Il crepuscolo dei media
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Il crepuscolo dei media

Informazione, tecnologia e mercato

  1. 144 pagine
  2. Italian
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Il crepuscolo dei media

Informazione, tecnologia e mercato

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Informazioni sul libro

Trasformazioni rapide e radicali stanno rivoluzionando il mondo dei media. Nuovi protagonisti digitali assumono la leadership dell'informazione, della comunicazione, della pubblicità, influenzando profondamente le nostre scelte in fatto di consumi, valori, consenso. In un breve saggio, documentato e lucido, le tendenze in atto nel mercato dei media, lo stato di salute dell'editoria, il prevedibile futuro dell'industria dell'informazione.

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Informazioni

Anno
2017
ISBN
9788858129685

1.
La scomparsa dei lettori,
la frammentazione delle audience

Quotidiani: dieci anni su un piano inclinato

I numeri di questa trasformazione sono eloquenti. Se prendiamo in considerazione il periodo 2007-20163 i lettori di quotidiani sarebbero scesi, secondo il Censis, del 26,5%. Un dato tra i più ottimisti tra quelli disponibili perché, ad esempio, i calcoli di Ads (la società che accerta gli andamenti di vendite e diffusionali di quotidiani e periodici) sono molto più pesanti. Essi rivelano che le vendite complessive di quotidiani (una sessantina di testate esaminate, incluse le sportive) nello stesso arco di tempo 2007-2016 sono passate da 5,8 milioni a 3 milioni di copie giornaliere, con una riduzione di oltre il 48%. Una contrazione che sembra persino accelerare, con una ulteriore diminuzione delle vendite a gennaio 2017, rispetto all’equivalente mese dell’anno precedente, del 12%.
Un crollo devastante4, che si è aggravato proprio a partire dai primi anni della recente, interminabile crisi, quando la riduzione delle vendite di quotidiani ha subìto un’accelerazione: in soli cinque anni, dal 2011 al 2016, le copie giornaliere vendute si sono ridotte di oltre un milione di unità5. Il risultato complessivo nasconde, inevitabilmente, andamenti particolari anche più negativi, soprattutto se confrontati con i picchi di vendita che si registravano fino all’inizio del primo decennio di questo secolo.
Se prendiamo, infatti, i primi sei quotidiani d’informazione per vendite (“Corriere della Sera”, “la Repubblica”, “La Stampa”, “Il Messaggero”, “QN-Resto del Carlino”, “Il Sole 24 Ore”), nel periodo 2007-2016 il numero di copie si è ridotto di oltre la metà, superando di poco quota 1 milione di unità. Oggi i primi due quotidiani sfiorano, a turno, la linea di resistenza delle 200 mila copie al giorno vendute in edicola. Una trincea che sembra destinata a cedere.
Parliamo di testate che, nei primi anni Duemila, dichiaravano un venduto medio intorno alle 600 mila copie, con readership (valore che indica la base effettiva di lettori calcolata a partire dalle copie vendute) superiori a 2,5 milioni/giorno6. Quotidiani che, quando accoppiavano alla testata principale supplementi di successo o i cosiddetti “collaterali”7 (guide, enciclopedie, gadget), facevano girare le rotative fino a stampare 1,3-1,5 milioni di copie, per una vendita che si collocava abbondantemente sopra il milione di copie in edicola. Se poi spingiamo lo sguardo appena più sotto nella classifica e osserviamo il venduto dei successivi tre maggiori quotidiani, si fatica oggi a raggiungere la soglia delle 100 mila copie e talvolta delle 50 mila, vendute attraverso i canali tradizionali, principalmente edicole.
La riduzione della base dei lettori paganti non si arresta. In base ai dati Ads nel periodo gennaio-dicembre 2016, le vendite complessive dei sei maggiori quotidiani sono calate in media del 12% circa rispetto all’equivalente periodo del 2015 (non considerando le anomalie nel calcolo del venduto del “Sole 24 Ore”.
A questa contrazione senza fine la vendita di copie in formato digitale non sembra in grado di fornire un’adeguata compensazione. Escluso dal conteggio “Il Sole 24 Ore”, che registrava, sulla base dell’ultimo dato disponibile, un numero di copie digitali che è un multiplo delle copie vendute attraverso il canale edicola (fatto che ha suscitato a suo tempo polemiche e l’apertura di un’inchiesta giudiziaria), gli altri grandi quotidiani veleggiano attorno a percentuali mai superiori, nella migliore delle ipotesi, al 20% del totale.
Nella maggior parte dei casi, il trend delle copie digitali negli ultimi anni manifesta una tendenza alla crescita modesta e non sembra prossimo ad accelerare, nonostante la significativa diffusione di dispositivi digitali, in particolare i tablet. Per di più, all’aumento delle copie digitali cosiddette “replica”, che avrebbero superato quota 450 mila, corrisponde una contrazione delle copie su carta ben superiore.
D’altra parte, si stima che l’accesso a Internet via tablet in Italia raggiunga il 5,7% del totale, una base decisamente inadeguata alla progressiva sostituzione di canali distributivi tradizionali, come le edicole. La media degli accessi Internet con dispositivi mobili ha superato nel mondo la metà del totale (51,3%), con punte molto elevate nel Nord Europa e negli Stati Uniti. In Italia cresce l’accesso da smartphone, oggi intorno al 30%. Per non parlare della penetrazione di Internet (via banda larga) che in Italia raggiunge il 53% circa, contro il 90% della Gran Bretagna, il 77,8% della Francia, il 76,5% della Germania8. Questi dati spiegano in parte la maggior tenuta dell’andamento delle vendite dei quotidiani in questi paesi, dove peraltro l’abitudine alla lettura è storicamente più forte (ma anche lì in drammatica difficoltà) e si è in qualche caso trasferita sulle piattaforme digitali in misura più consistente che da noi.
Da qualche anno a questa parte, nel tentativo di contrastare l’immagine di prodotti in profonda crisi di vendite, gli editori di quotidiani si sfidano in epiche battaglie per dimostrare di avere mantenuto posizioni di leadership. Ciò è reso possibile dalle molte misurazioni che compongono il quadro delle vendite dei quotidiani: edicola, abbonamenti, copie digitali, abbonamenti digitali multipli, copie gratuite ecc. Chi perde la competizione per copie totali vendute si può magari consolare con la prima posizione in edicola o nel venduto digitale; chi soffre in edicola può cercare di valorizzare il dato degli abbonamenti, specie se digitali. Insomma, i numeri possono essere un po’ imbellettati, ma alla fine il trend è molto evidente. Si litiga, tra editori, guardando il dito che punta il cielo, senza vedere la luna con i suoi oscuri presagi.

Una spaccatura generazionale

Sono le proiezioni di medio-lungo periodo a preoccupare ancora di più gli editori di carta stampata. L’analisi socio-demografica dei lettori di quotidiani traccia un quadro molto problematico. In fatto di diffusione di quotidiani l’Italia vanta da sempre, tra i grandi paesi europei, un primato negativo. Se prendiamo, ad esempio, il periodo del secondo dopoguerra fino agli anni Ottanta-Novanta, i lettori di quotidiani erano stimati in complessivi 5,3-6,8 milioni (compresi circa 750 mila lettori di quotidiani sportivi). Le rivelazioni da cui discendevano quei dati non erano considerate attendibili, ma il mercato le riteneva nel complesso tali e, non esistendo altri sistemi di indagine, esse restano un punto di riferimento. Dall’analisi di quei dati emerge che, sul totale della popolazione, alla fine degli anni Novanta la percentuale di lettori abituali di quotidiani in Italia era pari a 128 ogni 1.000 abitanti. Un dato che si confrontava con una media europea decisamente più elevata e che collocava il nostro paese nella fascia più bassa del ranking, molto alle spalle di Gran Bretagna (383/1.000), Germania (371/1.000), Francia (181/1.000), per non parlare di campioni di lettura come Norvegia, Finlandia, Danimarca9.
La relativamente bassa diffusione dei quotidiani era però coerente con altri dati riferibili ai consumi e alla caratteristiche socio-culturali della popolazione. La lettura di libri, ad esempio, è rimasta stabilmente confinata in percentuali piuttosto contenute. Poco più del 42% della popolazione dai sei anni in su legge almeno un libro all’anno, percentuale tra le più basse in Europa.
Anche la scolarità era coerente con una penetrazione dei quotidiani meno elevata che altrove. Ancora oggi, circa il 60% della popolazione non possiede titoli di studio superiori alla terza media; la percentuale dei laureati (25-64 anni) sul totale della popolazione è del 22%, poco più della metà della media europea.
D’altra parte l’Italia non è mai stata considerata, nemmeno dai suoi intellettuali più attenti alle dinamiche socio-economiche, un paese colto a sufficienza da potersi confrontare con il resto dell’Europa continentale in fatto di abitudini civili. Paolo Sylos Labini, autore di un ritratto del nostro paese ancora attuale, definiva con una certa asprezza gli italiani “un popolo di semi analfabeti”10. Al di là della durezza del giudizio, non si può negare che la cultura degli italiani, scuola a parte, non sia mai stata veramente al centro delle attenzioni di politica e istituzioni, e ciò è oggi unanimemente considerato uno dei fattori che più di ogni altro riduce la competitività del nostro paese.
Fermo restando il basso livello complessivo di lettura, la distribuzione dei lettori tra diversi segmenti anagrafici è però rimasta, nell’insieme, uniforme per un lungo periodo di tempo, cosa che ha assicurato agli editori un costante ricambio con l’ingresso progressivo delle nuove generazioni tra i consumatori di informazione.
Certo, la lettura di quotidiani e periodici di politica e di attualità non superava del tutto alcune barriere sociali, ma non è mai parsa afflitta da problematiche generazionali. Anzi, se guardiamo proprio agli anni della rivolta giovanile e studentesca, dal ’68 alla fine degli anni Settanta, i quotidiani hanno conosciuto una nuova primavera, con la fondazione di molte nuove testate (una per tutte: “la Repubblica”) e un’attenzione alla politica che inevitabilmente valorizzava la funzione dei quotidiani. In quel periodo si registrava, peraltro, anche il boom delle radio libere e, poco dopo, l’esplosione delle tv commerciali.
Il progressivo allontanamento dalla lettura dei quotidiani da parte dei giovani si è manifestato con nettezza in epoche più recenti e ormai investe aree molto ampie. Oggi i consumi culturali e mediatici dei giovani si distanziano sempre di più da quelli del resto della popolazione. Secondo il Censis, la penetrazione della carta stampata sfiora a stento, tra i giovani in età compresa tra 14 e 29 anni, il 30%11. Ma c’è chi ritiene questo dato significativamente amplificato dalle risposte del campione, che non corrispondono all’entità effettiva dei consumi mediatici in questa fascia anagrafica. Cioè, alla domanda: “Leggi abitualmente un quotidiano?”, la risposta è spesso positiva ma non sincera, come accade con le domande che stimolano reazioni condizionate dal giudizio dell’ambiente esterno. Dire: “Non leggo nulla” appare a molti un comportamento socialmente non allineato agli standard.
Fino agli inizi di questo secolo la lettura più o meno continuativa di un quotidiano coinvolgeva, sia pure in maniera non omogenea, circa il 44% dei giovani tra i 14 e i 30 anni12. Da allora la contrazione è stata continua. Il risultato è che interi settori della nostra gioventù hanno consuetudini di lettura nemmeno lontanamente paragonabili a quelle delle generazioni precedenti. Si tratta, pur con le dovute differenze, di un fenomeno che investe l’intero mondo civilizzato. Il contatto con la stampa, quando esiste, è saltuario ed estremamente discontinuo, sostituito dalla fruizione di notizie via web, non necessariamente su base quotidiana.
Il quotidiano in quanto tale è già di fatto scomparso dall...

Indice dei contenuti

  1. Introduzione
  2. 1. La scomparsa dei lettori, la frammentazione delle audience
  3. 2. I ricavi in declino e la spietata concorrenza dei social
  4. 3. La grande trasformazione
  5. Conclusioni. Il futuro dei media e la narrazione del mondo
  6. Bibliografia essenziale
  7. Ringraziamenti