1.
Gennaio
La guerra sotto i mari
Il mese e l’anno, il terzo di guerra, iniziano con una conferenza interalleata a Roma, ai massimi livelli, che vede la partecipazione, oltre che degli italiani, dei rappresentanti di Francia e Gran Bretagna, dove David Lloyd George ha appena preso il posto, nel dicembre, come nuovo primo ministro, di Herbert Asquith, dando una decisa svolta alla conduzione inglese della guerra. Lloyd George è un indipendente che viene da un passato radicale; nel 1909 e nel 1911, si è visto bocciare il suo bilancio, denominato “the people budget”, perché introduceva un sistema di assicurazione sociale per le fasce più deboli della popolazione, da finanziarsi con aumento delle tasse e tramite la rendita fondiaria; in precedenza si era messo in luce per la sua opposizione alle logoranti guerre contro i boeri che avevano impegnato il Regno Unito dagli anni Ottanta fino ai primi del nuovo secolo. Appoggiato dalla destra, che giudica debole il suo predecessore, Lloyd George se ne farà condizionare; del resto egli stesso lungo l’anno precedente non ha perso occasione per attaccare il capo del governo di cui egli stesso faceva parte, prima come cancelliere dello Scacchiere, poi come ministro delle Munizioni, quindi della Guerra. La sua ascesa al governo è comunque un fatto inatteso, che procurerà effetti di lungo periodo, ben oltre la guerra, segnando, per esempio, l’avvio di uno spostamento dell’asse dei poteri dal Legislativo all’Esecutivo, e nel suo ambito aumentando decisamente i poteri del primo ministro, anche se poi, in una politica dei “due forni”, egli porterà avanti la riforma elettorale, allargando il corpo dei votanti da 7,9 milioni a 21,4, di cui il 40% di genere femminile.
A Roma, egli esordisce con un promemoria che spiega il senso dell’incontro: «vedere se non ci sia qualche metodo per collegare e fondere gli sforzi degli alleati in maniera tale che durante il 1917 il nemico possa essere battuto». A fine mese un nuovo summit degli alleati si svolge a Pietrogrado, specificamente dedicato alla Russia, che, come avrà a osservare uno dei diplomatici inglesi, Lord Alfred Milner, è «sull’orlo del precipizio». E lo stesso andamento del convegno finirà per confermare i peggiori timori degli ospiti. La Russia, come dirà senza peli sulla lingua l’ambasciatore britannico, George William Buchanan, allo zar Nicola II, è a rischio rivoluzione. Ma durante l’incontro, che si protrarrà per giorni e al quale i diplomatici stranieri sono giunti al termine di un lungo percorso attraverso il Mare Artico, trovando ad accoglierli una disorganizzazione paurosa, emerge altresì una serie di diffidenze incrociate e talora di antipatie personali. L’Inghilterra ha già da tempo inviato ben cinquecento cannoni all’esercito russo, che tuttavia, scoprono i delegati britannici, non sono stati neppure utilizzati. L’Italia, a sua volta, ha rifiutato l’aiuto offerto, in uomini e mezzi, dal primo ministro Lloyd George. Lo zar Nicola, da parte sua, nutre evidente antipatia per l’ambasciatore Buchanan. E così via. Viene sì approvata la costituzione di un Comitato permanente dei delegati dei quattro governi alleati, ma viene bocciata, innanzi tutto per l’opposizione del capo della delegazione italiana Vittorio Scialoja, la proposta del delegato francese Gaston Doumergue di allargare i poteri e le competenze del Comitato. Si procederà ciascuno per proprio conto, fino a quando, soltanto nel mese di novembre, alla Conferenza di Rapallo sarà creato il Consiglio supremo interalleato, con sede a Versailles.
Intanto, però, sul finire del mese, si avvia in totale segretezza una difficile trattativa di pace, a Neuchâtel, nella neutrale e accogliente terra elvetica. Protagonisti, due rappresentanti della casata Borbone-Parma, con coinvolgimento della Santa Sede, che invia a Berlino monsignor Eugenio Pacelli (futuro pontefice Pio XII) per sondare le autorità tedesche sulla loro disponibilità a cedere su alcuni punti di contrasto, e avviare l’Europa verso una “pace giusta”. La trattativa, che pure sembrerà avviata verso un esito fausto, si trascinerà per mesi, tra richieste, offerte, contro-offerte, dinieghi e un vano gioco diplomatico, fino a giugno, quando verrà definitivamente a cadere. La guerra continuerà in quella terza annata, che stando a tutte le testimonianze, e alla ricostruzione storica, è la più terribile. E continuerà nella folle idea della vittoria totale, in fondo coerente con la prassi che il conflitto ha inaugurato appunto di guerra totale, che non risparmia monumenti, civili e religiosi, infrastrutture, popolazioni civili. Ben diversamente dalla politica ufficiale, negli umori popolari, sia dei combattenti, sia dei civili, avanza un rifiuto sotterraneo del massacro di massa perpetrato dall’estate ’14, che via via nel corso dei mesi verrà a galla, in modi più o meno clamorosi, talora violenti. Nella forza distruttrice del conflitto vanno compresi gli elementi propagandistici, simbolici, che sfociano in un abbondante ricorso al soprannaturale, al religioso, al magico. Lo vedremo.
Fallita la trattativa, la Germania, sia pure con molte esitazioni da parte del Kaiser Guglielmo e dello stesso capo del governo, Bethmann-Hollweg, che arriva a minacciare le dimissioni, su pressione delle gerarchie militari, a partire dal feldmaresciallo Paul von Hindenburg, comandante in capo delle Forze armate (colui che, da presidente della Repubblica, consegnerà la Germania a Hitler), e dal generale Erich Ludendorff, capo di stato maggiore, e fa un annuncio choc, proprio nel giorno che chiude il mese, anche se la decisione ai vertici risale all’8-9 gennaio. Si tratta della guerra sottomarina, che Berlino annuncia il 31 gennaio, e ipso facto scatena, non soltanto contro i navigli alleati, specialmente britannici, ma anche contro le navi di paesi terzi, neutrali, in quanto sospettate di effettuare trasporti per conto degli Stati membri dell’Intesa.
Anche nell’alleato austriaco la decisione tedesca suscita perplessità. Il paese è passato rapidamente dal delirio di guerra al desiderio di pace, passaggio segnato, il 21 ottobre 1916, dall’assassinio del conte Karl von Stürgkh, presidente del Consiglio, esponente dell’ala intransigente del nazionalismo austriaco, che aveva governato con pugno di ferro, paralizzando il Parlamento e imbavagliando la stampa. L’autore dell’omicidio era il figlio del noto politico e pensatore marxista Victor Adler, Friedrich, che in qualche modo con quel gesto estremo aveva dato voce al diffuso scontento verso la guerra, tanto è vero che invece di esecrazione egli raccolse simpatia, al punto che l’imperatore Carlo dovette trasformare la condanna a morte in ergastolo.
La Germania non era nuova a questo tipo di guerra. A conflitto appena iniziato, nel settembre del ’14, il sommergibile U-21 (la U allude a quelli che verranno chiamati U-Boote, ossia Unterwasser-Boote, navi sottomarine: oltre cento in forza alla Marina militare germanica) silura, affondandolo, il Pathfinder, esploratore della Marina di Sua Maestà Britannica, la prima nave a godere di tale “privilegio”. Sono i mesi delle polemiche sulle “atrocità germaniche” (vere o presunte, dalle uccisioni di massa in Belgio alla distruzione della cattedrale di Reims), e in fondo l’evento passa quasi inosservato dato anche il carattere militare della nave inglese. Non passerà sotto silenzio invece l’affondamento del Lusitania, lussuoso transatlantico privato britannico, da parte dell’U-20 tedesco a Sud delle isole irlandesi, il 7 maggio 1915. Oltre mille “dispersi” (1198) saranno contati fra i passeggeri di cui ben 129 con passaporto Usa. L’evento finì sulle prime pagine di tutti i quotidiani e settimanali del mondo. Nella copertina della popolarissima «Domenica del Corriere», sotto una tavola al solito molto efficace del disegnatore Beltrame, la didascalia recita: «La strage degli innocenti. I tedeschi affondano il Lusitania che trasportava quasi 2000 persone». Ancora oggi v’è chi al nome Lusitania sobbalza, essendosi quell’evento tramandato nella memoria collettiva come uno dei più tremendi della guerra, non solo dunque nell’ambito delle “tragedie del mare”. Nelle proteste, vibrate e generali contro la Germania, ci si dimenticherà che giorni prima l’ambasciata di Berlino a Washington aveva fatto pubblicare, a proprie spese, su decine di giornali, l’annuncio che la nave sarebbe stata silurata appena avesse varcato le acque territoriali britanniche. E verrà anche taciuto l’accordo stipulato al varo del transatlantico, e cioè che esso, sebbene adibito a trasporto passeggeri, avrebbe potuto ospitare armamenti, su richiesta del governo di Sua Maestà, e ciò in cambio di cospicui contributi finanziari. Sebbene questo atto, come il precedente e i successivi, fosse giustificato dai tedeschi come rappresaglia al blocco marittimo imposto fin dall’inizio delle ostilità alla Germania (blocco che colpiva indiscriminatamente civili e militari, industria bellica e no, con gravi danni per il popolo tedesco, al quale non giungevano più numerose derrate alimentari), una ondata di indignazione si era levata contro i “crucchi”. E, alla fine dei...