Sbirri e padreterni
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Sbirri e padreterni

Storie di morti e fantasmi, di patti e ricatti, di trame e misteri

  1. 320 pagine
  2. Italian
  3. ePUB (disponibile sull'app)
  4. Disponibile su iOS e Android
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Sbirri e padreterni

Storie di morti e fantasmi, di patti e ricatti, di trame e misteri

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L'abbiamo davvero combattuta la lotta alla mafia? Alcuni lo hanno creduto possibile e si sono spesi fino alla morte. Altri, molti, hanno trafficato, trescato fino a perpetuare il vizio italiano dell'accordo sotto banco. Questo libro racconta la duratura, stabile, alleanza tra un pezzo delle istituzioni e Cosa Nostra. Il permanente canale di comunicazione aperto da settori del nostro apparato di intelligence e di sicurezza e della politica con l'universo delle coppole. È la storia sottotraccia, con nomi e cognomi, della recente lotta alla mafia. Che passa per la stagione delle stragi e la loro intima ragione, tracciando il profilo di chi ha fatturato il risultato di quell'orrore.

Oltre i rigori del carcere duro, del 41 bis, e spesso grazie a quelli, una batteria di nuovi collaboratori di giustizia è stata pronta a raccontare tutto e il contrario di tutto. Diventando le pedine del gioco grande. Su questa scacchiera non il falso, ma il vero apparente, il suo doppio e il suo triplo, giocano una partita torbida che ha per posta carriere, quattrini, tanti, ma soprattutto la sopravvivenza di un sistema di potere. Che si fa beffe dell'opinione pubblica e del suo disorientamento. Che fa di Cosa Nostra e delle altre mafie un mostro fiaccato ma mai morente. In questo libro la testimonianza, inedita, di Franco Di Carlo, ex boss dei Corleonesi, che nella consuetudine al dialogo con le istituzioni ha edificato la propria carriera criminale, occupa una parte centrale. Perché nella sua esperienza, ladri e guardie, quei mondi apparentemente inconciliabili, si sono parlati e accordati. Mettendo reciprocamente sul piatto quanto avevano da offrire: piombo e morte gli uni; impunità totale che impasta il mito dell'invincibilità, gli altri.

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Informazioni

Anno
2016
ISBN
9788858126097
Argomento
Economics

II. Servigi segreti

Chi è mister X

A questo punto del racconto è necessario dare un nome al terzo uomo che va con Giovanni e Nigel, a metà dell’88, a chiedere una mano a Franco Di Carlo per trovare un contatto con i Corleonesi.
Sappiamo che è italiano, che si è presentato distrattamente e che ha assistito in silenzio annuendo di tanto in tanto all’articolata proposta che Giovanni ha fatto a Franco Di Carlo. Non si è esposto e non ha interloquito ma ha dato tutta l’aria di fare lo stesso lavoro di Giovanni, l’amico di Mario e del generale Giuseppe Santovito.
A Franco Di Carlo il volto di quell’uomo è rimasto ben impresso, ma non sa chi sia fino al giorno in cui, aprendo un giornale italiano, non se lo ritrova davanti in fotografia.
Quell’uomo, il terzo uomo, sostiene Di Carlo, è Arnaldo La Barbera, il capo della squadra mobile di Palermo.
Su quel giornale era ritratto La Barbera perché era stato protagonista dell’uccisione di un rapinatore che, insieme con un complice, aveva assaltato il centro estetico dove il poliziotto andava a tagliarsi i capelli, abbattendone uno con tre proiettili e ferendo gravemente l’altro.
Era il 3 gennaio del 19921. L’inchiesta a carico di La Barbera viene chiusa in poco tempo. L’11 febbraio è lo stesso pm a chiedere l’archiviazione: il poliziotto ha agito per legittima difesa.
L’episodio suscitò parecchio scalpore e contribuì ad accrescere la fama di duro che La Barbera aveva già da quando, a Venezia, durante un rocambolesco inseguimento aveva ucciso un contrabbandiere. I giornali e le televisioni parlarono per giorni di quella che dal mio punto di vista fu una specie di esecuzione, tuttavia nessuno sollevò dubbi sulle modalità della sparatoria, né tantomeno La Barbera subì conseguenze di alcun genere, anzi la sua carriera ne uscì rafforzata.
Dunque, il 4 gennaio del 1992 o nei giorni immediatamente successivi, nel carcere inglese, Franco Di Carlo scopre che ad incontrarlo insieme con Giovanni e Nigel non era andato un misterioso quanto taciturno uomo dei servizi segreti ma il capo della squadra mobile di Palermo.
E questa non è l’unica sorpresa. Perché La Barbera, appura Franco Di Carlo, non è solo il terzo misterioso personaggio che è andato a trovarlo in carcere. La Barbera è anche quel mister X, l’investigatore italiano che accompagnava i giudici volati in Inghilterra per interrogarlo e che si era tenuto a distanza.
Quella stessa foto che mi permise di individuare La Barbera e di appurare che era proprio lui ad accompagnare Giovanni, la feci avere ai miei coimputati, chiedendogli se per caso avessero avuto rapporti con quell’uomo. Mi risposero che sì, era andato proprio lui a interrogarli assieme ai giudici. Era lui il chief della polizia che da me non era venuto. Mi era già sembrato strano il suo comportamento: ero considerato un capo di Cosa Nostra, i collaboratori di giustizia, e in particolar modo Salvatore Contorno, mi avevano inserito tra i componenti della commissione. Contorno riteneva che io ne facessi parte perché ero io, alle dirette dipendenze di Michele Greco, a tenere i contatti e ad avvisare i capi delle province quando veniva convocata la commissione regionale: si trattava di un incarico di estrema delicatezza e la mia presenza a Favarella deve averlo indotto a pensare che anche io fossi uno dei capi.
Tuttavia, nonostante questa fama, lui, mister X, preferisce assistere all’interrogatorio di due presunti trafficanti qualsiasi, neppure affiliati a Cosa Nostra, e invece ignora quello che le indagini consideravano il pezzo grosso del gruppo? Dopo aver messo insieme tutte le tessere del mosaico, so bene perché non sia venuto a incontrarmi alla presenza dei magistrati: non era entrato al colloquio ufficiale perché avrebbe dovuto presentarsi ed evidentemente aveva già in animo di tornare da me con ben altra compagnia. Sarebbe stato costretto a dirmi chi era e quale fosse il suo lavoro ufficiale. Poi era tornato per incontrarmi con un altro scopo e senza la presenza di magistrati, e questa volta aveva assistito al colloquio che io ho avuto con Giovanni e non aveva avuto alcuna necessità di chiarirmi che si trattava del capo della squadra mobile di Palermo. Del resto, per quel colloquio, a me bastava sapere che era inserito nei servizi segreti e questo ho creduto fino a quando non ho scoperto chi fosse in realtà.

Il superpoliziotto e gli altri

Il capo della squadra mobile, secondo il racconto di Franco Di Carlo, lavora anche per i servizi segreti, e se, come abbiamo visto, nella sua veste ufficiale affianca Falcone e De Gennaro in importanti indagini, nell’ombra partecipa a un’operazione che già nell’89 punta a mettere nell’angolo Falcone. Si tratta di un tassello delicatissimo e importante che solo adesso Franco Di Carlo ha deciso di rivelare e che va a collocarsi in una rilettura di molti degli accadimenti che qui sono stati raccontati e degli altri che tra poco racconteremo.
Prima di ora non me la sono sentita di svelare questo segreto che custodivo, ho avuto remore a dirlo perché temevo per la mia incolumità, ma credo che ai magistrati che indagano su quegli anni basterà poco per trovare conferme, alcune nebbie si sono diradate e alcune certezze stanno affiorando, non potevo e non dovevo più tacere anche se in questi lunghi anni ho diffidato e molto quando ho seguito l’evolversi della situazione in Sicilia.
La Barbera è morto nel settembre del 2002, a pochi mesi da un interrogatorio che lo vedeva indagato per l’irruzione nella scuola Diaz di Genova durante il G8 del luglio 2001 in qualità di capo dell’Ucigos (Ufficio centrale per le investigazioni generali e le operazioni speciali). In molti giurarono che era stato lì, spinto dallo zelo di una verifica diretta su ciò che stesse accadendo, che fu tra i pochi che sconsigliarono qualsiasi azione sommaria, che tutto precipitò quando se ne era già andato. A divorarlo fu il male e il tormento di aver chiuso la carriera con quella macchia infamante quando era già prefetto e costretto ad un allontanamento per ragioni di opportunità dall’Ucigos in attesa di una gratificante chiamata di Fernando Masone come suo vice al Cesis, l’organismo di coordinamento dei servizi di sicurezza.
Da dirigente della squadra mobile di Palermo aveva inanellato parecchi successi che ne avevano disegnato il profilo di un poliziotto capace di risolvere le questioni più complesse, chiamato ovunque la situazione rischiasse di precipitare. Per questo si era guadagnato l’appellativo di “113 della polizia”. Amato dai suoi uomini, era considerato uno degli elementi di punta della nuova polizia insieme con le leve più giovani che Parisi prima e Masone poi avevano lasciato crescere.
Dopo la sua morte sono affiorate altre verità: la sua indagine sulla strage di via D’Amelio, tutta incentrata sulle rivelazioni del falso pentito Scarantino, era un clamoroso errore, forse dettato da ansia di risultato, forse un depistaggio in piena regola. E scavando su quella indagine che ha portato alla revisione del processo e alla scarcerazione, dopo diciassette anni, di otto innocenti condannati all’ergastolo, nel 2010 si è scoperto che Arnaldo La Barbera, nell’86 e nell’87, aveva percepito un assegno di un milione di lire dal Sisde. Era un agente sotto copertura, nome in codice Rutilius, che però non aveva redatto alcuna relazione di servizio e, stando ai suoi superiori, come vedremo, si era limitato ad aggiornare sullo stato della criminalità del Nord.
L’inedita rivelazione di Franco Di Carlo si aggiunge a queste certezze giudiziarie sul rapporto di collaborazione di La Barbera con il Sisde, ma sposta in avanti di almeno un anno il rapporto e soprattutto rivela ben altri progetti.
La Barbera era nato a Lecce nel 1942. Aveva lavorato in Montedison fino a trentuno anni. Poi, nel 1972, entra in polizia.
Dopo gli esordi fa rapidamente carriera e, dal 1976 al 1988, dirige la squadra mobile di Venezia. Arriva per la prima volta a Palermo nel 1985, dopo la morte del capo della sezione catturandi della squadra mobile Beppe Montana, ucciso il 28 luglio a Porticello, e del vicecapo Ninni Cassarà, assassinato il 6 agosto di quello stesso anno, e soprattutto dopo l’ondata di arresti che decimano l’apparato investigativo per la morte sotto interrogatorio di Salvatore Marino, un calciatore dilettante la cui famiglia è vicina al clan del boss Tommaso Spadaro, il re della Kalsa, sospettato di aver avuto un ruolo nell’omicidio Montana. La sua missione è quella di riorganizzare la squadra mobile che andrà a dirigere poi definitivamente nel 1988.
«Il capo della polizia – ha ricordato Gianni De Gennaro al funerale di La Barbera – mi disse di partire per Palermo portando con me gli uomini che ritenevo potessero affrontare una simile emergenza: la prima telefonata la feci a La Barbera».
Sul finire dell’85 e l’anno successivo i vertici di polizia e Servizi vengono rinnovati. A gennaio del 1987 l’allora ministro Oscar Luigi Scalfaro sostituisce il capo della polizia Giuseppe Porpora con l’allora capo del Sisde Vincenzo Parisi. Riccardo Malpica, allora vicecapo del Cesis, va al posto di Parisi e ci resta fino al 1991, sotto i ministri Gava e Scotti.
La Barbera, dopo le stragi del 1992, assume la guida del gruppo Falcone e Borsellino, la struttura investigativa che sotto il coordinamento della Procura di Caltanissetta svolge le indagini sugli eccidi. Nel 1994 torna a Palermo da questore, nel 1997 viene trasferito a Napoli e due anni dopo a Roma per il Giubileo. Nominato prefetto, diventa direttore centrale della polizia di prevenzione Ucigos. Dopo i fatti di Genova il ministro Claudio Scajola lo rimuove dall’incarico, ma la carriera di La Barbera non si ferma e arriva alla vicedirezione del Cesis. L’anno dopo, appena sessantenne, muore a Verona stroncato dal cancro.
«Il tempo ti darà ragione», dice De Gennaro durante l’orazione funebre. In tanti tributano all’uomo e al poliziotto l’onore di un ricordo limpido e senza ombre. «Sono fiducioso che la magistratura farà il suo lavoro. L’uomo che ho conosciuto è ineccepibile e mi auguro che questo emergerà – ha detto di lui l’ex procuratore capo di Palermo Gian Carlo Caselli –. Ho avuto modo di apprezzare la straordinaria capacità professionale e l’incredibile carica umana di La Barbera, nonostante l’apparente incapacità di comunicare». Ai funerali, a Santa Maria degli Angeli a Roma, intervengono tra gli altri il ministro dell’Interno Giuseppe Pisanu, l’ex ministro Claudio Scajola, il vicepresidente del Senato Domenico Fisichella, il direttore del Cesis Fernando Masone, il direttore del Dap Giovanni Tinebra, il vicecapo della polizia Antonio Manganelli, gli ex ministri Nicola Mancino e Giorgio Napolitano e l’ex presidente della Camera Luciano Violante.
Andai anche io – racconta Di Carlo – Mi presentai in incognito a quei funerali, speravo di vedere Giovanni e per la verità credevo di potere incontrare anche Mario, ma non vidi né l’uno, né l’altro. Mi sistemai sotto le colonne ai lati di piazza della Repubblica, provando a vedere senza essere notato ma non riconobbi tra la folla nessuno dei due.
Nel 2005 viene pubblicata la biografia del poliziotto2, scritta dal giornalista Claudio Tessarolo che lo ha conosciuto da vicino negli anni in Veneto, quando La Barbera si conquista la fama da sbirro di prim’ordine nella lotta al terrorismo, nell’indagine sul racket dei giostrai e su quella contro la mala del Brenta di Felice Maniero, “Faccia d’angelo”. Alla presentazione intervengono l’attuale direttore di «Panorama», Giorgio Mulè, già cronista del «Giornale di Sicilia» che a Palermo era uno dei pochi ad avere un rapporto diretto con La Barbera, e Luigi De Sena, parlamentare del Pd, vicepresidente della Commissione antimafia, ex prefetto, ex Sisde, già capo dell’Uci, l’Unità centrale informativa che ha diretto dal 1985 al 1992. Entrambi disegnano il ritratto di un fedele servitore dello Stato e provano a correggere quella fama da duro che ha sempre accompagnato la carriera del superpoliziotto.
Come si scoprirà più tardi, è proprio De Sena l’uomo del Sisde a cui fa riferimento La Barbera negli anni in cui risulta sul libro paga dei Servizi.
De Sena, originario di Nola, nominato prefetto di Reggio Calabria nel 2005 con superpoteri anti-’ndrangheta, è entrato in polizia prima di La Barbera, nel 1968. I suoi esordi sono a Treviso ed è lì che i due hanno modo di collaborare. Nel 1977 è trasferito a Roma e quattro anni dopo passa alla guida della squadra mobile. Dal 1985 al 1992 è assegnato, fuori ruolo, al Sisde. Dal 1993 al 1996 dirige l’Ufficio ispettivo per l’Italia centrale del Dipartimento di pubblica sicurezza. Nel ’96 torna alla Criminalpol. Quindi va a dirigere i servizi logistici del ministero e nel dicembre del 2003 diventa vicecapo della polizia e direttore della Criminalpol. Nel 2008, viene eletto in Senato per il Pd.
Il 17 gennaio 1995 testimonia al processo Contrada, finisce indagato e poi archiviato per falsa testimonianza: sostiene che Giovanni Falcone era pronto a firmare un comunicato a sostegno del funzionario di polizia quando un articolo sul settimanale «L’Espresso» indicò Contrada come colui il quale aveva fatto fuggire l’industriale Oliviero Tognoli3, accusato di riciclare i miliardi delle cosche. «Non c’è nulla di vero», avrebbe detto Falcone secondo De Sena, invitandolo a redigere una pubblica presa di posizione che lui, Falcone, si sarebbe detto pronto a sottoscrivere. Una circostanza che Alfredo Morvillo, cognato di Falcone e pm in quel processo, smentì con foga durante la requisitoria: «Qui superiamo tutti i limiti della decenza – disse –, queste parole sono un’offesa per tutti coloro che ascoltano. Sappiamo benissimo che opinione avesse Falcone del dottor Contrada».
A De Sena non riesce la difesa d’ufficio del collega, nonostante lo spericolato azzardo4.
Il 30 aprile del 1999 il gip di Palermo Giovanni Puglisi, su conforme richiesta del sostituto procuratore Antonio In­groia, dispone l’archiviazione delle posizioni giudiziarie di De Sena e altri 13, sospettati di aver voluto...

Indice dei contenuti

  1. Ringraziamenti
  2. Le trattative
  3. I. Stato nostro
  4. II. Servigi segreti
  5. III. La trattativa Stato-mafia