Storie di pascolo vagante
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Storie di pascolo vagante

  1. 128 pagine
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Storie di pascolo vagante

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Dimentichiamoci il nostro modo di spostarci, le vie più brevi, il minor tempo possibile, il navigatore che ci guida. Non c'è una meta. Pascolo dopo pascolo, il gregge vagante è in cammino solo per soddisfare la propria fame prima che sia notte.

Marzia Verona ci accompagna in un viaggio sorprendente alla scoperta del mondo dei pastori nomadi, tra le pratiche antichissime della transumanza e del 'pascolo vagante'. È un lungo cammino che parte dagli alpeggi in alta quota, scende lungo le valli per arrivare in pianura, sempre alla ricerca di erba per sfamare quotidianamente il gregge.In queste pagine, il racconto intenso e vivido di vite che scorrono lontane dai ritmi e dalle regole del presente, e che hanno molto da insegnare a noi uomini e donne contemporanei. Per i pastori erranti diverso è il modo di intendere il tempo, che scorre lentissimo nell'attesa. Le giornate sono in funzione delle esigenze degli animali. Si impara un modo nuovo di leggere e rispettare il paesaggio e il territorio. Si vive consapevoli di avere delle responsabilità, perché chi guida le pecore deve scegliere sempre il cammino migliore.Tra il fiume bianco delle greggi, l'appassionato richiamo a un altro modo di stare al mondo.

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Informazioni

Anno
2016
ISBN
9788858126554

Storie di alpeggio e storie di transumanza

Un giorno di festa

Dimentichiamoci il nostro modo solito di muoverci, le vie più brevi, il minor tempo possibile, il navigatore che ci guida. Il gregge vagante non si mette in cammino per arrivare in un luogo, ma per nutrirsi. Non è importante il quando, bensì il come: non bisogna raggiungere un luogo entro la notte, ma è fondamentale che a sera gli animali siano sazi. Quando non c’è più cibo a sufficienza si va avanti fin dove se ne troverà ancora, e proprio questo è il compito principale del pastore: condurre i suoi animali da un pascolo all’altro. La transumanza è sì uno spostamento tra due territori lontani e differenti ma, se la si affronta a piedi, l’obiettivo è anche quello di soddisfare le esigenze quotidiane di un animale che si nutre di erba. Brucare, ruminare, brucare ancora, e l’uomo non può in nessun modo alterare questo meccanismo.
In primavera il foraggio è più abbondante, però aumentano anche le difficoltà per i pastori, tra campi coltivati, prati destinati alla fienagione, frutteti, vigneti, tutti territori vietati agli animali raggruppati in grosse greggi. Così, chi sverna a grande distanza dalle montagne che lo ospiteranno in estate, per la transumanza utilizza dei mezzi motorizzati. In autunno, invece, il fieno è già stato tagliato, i campi sono stati trebbiati, non si arreca più danno ai futuri raccolti, e anzi si può beneficiare di ciò che è avanzato, per esempio del mais caduto a terra nelle stoppie, quindi il gregge può procedere tra le campagne, come si è sempre fatto in passato.
Prima di raggiungere la pianura, però, bisogna ridiscendere le valli: gli alpeggi sono collocati ad alta quota, generalmente tra i 1500 e i 2000 metri, quindi pian piano si scende e poi si prosegue il cammino lungo le vallate alpine.
La mia prima transumanza con un gregge vagante risale all’autunno del 2004. Quegli animali erano saliti in montagna a inizio giugno, trasportati da una colonna di camion; ora invece scendevano verso la pianura camminando lentamente: dall’alta Val Chisone avrebbero raggiunto le colline del Monferrato astigiano solo nel cuore dell’inverno, dopo aver percorso decine e decine di chilometri. Sarebbero all’incirca centotrenta, se si viaggiasse in auto, ma il gregge compie tanti piccoli spostamenti avanti e indietro, in qua e in là, specialmente quando arriva nella pianura, tutto per trovare i giusti passaggi, i pascoli, i luoghi dove sostare.
Vedere il gregge che parte e si allunga in un morbido nastro bianco alle spalle del pastore è un’emozione che ho vissuto tante volte, da allora, ma che non mi stancherà mai. Il giorno in cui sono stata io la persona davanti al gregge, il pastore che le pecore seguono fiduciose, certe che le conduca a nuovi abbondanti pascoli, le emozioni sono state indescrivibili: senso di responsabilità, innanzitutto, e poi orgoglio, commozione, felicità, appagamento. Insomma, un senso di completezza.
Il gregge. Quella massa quasi liquida, sinuosa, che segue il pastore è composta principalmente da pecore dal vello bianco (anche se non sarà mai un candore immacolato, bensì un’infinita sequenza di sfumature dal grigio al color crema), ma non mancano le pecore nere, quelle pezzate, quelle marroncine. Cambiando area (e razze), possiamo anche incontrare greggi composte esclusivamente da pecore nere.
In un gregge vagante, oltre agli ovini, quasi sempre ci sono delle capre e degli asini. Le capre possono essere sia un capriccio del pastore (è un animale che o si ama o si odia, per il suo carattere particolare, la sua indipendenza, la maggiore predisposizione ad arrecare danni alle coltivazioni a causa dei gusti e delle abitudini alimentari), sia una necessità: infatti fungono da balie per gli agnelli. Quando i capretti vengono venduti, viene fatto adottare loro un agnello: un gemello la cui madre non ha latte a sufficienza per crescere due piccoli, oppure un agnello rimasto orfano. All’inizio è il pastore a tener ferma la capra mentre l’agnello succhia, ma il più delle volte l’animale, già abituato a questa pratica, dopo pochi giorni riconosce e chiama a sé il figlio «adottivo».
Gli asini, invece, un tempo costituivano il principale mezzo di trasporto del pastore: portavano il necessario per l’accampamento serale, i viveri, le attrezzature. Oggi questa funzione è svolta dai mezzi motorizzati, ma almeno un asino viene sempre impiegato per il trasporto degli agnelli. Porta infatti un apposito basto in tela con delle tasche (da sei a otto), e se una pecora partorisce mentre si è al pascolo o ci si sta spostando il piccolo viene alloggiato temporaneamente in una delle tasche. Qui è al sicuro, al caldo e al pulito: verrà riconsegnato alla madre non appena ci si fermerà nuovamente.
La mia prima transumanza prevedeva un tragitto in più tappe, perché man mano durante la discesa incontravamo pascoli autunnali sempre più magri. Ogni giorno trascorso ancora in montagna era un giorno strappato alla pianura, dove l’erba bisognava comprarla dai contadini, pagandola a caro prezzo.
Io seguivo la transumanza con curiosità, desiderosa di capire come avvenisse ogni cosa, con i cinque sensi all’erta per captare le sensazioni, i rumori, i colori, gli odori. Le giornate si accorciavano sempre più, il primo sole del mattino faceva risplendere i colori vivi delle foglie, ora il giallo degli aceri, ora il rosso e l’arancio dei ciliegi. Talvolta erano giornate di umidità e brume, magari con qualche goccia di pioggia, e gli odori cambiavano: quello delle foglie che marcivano al suolo si mescolava con l’afrore della lana bagnata e dei corpi accaldati delle pecore in movimento.
Accompagnavo per un tratto il gregge, poi tornavo sui miei passi per recuperare l’auto e scendere lungo la strada statale, per ritrovare più a valle la transumanza. Cercavo di essere autonoma, perché non volevo essere di peso per i pastori né scomodarli, la sera, con la richiesta di riportarmi al punto di partenza per recuperare il mio mezzo. Anche se ero una novizia, ci avevo messo poco a capire quanto tutto fosse complesso. La fatica del cammino, lo stress nell’affrontare alcuni passaggi delicati, tutte le attrezzature da caricare e spostare insieme al gregge, gli agnellini che nascevano nei momenti meno indicati, il recinto da preparare la sera una volta giunti a destinazione, spesso con il buio della notte.
Per chi vive nei paesi in cui il gregge transita, la discesa delle ultime pecore è il segnale dell’arrivo della parte più fredda dell’autunno. E per chi non ne fa un lavoro, la transumanza è semplicemente bella da vedere ed emozionante: pare una festa o un’allegra sfilata. Mi è capitato spesso di venire contattata da appassionati di escursionismo che volevano prendere parte ad uno di questi momenti della vita degli allevatori. Negli ultimi anni poi, specialmente all’estero, sono nate numerose iniziative denominate «feste della transumanza». Il momento saliente è il passaggio nel paese ed è lì che la maggior parte del pubblico attende gli animali. Chi ama camminare vorrebbe invece trascorrere l’intera giornata con i pastori.
Per chi ama la montagna, la transumanza sul ghiacciaio del Similaun in Val Senales è un modo diverso di concepire un’escursione, così come lo è per i turisti che affiancano i pastori nella discesa delle greggi dai pascoli situati accanto al ghiacciaio dell’Aletsch, nel Canton Vallese.
Ho partecipato ad una torrida transumanza in Lazio, alla festa della transumanza di Amatrice: sull’asfalto bollente e lungo tratti degli antichi tratturi, dalla masseria il gregge si avvicinava al paese di Amatrice, per poi arrivare sui pascoli appenninici il giorno successivo, scortato da un buon numero di turisti stanchi ma entusiasti.
Chi tiene particolarmente alle tradizioni, il giorno della transumanza attacca al collo delle bestie dei campanacci, il cui suono è più o meno profondo a seconda delle loro dimensioni: niente a che vedere con le normali campanelle che, in montagna, accompagneranno gli animali al pascolo. Hanno origini provenzali e in Piemonte si chiamano rudun; il collare a cui vengono appesi può essere una cinghia di cuoio, oppure una fascia di legno opportunamente sagomata, spesso decorata, arricchita di scritte, disegni, talvolta colorata. Il suono di queste transumanze riecheggia nelle vallate annunciando a tutti coloro che lo ascoltano quel che sta succedendo: cambia la stagione, i pascoli di montagna stanno per animarsi, ci sarà la vita, con i belati, l’abbaiare dei cani, le campanelle, i richiami dei pastori; in autunno torneranno il silenzio, la neve, il riposo.
A chi conosce il mondo degli alpeggi, il suono dei rudun fa venire la pelle d’oca: scatena una commozione che serra la gola, un’emozione in cui si sovrappongono immagini di passate transumanze, momenti di vita vissuta, ricordi. C’è sempre chi si asciuga furtivamente una lacrima mentre la transumanza si allontana seguendo la sua strada.
Loretta Borri, figlia di pastori dell’Appennino modenese, così ricorda quei momenti: «Mio nonno mi raccontava che il suono dei campanacci, al passo dondolante delle pecore, riproduceva un vecchio motivo di buon augurio per il pastore che tornava ai suoi monti: andám, ch’andám, ch’andám in muntagna, e se tu ripetevi più volte questa filastrocca sembrava di sentire quel tintinnare»1.
La transumanza è una festa, sia perché si ritorna in montagna, il luogo più bello, il posto dove il pastore vagante può tirare un po’ il fiato dopo le fatiche della stagione in pianura, sia perché si sale a pascolare nuovamente l’erba verde quando ormai i colori sono cambiati e, al mattino, la vasca della fontana inizia ad avere un velo di ghiaccio in superficie. Naturalmente il punto di vista cambia a seconda che si viva quest’esperienza per piacere o per necessità.
Un anno affrontai una transumanza autunnale che portava il gregge da una valle all’altra. Si saliva invece di scendere, bisognava raggiungere un colle seguendo mulattiere e sentieri, poi ci si sarebbe fermati a mezza quota e quindi si sarebbe tornati in pianura. Era una bellissima giornata di sole caldo, anche se al mattino c’era stata la brina: i larici, in alto, erano già un misto di colori tra l’oro e il rame, l’erba era secca, c’erano le chiazze rosse delle foglie dei mirtilli e il fondovalle coperto da un mare di nuvole bianche. Si attraversavano i pascoli di alpeggi ormai silenziosi, le mandrie erano scese da qualche settimana. Per me fu una giornata bellissima, scattai innumerevoli fotografie per cogliere quelle luci e quelle atmosfere, ma per i pastori i fatti salienti della giornata furono il non aver incontrato ostacoli imprevisti, l’essere riusciti a trovare erba per far pascolare il gregge in modo da arrivare a destinazione con gli animali sazi, l’aver incontrato bel tempo e non la temibile nebbia.
Nel giorno speciale della transumanza, amici e parenti possono rendersi utili anche semplicemente aiutando a contenere il gregge quando si cammina lungo le strade. Il codice della strada prevede che gli animali occupino solo una corsia, ma in realtà è impossibile rispettare questa norma, dal momento che la mezzeria non è un confine riconosciuto dal gregge. Di tanto in tanto, se la strada è stretta, ci si ferma in qualche spiazzo laterale per lasciar defluire le auto in coda. Se invece le due corsie sono sufficientemente larghe, più che mai c’è necessità di persone per contenere il gregge e agevolare il sorpasso da parte delle auto. Ci sarà chi si occupa di fare le segnalazioni agli automobilisti e chi invece bada agli animali.
Se un tempo era l’asino il mezzo di trasporto del pastore, oggi le transumanze (anche quelle a piedi) prevedono l’impiego di un certo numero di automezzi: un’auto a precedere gli animali e una al seguito, entrambe con segnalatori luminosi lampeggianti. Solitamente in coda al gregge vi è un mezzo nell’eventualità che vi siano animali che non riescono a tenere il passo con gli altri: agnelli, pecore gravide o zoppe vengono fatti salire sul retro dei fuoristrada oppure su furgoni appositamente attrezzati.
A volte gli spostamenti avvengono di notte, sia per non trovarsi a camminare sull’asfalto nelle ore più calde della giornata, sia per non intasare il traffico lungo le strette vallate di montagna. Si tratta di transumanze particolarmente pesanti, perché nelle ore precedenti non si chiude occhio. C’è l’agitazione, ci sono le ultime cose da preparare per non dimenticare nulla, c’è magari anche il posto scomodo dove ci si corica, su di una coperta per terra accanto al gregge, nel retro di un furgone, in auto. Poi arrivano gli amici, si beve un caffè fumante versato dai thermos, non ci si guarda nemmeno in faccia, per non rimanere abbagliati dalle pile frontali che tutti portano in testa, quindi inizia il cammino. Anche gli animali sono un po’ spaesati, ma se al loro collo sono stati attaccati i rudun sanno dove si sta andando.
È un viaggio faticoso; dopo le prime ore il passo diventa pesante e si perde anche la voglia di chiacchierare, si continua a camminare al ritmo degli animali, le ore che precedono l’alba sono le più lunghe, gli scarponi avanzano sull’asfalto quasi come se andassero avanti per inerzia. Quando arriva, il primo sole è fastidioso alla vista, dato che gli occhi si sono ormai abituati a scrutare l’oscurità. La tappa per la colazione si svolge tra senso di stanchezza ed effettivo appetito per le energie consumate, poi si riparte e l’arrivo sui pascoli di montagna sarà infine una meta che nelle ore precedenti pareva irraggiungibile.
Quel giorno bisogna «far bella figura» con chi è venuto ad aiutare, quindi è fondamentale che ci sia cibo in abbondanza per tutti. Nonostante la giornata sia stata lunga e ci siano ancora molti lavori da fare prima che venga notte, è doveroso offrire almeno un pasto a tutti coloro che hanno partecipato alla transumanza. Secondo la tradizione sono le donne a preparare: mogli, compagne, sorelle, madri, amiche di famiglia del pastore o di coloro che mandano gli animali su quella montagna per l’estate. Antipasti, salumi, un bel piatto di pasta e poi un secondo, formaggi, il dolce, caffè e liquori alle erbe. Il tutto in grandi quantità: è meglio che ci sia...

Indice dei contenuti

  1. Prologo I miei primi passi con il gregge
  2. Storie di alpeggio e storie di transumanza
  3. Storie di pianura
  4. Storie di viaggi
  5. Storie di lotta
  6. Storie dal passato al futuro