Il triangolo vizioso
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Il triangolo vizioso

Tiranni, terroristi e l'Occidente

  1. 240 pagine
  2. Italian
  3. ePUB (disponibile sull'app)
  4. Disponibile su iOS e Android
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Il triangolo vizioso

Tiranni, terroristi e l'Occidente

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Uno sguardo originale e nuovo sulle dinamiche di potere che tengono sotto scacco il Medio Oriente.

«Io affermo che in Medio Oriente esistono molteplici sistemi di violenza che vivono in una relazione simbiotica: ognuno fa affidamento sugli altri per sostenersi. I tentativi di rompere questa relazione investendo in una di queste componenti non fanno che dare energia all'intera struttura oppressiva di potere: si tratta del 'triangolo vizioso' che dà il titolo al libro».

Iyad el-Baghdadi, uno degli intellettuali arabi più importanti dell'ultima generazione, attivista di riferimento della stagione delle primavere arabe e oggi rifugiato politico in Norvegia, in queste pagine illumina con uno sguardo nuovo le dinamiche di potere che tengono sotto scacco il Medio Oriente. Proponendo soluzioni concrete per uscire dall'impasse.

Questo libro è stato scritto insieme ad Ahmed Gatnash e curato da Lorenzo Declich.

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Informazioni

Anno
2019
ISBN
9788858136645
Argomento
Economia

1. “Reality check”

Ad ogni domanda complessa corrisponde in genere una risposta chiara e semplice... che però è sbagliata. La percezione della complessità del Medio Oriente è tale che ci si trova di fronte a una serie di ipersemplificazioni che scavano un fossato profondo. Alcune sono il prodotto di pura pigrizia mentale, mentre altre sono il riflesso di un certo paternalismo bigotto che ben si addice agli imperialisti del XIX secolo. Queste “risposte” sono molto più che errate, sono tossiche. Alimentano un pessimismo che si riflette in cattive politiche le quali finiscono a loro volta per potenziare ulteriormente gli attori peggiori della regione.
Ebbene, siamo i primi a mettervi in guardia sull’uso eccessivo del termine “orientalismo” da parte di coloro che se ne servono per respingere qualsiasi critica riguardo ai tanti problemi sociali, culturali o politici della regione, in special modo quando queste critiche colpiscono loro stessi o i gruppi ai quali fanno riferimento. Spesso usano l’accusa come una clava per obbligare i mediorientali all’uniformità: “Non puoi dirti mediorientale se agisci o pensi in quel modo, se lo fai significa che sei occidentalizzato”. Siamo stati troppo spesso bersaglio di questo genere di pseudoargomentazioni per farcene coinvolgere qui.
Ciò detto, esiste un orientalismo autentico, caratterizzato dall’incapacità di vedere tutto ciò che si trova “in Oriente” come qualcosa di autonomo e dal porlo sempre e solo in relazione all’Occidente. È un etnocentrismo grossolano che non solo pretende di stabilire quale sia “l’appropriato” e il “normale” modo di essere, ma che vorrebbe addirittura stabilire chi l’orientale sia e che cosa l’Oriente debba essere. È una sorta di collettivismo suprematista il cui opposto non è l’“occidentalismo” ma, semplicemente, l’“umanesimo”.
Qualcuno ha detto che il nemico della conoscenza non è l’ignoranza, ma l’illusione della conoscenza. Molte di queste retoriche fanno molto più che disinformare: ostacolano l’accesso al messaggio. E così, prima di immergerci nelle idee di questo libro, dobbiamo disimparare alcune nozioni sbagliate. Ecco alcune delle retoriche particolarmente dannose.

No, non si tratta di “odi antichi”

Uno dei pregiudizi più mortificanti è quello secondo cui l’instabilità della regione è il risultato di inimicizie millenarie. Ciò equivale ad affermare: “sono sempre stati così, è inutile chiedersi perché si comportino in questo modo ed è stupido aspettarsi che possano cambiare”. Questa posizione non è soltanto essenzialista: nasconde deliberatamente le cause dei conflitti di oggi, presentandoli come qualcosa di inerente alla “natura” del Medio Oriente. I conflitti attuali hanno invece cause specifiche, spesso radicate in tensioni e disuguaglianze che fanno parte della storia umana prima ancora di essere mediorientali o arabe.
L’aspetto più interessante di questo pregiudizio sugli “odi antichi” è che, fino a poco tempo fa, avrebbe potuto facilmente essere applicato altrettanto bene all’Europa. Le varie nazioni europee si sono combattute per secoli e secoli e nel solo Novecento ci hanno regalato due guerre mondiali con oltre cento milioni di morti. È una lente che può essere applicata all’Asia orientale, con la sua lunga storia di conflitto tra giapponesi, cinesi, coreani e mongoli. O anche agli Stati Uniti, coi loro trascorsi di conflitti razziali. In effetti, guardando all’umanità nel suo complesso, possiamo ridurne l’intera storia politica a una lunga serie di violenze.
Certo, qualsiasi conflitto che avvenga nel mondo può essere collegato a qualcosa che l’ha preceduto, andando a ritroso all’infinito. Ma la maggior parte dei conflitti in Medio Oriente è contemporanea, ha radici moderne che si sviluppano nelle contese esistenti. Certamente le politiche identitarie possono far sì che qualcuno si identifichi con una determinata tribù, adotti le sue mitologie e con ciò sposi le sue recriminazioni storiche, ma solo di questo si tratta, ossia di una mitologia basata su narrative identitarie. L’attuale conflitto tra sunniti e sciiti, ad esempio, è esploso nel 2012 sullo sfondo di eventi del 1979. Parlarne come il risultato di uno scisma del VII secolo non fa che offuscarne le origini contemporanee. Ciò non significa negare che alcuni gruppi e popolazioni siano stati storicamente emarginati, bensì affermare che la loro emarginazione non è coessenziale a quei gruppi o alla regione stessa. L’uguaglianza è un obiettivo realizzabile nell’arco della nostra vita.
Il pregiudizio sugli “odi antichi” non è solo sbagliato: rischia anche di produrre nuovi odi fra noi e fra coloro che lo seminano. Per qualcuno può rappresentare una comoda semplificazione, per molti di noi è qualcosa di profondamente disumanizzante. È difficile fissare negli occhi qualcuno che ti guarda dall’alto in basso e, con una sola frase, zooma dalla scala degli anni a quella dei millenni, facendo dell’esistenza di un’intera generazione, con tutti i suoi sogni e le sue urgenze, un semplice dettaglio in un quadro di violenza connaturata alla storia stessa della civiltà.
Il cliché degli odi antichi riflette una condiscendente mancanza di curiosità nei confronti della regione e il desiderio di tirarsene fuori. L’argomento è usato spesso da quegli stessi che per decenni hanno provocato danni immensi con l’intervento diretto o legittimando gli attori sbagliati. Questo disimpegnarsi non è fondato sul rispetto dell’altro, bensì sul disprezzo nei suoi confronti e sul pessimismo a riguardo delle sue prospettive future. Quando pensi “sono sempre stati così e non possono cambiare”, non ha senso sostenere la loro lotta per la liberazione o per i diritti umani. Ha molto più senso farsi amico un uomo forte.

No, le cose non miglioreranno se la regione sarà lasciata sola

La regione mediorientale è percepita come ostile, irrazionale e incapace di riformarsi. Perciò diverse potenze straniere hanno la propensione a intervenirvi (apertamente o per procura fa lo stesso), per “sistemare le cose”. D’altro canto c’è chi è di orientamento opposto: riconosce i precedenti negativi dell’Occidente in Medio Oriente ma poi propone di limitare i danni e andarsene. “Abbiamo fatto così tanti guai qui, sembra che siamo capaci solo di peggiorare le cose. Abbiamo messo tutto sottosopra a tal punto che la cosa migliore da fare è andarsene e lasciare la regione a sé stessa. Forse se ce ne andiamo tutto andrà meglio. Forse la regione inizierà a guarire e il rancore diminuirà”.
In genere a pronunciare queste frasi sono due tipi di persone: quelle davvero preoccupate di causare danni e quelle che cercano una scusa per disimpegnarsi (in base a ogni sorta di motivazioni ideologiche o politiche). Il messaggio principale di questo libro potrebbe avere un’eco maggiore fra le persone appartenenti al primo gruppo, ma ci auguriamo di poter cambiare anche le opinioni di coloro che appartengono al secondo.
In ogni caso capiamo da dove quel sentimento derivi, dal momento che, a ormai quindici anni di distanza, subiamo ancora le scosse di assestamento della guerra in Iraq. Le potenze occidentali sono intervenute nella regione lungo la maggior parte degli ultimi due secoli. Le potenze coloniali – in particolare Francia e Gran Bretagna – hanno letteralmente dato forma al futuro della regione, ne hanno addirittura tracciato i confini, ponendo le premesse di molti dei conflitti e delle incompatibilità attuali.
La mentalità del tipo “limitare i danni e andarsene” sottovaluta l’influenza che le società aperte, comprese quelle occidentali, possono avere in termini di potere economico e militare ma anche dal punto di vista del livello di mobilitazione civile. Un cittadino occidentale può essere completamente disilluso riguardo alla propria influenza su un sistema troppo complesso. È però importante precisare che chi è nato in Stati che rispettano i diritti umani fondamentali dei cittadini e danno la possibilità di partecipare alla definizione delle politiche dei loro paesi è già, su una scala globale, privilegiato. Questo privilegio – individuale e collettivo – si traduce nell’obbligo morale di aiutare a migliorare la situazione di tanti altri che stanno lottando per i loro diritti fondamentali.
In ultimo: nonostante il pregiudizio “limitare i danni e andarsene” sia incomparabilmente meno orientalista di quello degli “odi antichi”, esso rischia lo stesso di finire nella trappola del dare per scontato che l’Occidente e il Medio Oriente siano fondamentalmente separati, che ciò che accade “là” non abbia alcuna influenza “qui”, che il danno possa essere in qualche modo contenuto semplicemente chiamandosi fuori. Risulta inoltre piuttosto pessimista in termini di speranza in risultati positivi. È, in definitiva, una dismissione di responsabilità, espressa a volte con compassione (“non vogliamo più farvi del male”), e a volte con frustrazione e persino arroganza (“voi ci biasimereste comunque. Siamo colpevoli se lo facciamo, colpevoli se non lo facciamo”). Il gioco si è fatto anche più crudele durante la primavera araba. Alcuni di coloro che propugnano questa visione potrebbero addirittura essersi commossi fino alle lacrime davanti alle scene nelle piazze del Medio Oriente durante le insurrezioni in Iran o nei paesi arabi; ci idolatrano solo quando le suscitiamo e poi ci abbandonano quando la marea si rivolge contro di noi?

No, la regione non guarirà se i confini saranno ridisegnati

“Avremmo dovuto disegnare bene le mappe” è un pensiero espresso con una frequenza sorprendente. Spesso è corredato da suggerimenti su “mappe alternative” (sembra proprio che i commentatori occidentali talvolta si dotino di una mappa del Medio Oriente e provino un piacere feticistico nel tracciare frontiere). L’elaborazione che c’è dietro è spesso la seguente: “Riconosciamo che i confini tracciati in era coloniale erano innaturali e frettolosi. Dunque la soluzione secondo noi è ridisegnare le mappe con confini migliori”. Davvero avvilente: ho ascoltato questa battuta addirittura durante incontri con politici e parlamentari.
Le mappe dell’epoca coloniale erano certamente innaturali e disegnate frettolosamente, spesso con poco rispetto della demografia e persino della geografia. Soprattutto: erano disegnate da potenze straniere di occupazione senza il contributo dei popoli della regione. Molti, in Medio Oriente continuano a vederle come simboli del colonialismo occidentale e non dell’autonomia nativa. Ma la fonte di risentimento più profonda e grave consiste nel fatto che la regione – storicamente priva di frontiere che impedissero lo spostarsi piuttosto libero di persone, merci e idee – è stata divisa in diversi Stati, governati da dittatori in lotta fra loro.
I colonialisti europei hanno esportato il modello dello Stato-nazione – un modello sviluppato in Europa e per l’Europa – in una regione alla quale era estraneo, mancando di confini chiari dal punto di vista geografico, linguistico, religioso o etnico. Il Medio Oriente è una culla di civiltà e l’assenza di marcati confini naturali ha significato che innumerevoli etnie, tribù, confessioni e fedi vi si siano mescolate e siano coesistite per secoli. L’assunto che ogni “etnia” possa essere contenuta senza sbavature in una particolare area geografica è una fantasia. Il Medio Oriente è sempre stato una mescolanza, le sue varie componenti non possono essere separate senza operare una drastica pulizia etnica (chiara derivazione, purtroppo, dell’importazione del paradigma dello Stato-nazione).
Immaginate che gli Stati Uniti, l’India o la Cina si sveglino domani con ognuna delle proprie componenti statuali o province che si dichiarino indipendenti – con una bandiera, un esercito, una moneta – e che avviino il proprio regime di visti e controlli frontalieri fermando così il movimento di persone e beni. Immaginate, anche, che ognuna di queste componenti statuali sia guidata da un dittatore militare. Quali sarebbero le conseguenze dei conflitti multipli che ne deriverebbero? La caduta del prodotto interno lordo? E quale sarebbe l’effetto sulla produzione e la diffusione della cultura? O, cosa più importante, sul risentimento della popolazione, che non avrebbe voce in capitolo?
C’era da aspettarsi, dunque, che il risultato non fosse una serie di paesi ben strutturati e prosperi, bensì il caos. E c’è ancora qualcuno che continua feticisticamente a voler disegnare i confini, cioè quella cosa che ha creato tutto questo risentimento. Il proliferare dei confini, delle barriere e di separazioni imposte è stato uno shock per la nostra regione, ne stiamo ancora soffrendo. La nostra rabbia non deriva dal fatto che i colonialisti abbiano praticato sul nostro corpo tagli sbagliati, bensì dai tagli stessi. È paradossale che l’Europa, che ci ha imposto il concetto di Stato-nazione, oggi garantisca libertà di movimento alle persone, ai beni, ai capitali e alle idee. La soluzione non è proporre frontiere “migliori”, ma promuovere una maggiore rappresentatività all’interno delle regioni esistenti e più integrazione fra regioni.

No, non possiamo “metterci una pietra sopra” (anche se ci piacerebbe)

Un altro luogo comune riconosce...

Indice dei contenuti

  1. Introduzione
  2. Parte prima
  3. 1. “Reality check”
  4. 2. Una storia di promesse infrante
  5. Parte seconda
  6. 3. Terroristi e tiranni
  7. 4. Tiranni e intervento militare
  8. 5. Terroristi e intervento militare
  9. Parte terza
  10. 6. Il triangolo rivisitato
  11. 7. Spezzare il triangolo
  12. 8. Avere a che fare coi dittatori
  13. 9. Dare forza alle società
  14. 10. Il triangolo vizioso e il mondo libero