Margini d'Italia
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Margini d'Italia

L'esclusione sociale dall'Unità a oggi

  1. 398 pagine
  2. Italian
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Margini d'Italia

L'esclusione sociale dall'Unità a oggi

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Informazioni sul libro

I 'margini d'Italia' sono tutto ciò che si è scelto di relegare alla periferia fisica o simbolica della nazione: le popolazioni africane delle colonie, le zone meno sviluppate del meridione, i manicomi prima della loro chiusura, le baraccopoli delle grandi città e i campi nomadi di oggi. È indubbio che l'esclusione di alcuni soggetti e alcuni luoghi contribuisce a determinare l'identità culturale di una nazione. Nel nostro paese l'esclusione sociale non è sempre passata attraverso un progetto politico preciso, ma è sempre stata contrassegnata da un discorso pubblico che ha rappresentato luoghi e persone come marginali.Nel libro, le voci e le fotografie di coloro che hanno contribuito alla segregazione politica e sociale, o l'hanno combattuta, ci raccontano molto sul processo di formazione dell'Italia moderna. Il risultato è un ribaltamento di prospettiva nella considerazione della nostra identità, destinato a lasciare il segno nella storiografia italiana.

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Informazioni

Anno
2015
ISBN
9788858120859
Argomento
Storia

1. Periferie urbane

Un cortile

La fotografia della Figura 1.1 venne scattata per conto dell’Istituto romano di beni stabili (Irbs). Il suo scopo era quello di raccogliere informazioni sulla struttura e le condizioni del condominio, in vista di un intervento migliorativo. Alcuni degli inquilini sono usciti dagli appartamenti per guardare la macchina fotografica e il fotografo. Un’altra fotografia, scattata dallo stesso punto alcuni anni dopo, mostrerà i cambiamenti realizzati. I balconi sono scomparsi e gli inquilini sono rientrati dentro gli appartamenti. Le due immagini vennero pubblicate una a fianco all’altra, come un “prima” e un “dopo” (Figura 1.2), in un libro che illustrava il lavoro dell’Irbs nel campo del risanamento dei quartieri degradati20.
Le persone ritratte nella prima fotografia stanno guardando verso la macchina fotografica e il fotografo, ma lui in realtà non li sta osservando. Sta registrando informazioni sull’edificio intorno e dietro di loro; la loro presenza nell’inquadratura è casuale. Le ombre sotto i ballatoi e i riflessi sulle finestre in alto mostrano che il sole sta splendendo, ma l’area del cortile è piccola rispetto all’altezza del condominio e perciò ben poco della luce e del tepore provenienti dal sole possono entrare negli appartamenti che vi si affacciano, specialmente in quelli ai piani bassi. Il libro dell’Irbs chiama significativamente le strette aperture sopra questo genere di cortili «pozzi di luce». Le macchie visibili sull’intonaco sono prodotte dall’umidità, dovuta alla poca luce solare che riesce a penetrare, alla scarsa ventilazione e agli scadenti materiali di costruzione utilizzati21. Ci sono servizi igienici esterni – le strutture scatolari sui balconi – e la spazzatura sembra ammucchiata agli angoli del cortile. Qualche anno dopo tutti questi elementi sono scomparsi. I balconi e i servizi igienici esterni sono stati smantellati, il cortile è stato ampliato, sono stati piantati alberi ed erba, ridisegnate le aperture delle finestre, i muri rintonacati e tutto lo spazio per l’interazione tra le persone e per il gioco dei bambini è stato spostato all’interno.
La prima fotografia, in altre parole, si proponeva di essere ad un tempo una documentazione tecnica della condizione e della tipologia di un edificio e uno strumento per promuovere il buon lavoro svolto da uno specifico istituto, l’Irbs, nel quadro della sua politica di “risanamento” dei quartieri popolari. Per entrambi gli aspetti essa somiglia a fotografie scattate in altre città più o meno nello stesso periodo, come quelle realizzate da Thomas Annan tra il 1868 e il 1871 per conto del City of Glasgow Improvements Trust e che ritraevano edifici e strade che erano già state segnalate per essere sgomberate o quelle analizzate da John Tagg, raffiguranti abitazioni popolari della zona di Quarry Hill a Leeds, scattate tra il 1869 e il 1901, che avevano il medesimo scopo di documentare e sostenere un programma di risanamento dei quartieri degradati della città22. Come in quelle dell’Irbs, anche in questa serie di fotografie la presenza delle persone è meramente incidentale. Alcune mostrano strade vuote, altre figure solitarie o piccoli gruppi. «Spazio e luce sono ciò che i negativi misurano», ha scritto Tagg delle fotografie di Leeds; «La gente del posto è inquadrata solo come unità di misura o come un dettaglio aggiuntivo»23. A Glasgow, a causa della poca luce che penetrava nei vicoli stretti, Annan ricorreva ad un procedimento che prevedeva l’uso di lastre al collodio umido e richiedeva tempi lunghi per l’allestimento e per l’esposizione; cosa che non sorprende, la sua presenza attrasse la curiosità delle persone che abitavano il quartiere. Una fotografia (Figura 1.3) mostra una folla di donne e bambini che si sono riuniti per guardarlo, così come una figura affacciata alla finestra al primo piano e un’altra sul portone, ma Annan aveva fatto in modo che fossero ad una distanza tale dall’obiettivo da non disturbare l’immagine degli edifici con i panni stesi tra loro e lo scarico a cielo aperto in primo piano. Secondo Wolfgang Kemp questa fotografia dà la sensazione che le persone siano lì solo per animare la scena24.
A partire da un approccio discorsivo alla fotografia, Tagg ha criticato l’idea che ogni fotografia di tipo “sociale” fosse un documento già così pieno di significato da produrre di per sé un pezzo di “storia nascosta” della vita della classe operaia. Ha suggerito, piuttosto, che il significato storico di una fotografia non risieda mai nell’immagine stessa, ma derivi dalla sua interazione con i discorsi particolari che l’hanno prodotta. Nel caso delle immagini di Leeds, c’erano i discorsi filantropici e igienisti che animavano la “questione sanitaria”, promossi dai movimenti religiosi protestanti e da quelli laici di riforma sociale, ma anche i discorsi politici delle lobby locali in competizione con questi. Le fotografie erano volute e presentate come registrazioni tecniche, e quindi oggettive, delle condizioni degli edifici; quelli che le avevano commissionate e realizzate, ha sostenuto Tagg, avevano pochissimo interesse per gli individui e le famiglie che abitavano questi luoghi, per ciò che essi avrebbero provato nell’essere trasferiti o per la loro destinazione dopo lo sgombero. Ciò che volevano le autorità municipali era rimuovere il degrado degli alloggi malfamati per ripulire la città.
Concordo quasi totalmente con quello che ha sostenuto Tagg, e molte delle sue osservazioni potrebbero valere per le fotografie di Roma. Tuttavia, credo sia necessario notare come la sua lettura ometta qualsiasi riferimento a quello che potremmo chiamare l’inconscio di una fotografia – ciò che essa è in grado di cogliere al di là di quello che il fotografo intendeva mostrare. L’immagine riprodotta nella Figura 1.1, nonostante i discorsi che l’hanno prodotta, è diventata oggi qualcosa di più di una testimonianza dell’architettura di una costruzione scadente. È diventata una fonte eloquente del modo in cui le classi popolari vivevano e si presentavano a Roma all’inizio del Novecento. In altre parole, essa contiene informazioni che eccedono le intenzioni del fotografo e dei suoi committenti.
È proprio questo genere di elementi non intenzionali che Roland Barthes ha chiamato il punctum di una fotografia – il particolare che trafigge o punge lo spettatore – in opposizione allo studium, la risposta culturalmente informata che corrisponde alle intenzioni del fotografo e che dipende da un tacito accordo tra il fotografo e lo spettatore25. Il punctum è proprio solo del mezzo fotografico, ha sostenuto Barthes, perché solo una lente combinata con un processo chimico non totalmente controllato dall’intenzionalità umana può catturare tali eventi o gesti privi di copione. Nella Figura 1.1 possiamo distinguere diverse persone: donne, bambini in braccio, bambini più grandi e uomini. Le donne vestono camicette e vestiti lunghi; uno degli uomini sembra indossare un cappotto molto pesante. Forse gli uomini sono a casa perché disoccupati o forse perché quello era il loro turno di riposo o semplicemente erano tornati per mangiare. Queste persone non hanno scelto né potevano controllare come il fotografo li avrebbe rappresentati. Non sono in posa. A differenza dei loro contemporanei più benestanti, non si sarebbero potute permettere un ritratto realizzato in studio né una propria macchina fotografica. La Brownie box camera (la prima macchina fotografica portatile che utilizzava pellicola) era stata lanciata in America nel 1900 dalla Eastman Kodak Company al prezzo di un dollaro, ma nei mercati esteri il suo prezzo era ben più alto e c’erano da sostenere anche le spese per l’acquisto e lo sviluppo delle pellicole. Le paghe medie in Italia erano molto più basse che negli Stati Uniti, e qui un bacino di consumatori sufficiente ad avviare un mercato non di élite delle fotocamere si forma solo dopo la prima guerra mondiale e anche allora la maggior parte degli acquirenti, almeno inizialmente, appartenevano alla classe media. È molto probabile, quindi, che l’unica immagine fotografica sopravvissuta di queste persone per quell’epoca sia quella qui analizzata, scattata da un fotografo che non voleva fotografarle. È proprio questa mancanza di intenzionalità che permette al punctum del loro curioso sguardo fisso verso l’apparecchio fotografico di colpirci.
La presenza incidentale di singole persone in una fotografia come questa può anche costituire un primo indizio di come le idee di marginalità – spaziale, sociale e nelle rappresentazioni – venivano prodotte in quel momento. I margini, come ho sostenuto nell’introduzione, sono un modo di vedere i luoghi in relazione ad altri luoghi. San Lorenzo, nome con cui divenne poi noto il nuovo quartiere dove era stata scattata la fotografia, in quegli anni era considerato marginale dal punto di vista spaziale perché era stato costruito fuori le antiche mura della città, considerate ancora all’inizio del Novecento ciò che segnava i limiti esterni di Roma sul versante est. Inoltre, scrittori, ricercatori sociali e fotografi che si erano avventurati al di là di questi confini per visitarla ritenevano che questa zona fosse marginale anche socialmente, perché popolata da lavoratori immigrati da altre regioni e da quella che era vista come un’allarmante e ampia sottoclasse di ladruncoli, prostitute e disoccupati. Infine, la sua marginalità spaziale e sociale era evidenziata anche dal fatto che i suoi abitanti erano oggetti di rappresentazione per questi scrittori e fotografi, piuttosto che soggetti in grado di assumere il controllo delle proprie rappresentazioni. Era inconcepibile, agli inizi del Novecento, che essi potessero appropriarsi e invertire lo sguardo dell’uomo che incidentalmente aveva riprodotto la loro immagine sulla sua lastra fotografica, o di altri come lui che erano venuti in questi quartieri per realizzare studi e osservazioni su di loro. Perché ciò accadesse, avrebbero dovuto avere accesso agli stessi strumenti di rappresentazione e alle stesse competenze culturali di quelli che li avevano rappresentati: apparecchi fotografici, livelli di istruzione avanzati, accesso alle case editrici e alla stampa quotidiana. A causa di questa mancanza di reversibilità, le fotografie delle persone povere e delle loro condizioni di vita confermano inevitabilmente la differenza e lo iato che le separa dai loro osservatori. Come ha sostenuto Paula Rabinowitz nella sua analisi della fotografia documentaria americana ai tempi del New Deal, la fotografia, «rivelando la mancanza di beni materiali nella vita del povero, afferma per contrasto l’abbondanza in quella del suo osservatore»26.

La costruzione di uno slum

C’erano altri quartieri poveri a Roma a quel tempo, ma San Lorenzo era oggetto di particolare attenzione da parte di giornalisti, ricercatori sociali e riformatori. Un articolo comparso su un quotidiano nel 1901 lo descriveva come «il quartiere della maggiore miseria romana»27. Un intervento pubblicato sulla «Nuova Antologia» del 1904 sosteneva che l’aspetto dei suoi condomìni tradiva la più grossa ignoranza delle «regole elementari di abitabilità»28.
Ormai è vano ripetere quali danni fisici, morali e sociali provengano da questi agglomeramenti: non furono già scritte pagine roventi da igienisti, sociologi e filantropi? Non ci hanno essi già provato con l’inesorabile forza delle cifre che là l’essere umano si ammala, delinque, muore in ben maggiori proporzioni che nelle altre abitazioni?29
San Lorenzo, infatti, era stata una delle aree di Roma più gravemente afflitte dall’epidemia di tifo del 1904 e sarebbe...

Indice dei contenuti

  1. Prefazione all’edizione italiana
  2. Introduzione. Guardare ai margini
  3. 1. Periferie urbane
  4. 2. Colonie
  5. 3. Sud
  6. 4. Manicomi
  7. 5. Campi nomadi
  8. Conclusioni. Capire i margini
  9. Bibliografia
  10. Ringraziamenti
  11. Immagini «Periferie urbane»
  12. Immagini «Colonie»
  13. Immagini «Sud»
  14. Immagini «Manicomi»
  15. Immagini «Campi nomadi»
  16. Elenco delle illustrazioni