Sud, perché no?
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Sud, perché no?

  1. 80 pagine
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Sud, perché no?

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Il Sud delle tecnologie aerospaziali, del fermento culturale, del turismo che cresce, della ricerca scientifica, dei (pochi) casi di rigenerazione urbana, della mobilità sostenibile. Sì, perché il Sud è una riserva di intelligenza e di opportunità cui agganciare i grandi modelli di sviluppo e da promuovere internazionalmente con la realizzazione di semplici interventi: dalla creazione di 'zone economiche speciali' al lancio di incentivi di sostegno mirati e sostenuti nel tempo. Ricette semplici, praticabili: dal credito di imposta accelerato per chi investe nel Sud alle politiche innovative nel campo della logistica, a quelle del potenziamento degli incubatori, sino al rilancio demografico.

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Informazioni

Anno
2018
ISBN
9788858132388
Argomento
Economics

1.
Quale Sud siamo oggi

Nel nostro immaginario collettivo i problemi ed i mali del Sud non hanno bisogno di grandi elaborazioni statistiche. I problemi sono noti e molto chiari.
La criminalità è considerata pervasiva e pressoché invincibile. L’Amministrazione pubblica è percepita quasi sempre come incapace, a volte corrotta. La dotazione infrastrutturale è drammaticamente limitata. C’è un livello medio dei servizi pubblici e del cosiddetto welfare totalmente insufficiente.
Perché solo il 20% dei ragazzi della Sicilia deve avere la mensa scolastica quando la ha oltre il 70% dei ragazzi del Nord Italia?1
Perché nel Centro-Nord i posti negli asili nido coprono il 30% dei bambini sotto i tre anni, mentre al Sud appena il 10%? Come è possibile che il Comune di Trento spenda 3500 euro per bambino residente mentre il Comune di Reggio Calabria ne spende solo 19?2
Perché spesso i disabili calabresi o campani non hanno alcuna assistenza?
È possibile che al Sud ci siano 1,8 milioni di giovani sfiduciati che non studiano e non lavorano?
Che la disoccupazione giovanile tocchi e superi il 50% e quella generale sia da 2 a 3 volte superiore ai valori medi del resto d’Italia?
È giusto e accettabile che il reddito pro capite di un calabrese sia un terzo di quello di un trentino? Non siamo ben al di là di quello che un Paese unito, come l’Italia, dovrebbe considerare normale?
Perché per attraversare in treno la Calabria o la Sicilia ci vogliono diverse ore per fare poco più di cento chilometri? Perché un processo civile deve durare a Napoli o a Bari quattro volte il tempo che prende a Bologna o Padova?
Perché la gran parte delle scuole del Sud non ha impianti sportivi mentre la quasi totalità del Centro-Nord li ha?
Perché una assicurazione o un mutuo deve costare dal 40 al 100% in più al Sud rispetto al Nord?
I problemi sono talmente grandi che non importa la fonte o il dato più o meno aggiornato. Parliamo di differenze che si misurano in ordini di grandezza, per cui non serve inseguire la precisione statistica.
Ogni anno, tipicamente in occasione della presentazione del rapporto Svimez3, siamo inondati di cifre e di statistiche sui problemi del Meridione. La reazione tipica è di fastidio: un déjà-vu, la sensazione di una monotona litania senza costrutto e senza nessuna implicazione pratica. Questo fastidio, però, è soprattutto generato dal senso di impotenza e dalla frustrazione di sapere che l’anno prossimo sarà la stessa cosa e, probabilmente, anche un po’ peggio.
Unica certezza è che il ritardo c’è, ed è troppo grande. Da 20 anni si allarga continuamente. E, aggiungo io, a questo punto bisogna fare qualcosa. Diamo dunque per appurato che i problemi del Sud siano enormi e documentati, vale la pena di menzionare alcuni aspetti per capire da cosa ripartire. Almeno per decidere dove intervenire, per rinunciare alla “rassegnazione come soluzione”.
Il ritardo, come noto, attraversa tutto lo spettro degli indicatori economici, sociali, infrastrutturali ed amministrativi.
Ogni volta che si leggono i dati sembra di dover accettare una sconfitta della storia, ineluttabile e senza più alcun appello possibile.
Eppure uno dei grandi guai del Sud è proprio la forte “notorietà” dei propri problemi. Non siamo mai stati in grado di nasconderli, né soprattutto, di promuovere e raccontare bene tutte le cose positive.
Proprio questa “notorietà” finisce spesso per aggravare ulteriormente i problemi. Se la percezione è che “tanto là comanda la mafia” oppure che è “inutile provare a investire perché c’è troppa corruzione” o che “tanto là non funziona nulla”, il circolo vizioso, il cosiddetto “negative loop”, continua all’infinito.
Le risorse migliori se ne vanno, chi potrebbe fare qualcosa rinuncia: questo significa meno occupazione e quindi, nel lungo periodo, meno popolazione.
Quando cerchiamo di capire cos’è il Sud oggi, non possiamo non guardare ad una prospettiva di lungo termine, storica.
Nel periodo dal 1950 al 1990 il ritardo del nostro Sud si è fortemente riassorbito. Poi dai primi anni 90 al 2015 il divario si è drammaticamente riproposto. La grande crisi ha picchiato duro ed ha colpito maggiormente le Regioni meno forti, meno esposte ai mercati internazionali. Non dimentichiamo che le esportazioni hanno permesso all’economia italiana di sopravvivere come potenza manifatturiera nel quinquennio 2009-2013. E che solo il 10% delle esportazioni italiane viene dal Sud. Purtroppo, pur volendo guardare con fiducia al futuro, dobbiamo ammettere che il Sud oggi è ancora, fondamentalmente, una storia di ritardo, di sottosviluppo, di malgoverno, di crimine largamente pervasivo, di incapacità dell’élite di sviluppare modelli economici sostenibili.
È la storia di un turismo valorizzato solo in minima parte. Il dato più clamoroso è sempre lo stesso: le isole Baleari fanno più arrivi di tutti gli aeroporti del Sud messi insieme.
È la storia di un livello medio di praticamente tutti gli indicatori economici, sociali, culturali, scientifici e tecnologici, ampiamente al di sotto delle medie europee e nazionali.
Ma è, soprattutto, la storia di una sconfitta e di un arretramento, clamorosamente evidente negli ultimi 20 anni.
Come detto, il nostro Sud aveva recuperato tanto terreno, sia in termini assoluti che relativi, tra il 1950 e i primi anni 90. La Cassa del Mezzogiorno, le varie forme di intervento straordinario, una grande attenzione agli investimenti infrastrutturali, una élite politica largamente proveniente dal Sud, tutto questo aveva generato un importante effetto. Effetto distorto, largamente drogato da eccessi di spesa pubblica assistenziale, ma in buona parte positivo.
Gli studiosi più oggettivi4, valutando complessivamente la stagione dell’intervento straordinario e della Cassa del Mezzogiorno, riconoscono che le luci prevalgono nettamente.
Il Sud rurale e semianalfabeta dell’immediato dopoguerra era diventato, alla fine degli anni 80, un motore dello sviluppo del Paese.
Malgrado le migrazioni di massa, malgrado le mafie, malgrado le calamità naturali, il Sud aveva recuperato tanto terreno. “Innaffiato” da imponenti flussi finanziari (purtroppo in larga parte a debito, con la sbornia degli anni 80), il Sud entrava negli anni 90 forte di una posizione economica, politica e demografica decisamente migliore di oggi.
Ovviamente mai, neanche alla fine degli anni 80 (che come detto hanno rappresentato il momento di minimo distacco tra il Sud e il resto d’Italia), si poteva in nessun modo considerare il Sud avviato su un percorso di sviluppo sostenibile e duraturo. Ma il ritardo raggiunse per molti indicatori un livello di minimo.
Poi, il declino e l’oblio. Dai primi anni 90 al 2015 possiamo tranquillamente affermare che per il Sud sia stata quasi una “cavalcata nel deserto”. Le difficoltà della finanza pubblica, l’emergere delle pulsioni autonomiste (e a tratti indipendentiste) della Lega, il fastidio per gli sprechi, le ruberie e le mafie, tutto ha concorso perché il problema del Sud, come area sottosviluppata del Paese, fosse sostanzialmente rimosso.
Molti studi documentano in maniera chiara questo abnorme fenomeno, che inspiegabilmente non ha generato una vera reazione negli ultimi decenni. Renderei la lettura di alcuni di questi studi obbligatoria per chiunque ritenga il Sud poco più di una appendice parassitaria del laborioso Centro-Nord5.
Uno dei paradossi, in una fase in cui il dibattito politico è molto polarizzato ed il Nord continua a reclamare a gran voce (e per certi versi giustamente, avendo dato migliore prova come amministratore dello Stato centrale) maggiore autonomia, è relativo alla straordinaria rilevanza della economia del Sud per il Nord Italia.
Il centro Studi SRM, del Banco di Napoli (Gruppo Intesa Sanpaolo), ha prodotto delle interessanti analisi che dimostrano come il Sud sia uno straordinario mercato di sbocco per il Centro-Nord6. E come queste economie siano profondamente integrate e sinergiche. Come l’Italia, per essere forte e competitiva, abbia bisogno di un Sud sano ed in crescita.
Questa evidenza scientifica è troppo spesso ignorata dalla politica e messa da parte, come se si trattasse solo di uno “zero sum game”, un gioco a somma zero, una battaglia feroce per le risorse finite dello Stato centrale. In parte è così, ma lo sviluppo del Sud, in questo momento, rappresenta una priorità assoluta per rilanciare l’economia italiana.
Almeno dovrebbe rappresentare una priorità...

Indice dei contenuti

  1. Introduzione. Il viaggio di un (atipico) figlio del Sud
  2. 1. Quale Sud siamo oggi
  3. 2. Un altro Sud c’è. Ed io l’ho visto
  4. 3. Come costruire il Sud che vorremmo: una proposta
  5. Conclusioni. Snodo
  6. Bibliografia
  7. Ringraziamenti