Rischio e previsione
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Rischio e previsione

Cosa può dirci la scienza sulla crisi

  1. 264 pagine
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Rischio e previsione

Cosa può dirci la scienza sulla crisi

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Economisti e politici hanno bisogno di adottare una mentalità scientifica. Ecco come la scienza può aiutarci a capire la crisi economica e può fornirci soluzioni originali.Ogni giorno ci viene ripetuto che esistono delle leggi di mercato, la domanda e l'offerta, che non possono che condizionare le nostre vite. Queste norme appaiono come 'naturali' quanto la legge di gravità, e gli economisti, utilizzando equazioni e modelli matematici, sono percepiti come gli scienziati destinati a comprenderle e a interpretarle. Ma veramente possiamo fidarci delle previsioni dell'economia come di quelle della fisica? Ancora di più: l'economia è davvero una scienza?Il sistema economico è ancora descritto come costantemente caratterizzato dalla ricerca di una condizione di equilibrio stabile. A questa prospettiva, che rispecchia i limiti e le idee della fisica dell'Ottocento, l'autore contrappone le intuizioni offerte dalla fisica moderna prendendo in considerazione i recenti sviluppi sullo studio dei sistemi caotici e complessi.

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Informazioni

Anno
2016
ISBN
9788858125069
Argomento
Storia

II.
Crisi

1. Rigore e realismo

Il compito di prevedere il futuro per assicurare la sussistenza del popolo, affidato nella società maya ai sacerdoti-astronomi, è oggi assegnato a chi si propone di interpretare i grandi movimenti della società, organizzare la sua economia e orientare di conseguenza la sua politica. Questo dovrebbe essere, dunque, il compito degli scienziati sociali e degli economisti in particolare. Alcuni lo fanno in maniera egregia, mentre molti altri sembrano appartenere a una casta simile a quella dei sacerdoti-astronomi, con la differenza che il potere derivante dal ruolo non sembra affiancato dalla capacità di formulare delle previsioni utili alla collettività. Si tratta di un particolare sottoinsieme di economisti, che si trova nelle università ma più spesso nei consigli di amministrazione di società pubbliche e private, nella politica, nelle organizzazioni internazionali, ecc. Alcuni partecipano spesso ai talk show televisivi e scrivono i loro editoriali sui principali quotidiani, oppure s’incontrano in politica, come alti funzionari e ministri, e sono accreditati presso l’opinione pubblica per il loro ruolo tecnico, cioè in quanto detentori delle conoscenze di una disciplina che dovrebbe fornire risposte scientificamente fondate ai grandi problemi della società moderna.
Troppo spesso quest’apparente veste tecnico-scientifica sembra non corrispondere alla capacità di comprendere la società: anzi, potrebbe sembrare che far passare l’economia per una scienza capace di trovare in maniera univoca le risposte alle diverse questioni che riguardano la vita economica di un paese, di una società o di un individuo, sia una maniera artificiosa per far apparire le scelte politiche come risultati tecnico-scientifici, e quindi neutri. Questi sacerdoti del XXI secolo sembrano studiare qualsia­si aspetto della vita umana, cercando di quantificare una qualche forma di valore per trovare la relativa ottimizzazione dell’efficienza. Dalla politica economica a quella universitaria, dall’andamento delle Borse all’organizzazione del mercato del lavoro, da come operare i tagli alla sanità pubblica a come riorientare interi settori industriali, ecc.: sembra che non ci sia campo dello scibile e dell’azione umana che non possa esser ricondotto a un semplice modello applicabile in tutte le situazioni e valido per ottimizzare e rendere più efficiente qualsiasi situazione.
Tuttavia, ciò che è più importante, le teorie economiche hanno un impatto molto rilevante sulla nostra vita di tutti i giorni e da qualche decennio a questa parte quella neoclassica, dominante – come vedremo – nell’accademia, nella politica e nel dibattito pubblico, ha spinto in favore della deregolamentazione e della liberalizzazione dell’economia con l’argomento che i vincoli di ogni genere impediscono ai mercati di raggiungere il loro equilibrio perfetto e il loro stato di massima efficienza. Il punto cruciale dell’impatto della dottrina economica sulle scelte politiche è ben spiegato dal fisico Mark Buchanan nel suo documentato saggio sul tema89.
Nell’ultimo mezzo secolo la teoria economica neoclassica ha fornito le basi teoriche per sostenere che, al fine di aumentare l’efficienza del mercato, i governi avrebbero dovuto privatizzare le proprie industrie e deregolamentare il mercato stesso. Questo risultato sarebbe dimostrato da raffinate teorie economiche che, attraverso una procedura logico-deduttiva, caratterizzata da un certo rigore formale matematico, avrebbero fornito una serie di teoremi matematici a supporto di tali conclusioni. Tuttavia, studiando le ipotesi alla base dei teoremi matematici utilizzati in economia, si nota una straordinaria differenza tra le condizioni in cui questi si applicano e la realtà: il realismo, al contrario del rigore, è stato del tutto trascurato. A differenza delle teorie della fisica, come ad esempio la teoria della relatività o la meccanica quantistica, che sono state soggette a un’intensa verifica sperimentale, non sembra che per quanto riguarda l’economia neoclassica ci sia stata una simile tensione per testare le ipotesi su cui si basa attraverso il loro confronto con la realtà empirica.
Il fisico teorico francese Jean-Philippe Bouchaud, esperto anche nello studio dei mercati finanziari, in un editoriale dal titolo L’economia ha bisogno di una rivoluzione scientifica90, pubblicato su «Nature» nel 2008, all’indomani del fallimento della Lehman Brothers, manifestò un’analoga preoccupazione. Dopo aver rilevato come il progresso delle conoscenze in fisica abbia permesso lo straordinario sviluppo tecnologico – dalla conquista della Luna alla diffusione di quei concentrati di scoperte tecnologiche che abbiamo in tasca nella forma di smartphones – cui abbiamo assistito negli ultimi cinquant’anni, si chiedeva: «Qual è allora un successo che sia il fiore all’occhiello dell’economia91, oltre alla sua ricorrente incapacità di prevedere e prevenire le crisi?».
I ilhuica tlamatilizmatini maya sapevano prevedere le stagioni, ma i sacerdoti-economisti moderni sono davvero capaci di interpretare i comportamenti e i movimenti degli uomini, dei mercati, delle economie, degli Stati, e di prevederne il futuro? L’opinione pubblica, i cittadini, i politici, per perseguire il benessere particolare e, soprattutto, quello generale, possono davvero fidarsi dei consigli e delle previsioni dei sacerdoti-economisti?

2. La domanda della regina

Il 15 settembre 2008 la società di servizi finanziari Lehman Brothers presentò istanza di fallimento: si è trattato della più grande bancarotta nella storia degli Stati Uniti poiché la Lehman deteneva più di 600 miliardi di dollari di debiti bancari. Questo importante evento, che può essere considerato l’apice di una serie di turbolenze iniziate qualche anno prima, ha innescato una crisi finanziaria globale, la più grande dal crollo di Wall Street del 1929, che a sua volta ha determinato una recessione ancora oggi in atto, dopo otto anni, in molti paesi. Tra il settembre del 2007 e il febbraio del 2009 la Borsa ha infatti perso il 50% del suo valore e le conseguenze di questi eventi drammatici non sono ancora esaurite.
Qualche mese più tardi, il 5 novembre 2008, la regina Elisabetta e il duca di Edimburgo visitarono la più importante istituzione accademica per gli studi economici del Regno Unito, la London School of Economics (LSE), per inaugurare un nuovo edificio. Durante la cerimonia di apertura, Sua Maestà pose quella che è passata alla storia come «la domanda della regina». Secondo i quotidiani inglesi92, dopo aver discusso della crisi finanziaria globale, che all’epoca stava esplodendo in tutta la sua virulenza, chiese ad alcuni professori della LSE: «Perché nessuno se n’è accorto in tempo?». In effetti, sebbene alcuni economisti avessero previsto che una crisi finanziaria globale era in arrivo, la maggior parte di essi, e in particolare quelli che si rifanno alla scuola neo­classica – quasi tutti i docenti della LSE –, non erano riusciti a prevederla; anzi molti di loro avevano negato che ci fosse il rischio di una grave crisi finanziaria in via di sviluppo.
La domanda della regina mette a fuoco il problema delle previsioni in economia. Nel capitolo I abbiamo distinto due categorie di previsioni: quelle utili a falsificare una teoria scientifica e quelle che, dando per assodate la validità e la conoscenza delle leggi dinamiche, attraverso la combinazione di grandi quantità di dati osservativi, di simulazioni numeriche e di modelli fenomenologici, si propongono di fornire degli elementi predittivi su sistemi aperti e complessi che possono essere di aiuto ai decisori politici per scopi diversi, dalla prevenzione di calamità naturali alla protezione civile. Nel caso dell’economia, come vedremo, le previsioni si dovrebbero caratterizzare per avere elementi di entrambe le categorie: da una parte, infatti, abbiamo a che fare con un sistema complesso e aperto per cui le previsioni sono utili per ovvie ragioni di pianificazione politica; dall’altra parte, le previsioni possono essere usate per falsificare i modelli teorici da cui sono elaborate.
A differenza della previsione dei terremoti, degli eventi meteorologici estremi o anche del meteo ordinario, in cui si conoscono le leggi di evoluzione deterministiche, in economia queste leggi non sono note né hanno un carattere universale e immutabile come le leggi di natura. È necessario, dunque, formulare dei modelli basati su alcune assunzioni teoriche per descrivere il comportamento dei sistemi economici e dei suoi agenti. Da questi modelli si possono ricavare una serie d’indicazioni sia sul loro comportamento futuro sia su come intervenire, ad esempio, per implementare determinate politiche economiche: in entrambi i casi, le assunzioni del modello giocano un ruolo chiave. Perciò il confronto dei modelli e delle assunzioni alla loro base con la realtà, che sia questa l’andamento macroeconomico di un paese o i prezzi dei prodotti o il valore di azioni, ecc., dovrebbe fornire il riscontro ultimo della bontà delle ipotesi teoriche utilizzate.
Inoltre, mentre nel caso dei fenomeni naturali non si può intervenire sulle leggi che regolano la loro dinamica, nel caso dell’economia queste leggi sono frutto delle decisioni umane e dunque possono essere cambiate dall’azione politica. Per questo motivo i decisori politici, così come l’opinione pubblica nel suo insieme, dovrebbero essere molto sensibili al tema delle previsioni e alla capacità dei modelli teorici di spiegare la realtà. Infine, a differenza del caso, ad esempio, dei terremoti, ci sono molti dati che caratterizzano il sistema economico che possono essere osservati. Dunque la domanda è: sono questi dati sufficienti a capire la validità delle assunzioni dei modelli teorici?

3. Quale crisi?

Diversi illustri economisti hanno reagito in maniera opposta al dibattito scaturito sul tema della mancata previsione della crisi nel 2008. Ad esempio, due noti economisti inglesi, Tim Besley e Peter Hennessy, hanno redatto una lettera alla regina riassumendo le posizioni emerse nel corso di un forum promosso dalla British Academy93 per rispondere alla «Queen’s question». Scrivono:
Quindi, in sintesi, Vostra Maestà, l’incapacità di prevedere i tempi, la grandezza e la gravità della crisi, e di prevenirla, pur avendo molte cause, è stata principalmente un fallimento dell’immaginazione collettiva di molte persone brillanti, sia in questo paese sia a livello internazionale, di comprendere i rischi per il sistema nel suo complesso.
Anche Paul Krugman, vincitore del premio Nobel per l’economia nel 2008, ha riconosciuto il fallimento delle previsioni degli economisti e ha posto l’accento su un aspetto molto interessante:
Pochi economisti hanno previsto l’attuale crisi, ma questo fallimento predittivo è l’ultimo dei problemi del campo. Più importante è la cecità della categoria per la stessa possibilità di crisi catastrofiche in un’economia di mercato94.
A distanza di cinque anni Krugman, rimanendo sulla stessa posizione, chiarisce perché l’incapacità predittiva è corrisposta a una disfatta intellettuale per gli economisti neoclassici:
quasi nessuno ha previsto la crisi del 2008, ma probabilmente è un errore scusabile in un mondo complesso. La responsabilità più schiacciante va alla convinzione ampiamente diffusa allora tra gli economisti che una crisi del genere non p...

Indice dei contenuti

  1. Prefazione
  2. Introduzione
  3. I. Previsioni
  4. II. Crisi
  5. III. Ricerca
  6. IV. Politica