V. Infrastrutture e servizi
1. Opere pubbliche e infrastrutture per il territorio
Il buon governo della città e del territorio richiede infrastrutture e servizi di uso comune, che modificando l’ambiente circostante, lo rendano funzionale alla vita sociale ed economica. Al di là delle molte distinzioni che si possono fare all’interno dell’ampio genus delle opere pubbliche, la species «infrastrutture» fa riferimento alle opere dirette a definire l’assetto civile della collettività, dotando il territorio delle attrezzature che ne rendono possibile la crescita economica e il complessivo sviluppo sociale (porti e aeroporti, reti di trasporto e comunicazione, elettrodotti, ecc.). Anche qui l’attributo della pubblicità è da intendersi in senso oggettivo e non soggettivo, ben potendo esservi opere pubbliche di proprietà e/o realizzate da soggetti privati (Ferrovie dello Stato Spa, Enel, Italgas, Autostrade per l’Italia, ecc.).
Evidente, in questa prospettiva, l’importanza del quadro ordinamentale, specie in un Paese, come il nostro, contrassegnato da un divario infrastrutturale che è insieme causa ed effetto di quello economico e sociale. Com’è noto, nel testo costituzionale post revisione del 2001 manca uno specifico riferimento alla materia, né si prevedono clausole di supremazia a favore dello Stato, sicchè la Corte costituzionale ha dovuto chiarire che i lavori pubblici, non integrando una vera e propria materia, «si qualificano a seconda dell’oggetto al quale afferiscono e pertanto possono essere ascritti di volta in volta a potestà legislative esclusive dello Stato o a potestà legislative concorrenti».
Dunque, la competenza legislativa si determina, oggi, in ragione di molteplici profili giuridici, che vengono in rilievo di volta in volta e possono riguardare la programmazione, la progettazione e la localizzazione delle opere o il loro finanziamento, la realizzazione, ecc., ognuno dei quali è suscettibile di collegamento con una determinata materia sostanziale.
Sullo sfondo, rimane tuttavia l’esigenza di una regolamentazione unitaria, come richiesto peraltro anche dall’ordinamento europeo, che considera quello degli appalti pubblici un settore strategico, posto che lo stato banditore – o comunque venditore o compratore – svolge un ruolo fondamentale nelle dinamiche del mercato, specie nell’attuale situazione di gravissima crisi, dove l’ammontare di risorse che le pubbliche amministrazioni destinano ogni anno a beni, servizi e lavori, corrisponde a ben il 18 per cento del pil europeo.
Perciò, a quarant’anni dalla prima direttiva appalti (1971/305/Cee) nel gennaio del 2014 sono state approvate tre nuove direttive: la prima, sull’aggiudicazione dei contratti di concessione (2014/23/UE); la seconda, sugli appalti pubblici di lavori, forniture e servizi (2014/24/UE) e la terza, sugli appalti nei cd. settori speciali (acqua, energia, trasporti e servizi postali). In effetti, l’azione non coordinata dei singoli Stati membri rischierebbe di portare alla previsione di discipline non omogenee, di procedure e requisiti potenzialmente tra loro contrastanti e comunque tali da aumentare la complessità della regolamentazione e creare ostacoli ingiustificati per le attività economiche, mancando gli obiettivi strategici. Su questi presupposti, l’intervento della Commissione, muovendo da una visione globale della situazione economica, intende superare la tradizionale impostazione mercatista, assegnando alle norme sugli appalti il compito di stimolare la competizione fra le imprese sul terreno della conoscenza, dello sviluppo tecnologico e della ricerca, individuando una serie di «obiettivi sociali comuni», quali la tutela dell’ambiente e dell’efficienza energetica, la fornitura di servizi pubblici di elevata qualità, la promozione dell’innovazione e dell’inclusione sociale.
Il legislatore nazionale aveva peraltro già provveduto a un’importante opera di razionalizzazione delle diverse fonti, oggi raccolte nel d.lgs. 163/2006 (Codice dei contratti pubblici di lavori, servizi e forniture), ribadendo che le regioni e le province autonome di Trento e Bolzano esercitano la potestà normativa in tale ambito nel rispetto dei vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario e delle disposizioni statali in materia (art. 4, cc. 1, 2) e riservando una corsia preferenziale alle «infrastrutture strategiche» e per gli insediamenti produttivi di preminente interesse nazionale (artt. 161 ss.), per le quali prevede una disciplina parzialmente derogatoria rispetto agli appalti ‘ordinari’, a loro volta distinti, ai fini dell’applicazione della disciplina codicistica, in contratti «di rilevanza comunitaria» – il cui valore è pari o superiore a determinati importi – e contratti «sotto soglia».
A loro volta, le diverse stazioni appaltanti possono istituire (o affidare i relativi compiti ad un ufficio già esistente) uno «sportello dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi, forniture», che, in un’ottica di semplificazione, possa fornire ai candidati e agli offerenti, nonché ai soggetti che intendono presentare una candidatura o un’offerta, ogni informazione e supporto utile ai fini della presentazione delle candidature e delle offerte (art. 9, c. 1, lett. a) e b). Tali informazioni possono essere fornite anche per via telematica (art. 9, c. 2).
È invece obbligatorio per l’amministrazione individuare, ai sensi della l. 241/1990, un responsabile unico del procedimento, per le fasi della progettazione, dell’affidamento e dell’esecuzione, al quale sono affidati diversi compiti relativi alla procedure di affidamento previste dal d.lgs. 163/2006; in particolare, questi cura il corretto e razionale svolgimento delle procedure; segnala eventuali disfunzioni, impedimenti, ritardi nell’attuazione degli interventi; accerta la libera disponibilità di aree e immobili necessari; propone all’amministrazione aggiudicatrice la conclusione di un accordo di programma, quando si rende necessaria l’azione integrata e coordinata di diverse amministrazioni; propone l’indizione o, ove competente, indice la conferenza di servizi, ai sensi della l. 241/1990, quando sia necessario o utile per l’acquisizione di intese, pareri, concessioni, autorizzazioni, permessi, licenze, nulla osta, assensi, comunque denominati.
2. Programmare e progettare
Per quanto riguarda la disciplina delle opere pubbliche, programmazione significa, innanzitutto, individuare – in base a rigorosi studi di fattibilità – un ordine delle priorità, che tenga conto della tipologia dei lavori da realizzare, del grado di sostenibilità finanziaria dell’opera e dell’eventuale contributo dei privati, ai quali il Codice riconosce, fra l’alltro, la facoltà di presentare proposte relative a progetti, già inclusi o da includere nel programma e aventi carattere prioritario qualora realizzabili senza capitali pubblici.
È proprio in sede di programmazione e, naturalmente, anche nella fase successiva della progettazione, che si pone il problema della localizzazione delle infrastrutture, momento fondamentale, secondo la legge urbanistica, del sistema dei piani territoriali, che esigeva la necessaria conformità delle opere alle previsioni urbanistiche comunali. La sostanziale inattuazione di quel sistema e la redistribuzione di compiti e funzioni a seguito della regionalizzazione porterà all’abbandono del principio della localizzazione come elemento necessario e insuperabile del piano e all’emergere di uno nuovo, quello della prevalenza dell’interesse specifico in relazione al tipo di opera da realizzare rispetto agli interessi ‘generali’ rappresentati nel piano. Con l’art. 81, d.P.R. 16/1977, questo principio diventa diritto positivo, sicché, per le opere di interesse statale, la scelta localizzativa viene definita da un’intesa Stato/Regione, previa consultazione, nella fase istruttoria, degli enti locali interessati. Non passano molti anni e torna a soffiare il vento del decentramento: con la l. 385/1990 si prevede «l’approvazione di progetti (esecutivi) di opere» relative a reti ferroviarie mediante una conferenza di servizi, convocata dal Presidente del Consiglio dei ministri o dal ministro dei trasporti e composta dai rappresentanti dello Stato e degli enti locali, nonché dagli altri soggetti pubblici competenti. La conferenza decide all’unanimità e, in caso di dissenso, l’organo convocante può promuovere un accordo di programma. Passa qualche anno e il d.P.R. 383/1994 estende a tutte le opere di interesse statale la possibilità, qualora la verifica di conformità dell’opera che si intende realizzare ai piani urbanistici dia esito negativo o l’intesa tardi ad arrivare (il termine stabilito per il suo perfezionamento è di sessanta giorni), di ricorrere alla conferenza di servizi, con l’eventuale decisione del Consiglio dei ministri, in caso di dissenso. Poi, in funzione acceleratoria, la l. 127/1997, stabilisce che la conferenza possa essere convocata anche prima o durante l’accertamento di conformità, mentre la l. 415/1998 prevede, per tutti i progetti preliminari e definitivi di opere pubbliche, il ricorso alla conferenza di servizi come disciplinata dalla l. 241/90, ma senza il vincolo dell’unanimità. Alla conferenza prendono parte tutti gli enti locali interessati, ai quali la norma riconosce un ruolo determinante, posto che l’amministrazione statale procedente potrà decidere la localizzazione solo previa intesa con la Regione interessata, valutate le specifiche risultanze della conferenza di servizi e tenuto conto delle posizioni prevalenti espresse in detta sede.
Quasi a conferma dell’inerenza della decisione localizzativa alla programmazione, l’art. 55 del d.lgs. 112/1998 stabilisce che le procedure per l’individuazione del sito destinato ad accogliere l’infrastruttura sono promosse dalle amministrazioni statali solo «previa presentazione» alle Regioni del quadro complessivo delle opere e degli interventi compresi nella propria programmazione, adempimento alla luce del quale gli enti locali valuteranno l’eventuale richiesta di attivazione del procedimento in difformità.
Si colloca nel solco della tendenza generale alla semplificazione e all’esercizio condiviso (sia pure, come si vedrà, solo fra enti pubblici) del potere amministrativo anche il testo unico sulle espropriazioni, che prevede la possibilità di disporre il vincolo preordinato all’esproprio su richiesta dell’interessato o su iniziativa dell’amministrazione competente all’approvazione del progetto mediante una conferenza di servizi, un accordo di programma o un’intesa ovvero un altro atto comportante variante al piano urbanistico.
Sarebbe peraltro riduttivo considerare questa pluralità di istituti, funzionalmente affini, semplici strumenti di semplificazione, accelerazione o coordinamento dell’azione amministrativa, come pure sembrerebbe da una lettura immediata delle norme. In realtà, gli accordi o le intese non si raggiungono per il solo mettersi intorno a un tavolo di diversi soggetti, né le conferenze vengono convocate solo per far sì che diversi soggetti esprimano contestualmente la propria volontà. Sono, in realtà, gli scambi reciprocamente vantaggiosi, le concessioni e i compromessi che originano da quelle occasioni di dialogo e confronto a costituire il nucleo essenziale di un nuovo modo di intendere l’amministrazione, non più imperniata...