta in cui sollecitava a contribuire all’iniziativa editoriale, era quello di creare
[...] una coerente, responsabile affermazione di opposizione politica alle forze che stanno spingendo a congiunture gravissime non soltanto lo Stato, ma anche la cristianità storica italiana, sia nello stesso tempo nutrita di salde convinzioni ideologiche e, soprattutto, di assoluta dirittura morale, e sia infine estremamente aperta e intimamente collegata a tutti i gruppi, le forze, le persone che, estranee o estraniatesi dalla Dc, intendono tuttavia battersi su simile linea di sviluppo rigorosamente democratico della nostra società11.
Nel solco della nuova sensibilità religiosa inaugurata dal papato giovanneo, nasceva nel 1960 la rivista «Relazioni sociali»12 ad opera di una nuova generazione di cattolici tra i 20 e i 30 anni decisi ad essere coerenti «con la verità religiosa e morale da essi confessata» e che intendevano «gettare la luce dei loro valori sulla realtà del tempo», ritenendo comunque di «potersi incontrare per un dialogo costruttivo anche con chi quella Verità non professava esplicitamente»13.
«Relazioni sociali» manifestava già nei primi numeri il desiderio di analizzare il vivo della situazione sociale e politica italiana, ed esprimeva la convinzione che il centrismo si fosse concluso nel 1953 e che, dopo un periodo di instabilità politica, fosse ora tempo di aprirsi a una diversa prospettiva; così la rivista vedeva con simpatia l’evoluzione del Partito socialista che, «superando i residui di certe posizioni massimalistiche», tendeva a distinguersi sempre più dal Pci e d’altro canto si augurava che il partito di maggioranza relativa desse dimostrazione «di dignità, di coscienza, di competenza, di chiarezza, di vera ed appassionata attenzione ai più gravi problemi» che angustiavano la società italiana, nella costante fedeltà «ai fondamentali valori umani e cristiani»14. Al quindicinale, diretto da Emanuele Ranci Ortigosa, collaborarono Valerio Onida, Ruggero Orfei, Marco Garzonio, Luigi Cella, Giacomo Corna Pellegrini, Franco Bassanini, Pippo Ranci, mons. Carlo Colombo, don Giorgio Basadonna, mons. Aldo Milani, mons. Enrico Cattaneo.
Dal gruppo di «Relazioni sociali» proveniva Luigi Covatta, che nel 1965 fu eletto al congresso di Trieste segretario nazionale di Intesa universitaria. Intesa, a livello nazionale, era composta da diverse anime; tra le più radicali c’era quella lombarda, coordinata da Vittorio Bellavite, che si caratterizzò per i toni aspri della polemica verso il moderatismo del movimento e soprattutto nei confronti del perdurante giuramento contro il modernismo richiesto agli studenti dell’Università Cattolica: così non mancarono tensioni tra questi giovani e quelli di Gioventù studentesca, per lo più schierati con don Luigi Giussani. Il primo scontro tra le due componenti era avvenuto nel 1962 quando don Giussani contestò Intesa – sostenuta da don Giovanni Barbareschi, assistente della Fuci ed ex partigiano – in relazione a tre questioni: l’accettazione del maritainismo, le posizioni antifranchiste e la rivendicazione dello strumento dello sciopero che Gs riteneva inaccettabile. Le accuse nascevano da un contesto di rapporti difficili, ma è vero che durante la direzione di Covatta Intesa entrò in contatto con i gruppi e le riviste d’avanguardia: a Venezia collaborava con «Questitalia», a Firenze con «Testimonianze» e a Napoli con «Il tetto». Covatta fu costretto alle dimissioni nell’ottobre del 1967, ma Intesa si spostò su posizioni ancor più estreme; nel 1968 la maggior parte degli aderenti ad Intesa confluì poi nel Movimento studentesco, anche se l’organizzazione ufficialmente non si sciolse.
Sempre a Milano – a dimostrazione della vivacità del cattolicesimo nel capoluogo lombardo di quegli anni – uscì dal novembre 1957 «Milano Studenti»15; dapprima bimestrale, poi mensile e dall’ottobre del 1963 quindicinale, il periodico raggiunse le 15.000 copie16. Dal 1966, con la direzione di Luca Perrone, il giornale si mostrò sensibile alle nuove tematiche sollevate dal Concilio e cominciò a concentrarsi sui problemi del Terzo mondo e sulle situazioni di disagio e di povertà esistenti nel nostro Paese, affrontando dunque questioni al centro degli interessi anche del nascente Movimento studentesco; infatti gli ultimi numeri del giornale offrirono ampio spazio alla contestazione giovanile, mentre molti lettori erano ormai tra i protagonisti delle lotte che in quegli anni scuotevano la società italiana.
Nel 1965, sempre nella diocesi ambrosiana, prendeva poi forma il «Momento», pensato come continuazione delle precedenti esperienze dei periodici «Nuova Presenza» e «La Fornace»; si trattava di una pubblicazione che si definiva «di testimonianze e di dialogo» e che, vicina alla spiritualità di Teilhard de Chardin17, ben si inseriva nel nuovo clima che l’esperienza conciliare aveva diffuso nel mondo cattolico. Il bimestrale, diretto da Marcello Gentili, racchiudeva tre differenti tendenze: una derivante dall’eredità di don Mazzolari, una sostenitrice del personalismo comunitario e una, viva soprattutto negli anni della contestazione, di cattolici impegnati nei comitati unitari di base e disponibili al dialogo con il variegato arcipelago marxista18.
Nel maggio 1964 il mondo cattolico fiorentino diede vita al primo numero di «Note di Cultura», che contava come ideatori gli stessi credenti che avevano fondato nel 1955 la rivista della sinistra democristiana «Politica»; dopo un primo periodo di convivenza anche logistica tra i due periodici, si arrivò alla scissione e alla stretta collaborazione di «Note di Cultura» con i cattolici che ruotavano intorno alla rivista «Testimonianze»19. Il periodico concentrò i propri interessi soprattutto sui problemi internazionali, evidenziando in particolare una sensibilità vicina a quella di La Pira sulla guerra del Vietnam e sul Medio Oriente20. Nello stesso anno venne fondato a Napoli «Il tetto», come prosecuzione – anche se non mancava un atteggiamento di dissenso e di polemica – della rivista giovanile della Democrazia cristiana «Quarta generazione»; «Il tetto», che criticava la strumentalizzazione politica e integristica della Dc, si orientò prevalentemente sul piano ecclesiologico e su quello dei rapporti fra Chiesa e mondo, raramente giungendo a discorsi esclusivamente politici21.
Nel giugno del 1967 nasceva poi il settimanale «Settegiorni», diretto da Ruggero Orfei e Piero Pratesi, con lo scopo di preparare l’o...

Indice dei contenuti

  1. Introduzione
  2. I. Dai socialisti cristiani alla Resistenza
  3. II. Dai cattolici comunisti all’apertura a sinistra
  4. III. Verso il cambiamento
  5. IV. A cavallo tra il primo e il secondo millennio