28 aprile 1906. L'Esposizione internazionale
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28 aprile 1906. L'Esposizione internazionale

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Pur con qualche intoppo e sotto una pioggia torrenziale, quello dellapertura dellEsposizione internazionale è un giorno di festa: alla presenza del re, della regina e di ministri e capi di stato di molti paesi, i visitatori possono finalmente accedere allarea di 980.000 metri quadrati fra la Piazza dArmi e il Parco Sempione, collegati da una ferrovia elettrica sopraelevata, ed entrare negli oltre 200 edifici e padiglioni.Celebrata dalla stampa dellepoca come «uno di quei miracoli di volontà che tornano ad onore della capitale lombarda e di tutta lItalia», lEsposizione del 1906, da un lato, rappresenta lesaltazione della modernità e, dallaltro, esprime e dà forma alla volontà di Milano di proporsi come capitale economica (e dunque, in un certo senso, anche come capitale morale) dItalia, mostrando le sue capacità imprenditoriali, produttive, commerciali e organizzative. Milano e la Lombardia sono del resto già allinizio del Novecento il fulcro economico del Paese, la parte dItalia più pienamente integrata nella cornice europea, e lEsposizione del 1906 vuol essere limmagine visibile di questa realtà.Accanto alla celebrazione della borghesia lombarda e del suo saper fare compare per la prima volta anche il lavoro organizzato. Con una significativa scelta dei tempi, è proprio nei mesi dellEsposizione, visitata da rappresentanze operaie organizzate, che viene fondata a Milano la Confederazione generale del lavoro.

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Informazioni

Anno
2012
ISBN
9788858101247
Argomento
History

28 aprile 1906. L’Esposizione internazionale

di Giuseppe Berta
Richiamare il ruolo di centro fieristico di Milano è oggi un luogo comune, specie dopo che sulla città è caduta la scelta dell’Expo 2015, al punto che quella che si definisce la sua «vocazione fieristica» è data per scontata, una qualità che spetta di diritto alla sede della più nota delle fiere italiane. Ma quando è stato che Milano ha adottato per sé questa funzione? Quando ha voluto diventare la vetrina dell’Italia e del suo volto più moderno? Non c’è dubbio che il passaggio determinante sia avvenuto, da questo punto di vista, con l’Esposizione internazionale del 1906, quella che Milano organizzò per celebrare il traforo ferroviario del Sempione, la grande opera che si volle ricreare in un’area espositiva della città, destinata a essere ribattezzata proprio come Parco Sempione. Una mostra che si collocava nel solco delle altre che, da oltre mezzo secolo, avevano lo scopo di rappresentare visivamente, per una gran massa di spettatori, la marcia del progresso delle forze materiali, con le sue acquisizioni e i suoi risultati, ma che, nel medesimo tempo, doveva assumere un valore particolare per la città, la quale volle riconoscersi in essa con un grado di identificazione particolare, come se quella Esposizione costituisse per la città un’occasione da non perdere, che poteva attribuirle una nuova missione dopo gli anni difficili della fine secolo.
Rivisitata con la sensibilità odierna, l’Esposizione rischia di apparire contraddistinta da un’enfasi insistentemente celebrativa e retorica. Un’enfasi peraltro contraddetta o messa a rischio da una struttura piuttosto rozza e sommaria. I 225 edifici, «progettati in uno stile liberty piuttosto grossolano e appariscente», non spiccavano per qualità architettonica. Il loro colore bianco sporco «fece dire che la mostra era un ‘cimitero monumentale in gesso, imbandierato’»[1]. La novità più vistosa era offerta dal sistema di illuminazione, poiché i fanali dei viali e dei padiglioni erano tutti alimentati dall’elettricità, il che conferiva all’insieme, ogni sera, dalle ventuno alla mezzanotte, un biancore abbagliante.
Ma per Milano questa realizzazione fu motivo di orgoglio condiviso, avvalorato dalla partecipazione di ventiquattro nazioni, fra le quali, oltre ai principali paesi europei, figuravano anche la Russia, la Cina, il Giappone. Ciò accelerava il cosmopolitismo della città, ne accentuava il carattere composito, la natura metropolitana di luogo di produzione, ma anche di traffico e di scambio: tutte condizioni in cui l’élite milanese ravvisava i requisiti che la potevano abilitare ad assolvere a un compito di capitale della modernità cui aveva titolo più di ogni altra città italiana. Fu questo intento, insieme alla lucidità con cui la società milanese nel suo complesso si identificò con l’operazione di quella grande mostra a trasformarla in un successo, al di là degli stessi dati quantitativi e dell’efficacia concreta della manifestazione.
Perché, a dire il vero, l’Esposizione internazionale, che si inaugurò alla presenza dei reali d’Italia il 28 aprile 1906, non fu un successo organizzativo, almeno secondo gli standard applicati a quelli che costituiscono i «grandi eventi» odierni. Al contrario, quella mostra fu caratterizzata da una sequenza di incidenti piccoli e grandi, da imperfezioni logistiche, da deficit organizzativi che saltano all’occhio di chi la rivisiti secondo i criteri che si applicano oggi a questo tipo di eventi. Già l’inaugurazione in due tempi – con l’apertura, il 28 aprile, della parte situata nell’area del Parco Sempione e, il 30 aprile, dell’area relativa alla Piazza d’Armi – costituisce una scelta tale da suscitare di per se stessa delle perplessità[2]. Ma il fatto più grave fu certamente l’incendio che, nella notte fra il 2 e il 3 agosto, distrusse numerose delle installazioni fieristiche. Eppure, né le copiosissime piogge primaverili che subito prima dell’inaugurazione avevano trasformato il Parco Sempione in una distesa di melma, né il fuoco nell’agosto successivo, furono sufficienti a colpire l’immagine complessivamente di successo dell’Esposizione. Forse perché Milano aveva voluto vivere quell’appuntamento come un’affermazione di sé e, soprattutto, vi si...

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