Poesia e ritratto nel Rinascimento
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Poesia e ritratto nel Rinascimento

  1. 296 pagine
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Poesia e ritratto nel Rinascimento

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Mito dalle origini antiche e potente topos letterario, il ritratto è celebrato dai poeti del nostro Rinascimento come l'arte 'divina' che rende presente e vicino chi è lontano, imago sostitutiva dell'oggetto del desiderio. Tuttavia il connubio tra scrittura e arte figurativa si complica, proprio tra Quattro e Cinquecento: la pratica del ritratto si va diffondendo in modo pervasivo e, mentre cambia lo status dei pittori, si apre per i letterati una partita imprevista, fatta di mutati rapporti di forza e di confronto ravvicinato. Ecco perché «una poesia che parla di un ritratto è sempre una rappresentazione della diversità, spesso anche della competizione fra parola e immagine». Petrarca è il primo a inaugurare il doppio registro, cantando al tempo stesso la forza e lo scacco del ritratto figurativo in due celebri sonetti che dedicò al dipinto di Laura realizzato dall'amico Simone Martini. Il suo dittico stabilisce un modello che sarà ripreso, variato, tradito per secoli. Il volume presenta una ricca selezione di testi poetici sul ritratto, accompagnati dalle immagini cui rinviano o con cui si intrecciano. «Una delle costanti di grande interesse dei testi qui presentati è proprio il mettere in gioco sia la diversa dignità del poeta e del pittore, sia lo statuto stesso dell'immagine. Si tratta di una produzione poetica che per lo più parla dell'immagine pittorica cancellandola dalla nostra vista, e usa il tema del ritratto per variare e celebrare il lavoro della scrittura letteraria, per trarne materiale che permette di declinare in modo nuovo i topoi tradizionali del linguaggio amoroso».

Un'indagine inedita e preziosa sull'incontro-scontro tra parola e immagine nel cuore della produzione artistica rinascimentale.

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Informazioni

Anno
2015
ISBN
9788858121320
Argomento
Arte

Lo specchio del ritratto fra Petrarca e Marino

Con un accostamento pieno di fascino Leon Battista Alberti dice che la forza quasi divina della pittura è come quella dell’amicizia, che rende presente, vicino a noi, anche chi è lontano. Il confronto si sviluppa poi a favore della pittura, la quale fa qualcosa di più: «fa vedere ai vivi, molti secoli dopo, coloro che sono morti, in modo che li si conosce, con grande onore per l’artista e piacere per chi li guarda... E così i volti dei defunti, grazie alla pittura, godono in qualche modo di una vita molto lunga»1. Al ritratto dunque in primo luogo l’Alberti affida la «forza divina» di sfidare la morte, di garantire la memoria, di alimentare la fama dell’artista e insieme il piacere di riconoscere chi non è più. Sempre il ritratto – anzi il ritratto più fedele, quello in cui ci si rispecchia – è al centro di un mito delle origini della pittura che Alberti presenta come un mito personale: «ho avuto l’abitudine di dire fra i miei amici che inventore della pittura è stato, secondo i poeti, quel Narciso che è stato mutato in fiore; infatti, dato che la pittura è fiore di tutte le arti, allora tutta la favola di Narciso viene perfettamente a proposito. Non è forse vero che dipingere non è altro che abbracciare con arte quella superficie della fonte?»2.
Di questo mito in cui la fascinazione dell’immagine genera la morte Alberti seleziona solo alcune componenti. Resta il fascino erotico del ritratto riflesso sulla superficie dell’acqua, che l’arte vuole «abbracciare», mentre la metamorfosi nel fiore viene usata per dare alla pittura, «fiore di ogni arte», una supremazia che in genere i poeti rivendicavano per sé. Già in passato, del resto, il mito di Narciso era stato letto anche nella chiave di una competizione fra immagine e parola3. Nella splendida versione che ne dà Ovidio (Metamorfosi, III, vv. 339-510), infatti, la storia di Narciso si intreccia con quella di Eco, la giovane ninfa condannata a ripetere solo le ultime parole dette da un altro. Se lei, infelicemente innamorata di lui, finisce col ridursi a pura voce, così che non la si vede, ma la si sente dappertutto, lui si consuma di desiderio per la propria immagine riflessa dalla fonte: ama un’immagine senza corpo («spem sine corpore amat; corpus putat esse, quod unda est», v. 417), cerca invano di baciare «fantasmi fuggevoli» («simulacra fugacia», v. 432), di abbracciare l’ombra, e nel momento in cui ne prende coscienza sogna di allontanarsi da se stesso, di diventare il proprio doppio: «iste ego sum: sensi, nec me mea fallit imago» (v. 463); «o utinam a nostro secedere corpore possem!» (v. 467).
In un epigramma di Decimo Ausonio (IV secolo), In Echo pictam, la ninfa infelice sfida il pittore a un’impresa impossibile: «se proprio mi vuoi dipingere», dice, «dipingi il suono»4. La vicenda di un amore destinato, in modo speculare, a non realizzarsi era diventata anche l’emblema delle capacità e dei limiti espressivi della poesia e della pittura.
C’è un altro mito delle origini del ritratto, molto più diffuso, tramandato dalla Naturalis historia di Plinio (XXXV, 151). Vi si racconta di una fanciulla che disegna sul muro l’ombra che vi proietta l’amante addormentato. Egli sta per partire per un lungo viaggio, e lei vuole così catturare la sua immagine. Il padre, Butade, ne ricava un modello in argilla che allevierà la sofferenza della fanciulla per l’assenza dell’amato.
In forme diverse, nei racconti delle origini, il ritratto appare legato al bisogno di dar vita a qualcosa che rappresenti, riproduca l’oggetto del proprio desiderio e sostituisca un’assenza. Ce ne danno testimonianza anche i termini che ancor oggi usiamo: «ritratto» deriva infatti dal latino retraho, che «con il suo forte timbro d’arresto, di ritirata – evoca il tentativo di trattenere, salvare e conservare l’immagine di un volto»5, mentre da protraho vengono i termini usati in altre lingue, come in francese, in inglese, in tedesco, che sembrano sottolineare l’idea del ritratto come sostituzione piuttosto che come copia. Anche se naturalmente significati e funzioni si possono intrecciare.
Se teniamo presenti i racconti delle origini, comprendiamo perché molte storie si svilupperanno intorno a tre elementi di base: due amanti (di cui uno assente) e il ritratto. Essi sono presenti, come ha notato Maurizio Bettini6, anche nei due sonetti (LXXVII e LXXVIII del Canzoniere7) che Petrarca scrive per il ritratto di Laura fatto da Simone Martini: questi testi segnano anche l’inizio del nostro percorso.
Accanto alla tradizione classica, un testo va ricordato come fondamentale per il confronto fra parola e immagine, e tra finzione e vita, che troveremo largamente presente nelle poesie sul ritratto: il canto X del Purgatorio, là dove Dante descrive i bassorilievi che, nella cornice dei superbi, presentano esempi di umiltà:
Là sù non eran mossi i piè nostri anco,
quand’io conobbi quella ripa intorno
che dritto di salita aveva manco,
esser di marmo candido e addorno
d’intagli sì, che non pur Policleto,
ma la natura lì avrebbe scorno (vv. 28-33).
La qualità delle immagini è tale che sembrano prendere vita, fino a ingannare i sensi di chi le guarda:
Colui che mai non vide cosa nova
produsse esto visibile parlare,
novello a noi perché qui non si trova (vv. 94-96).
In Dante la capacità di passare i confini, di dare alle immagini i caratteri degli esseri viventi, è attribuita all’arte divina. Ma, come vedremo, nella lunga tradizione in cui si inseriscono i testi da noi scelti e commentati, ritroveremo alcune componenti essenziali della rappresentazione dantesca: la tentazione di dare all’arte un carattere divino, capace di oltrepassare le barriere tra illusione e realtà, e, in stretto legame con questo, il paragone con l’arte antica, l’affermazione di una superiorità dell’arte moderna che è in gara con la natura stessa.
Per la prima volta si presenta qui una scelta consistente di testi poetici sul ritratto, accompagnati da esempi delle immagini cui rinviano e con cui si intrecciano. Il commento di Federica Pich non solo offre gli indispensabili strumenti di lettura, ma dà anche indicazioni sui legami con altri testi, così da suggerire ulteriori percorsi possibili, evocando la più ampia trama di rapporti in cui le poesie sono inserite. Non sono certo mancati, negli ultimi decenni, studi di storici dell’arte che hanno usato alcuni di questi testi per guardare in modo nuovo, e più complesso, ai ritratti, per ricostruire ad esempio le modalità di ricezione delle immagini, i canoni estetici e sociali che incarnano, mentre da parte dei critici letterari si è in genere sottolineato piuttosto la forza della tradizione letteraria, il carattere illusorio di quello che può apparire come uno scambio tra linguaggi e esperienze diversi.
Questa antologia permette di avere a disposizione una parte significativa dei testi: il lettore li potrà leggere e gustare in modo autonomo, ma li potrà usare anche come un osservatorio che permette di adottare molteplici prospettive. Così ad esempio si potrà vedere da vicino come siano l’occasione per un ricco gioco di variazione e di combinazione intorno ad alcuni topoi letterari, secondo le regole di un codice poetico fatto di imitazione e di emulazione; in alcuni casi le lettere che l’autore scambia con i suoi amici letterati ci mostrano che intorno a queste poesie si può sviluppare un dialogo, un confronto ravvicinato per cui le scelte formali di volta in volta adottate possono essere frutto di confronto e di negoziazione. Oppure ancora si potrà vedere come la parola poetica sperimenti, proprio «davanti» al ritratto, le sue risorse visive, ad esempio visualizzando delle metafore, o traducendo un oggetto in un’immagine concettosa. Forse questo ha a che fare proprio con la natura profonda del ritratto, con il suo porsi su di una soglia, su di un confine che il mito – vedremo il caso di Pigmalione – ama attraversare. Proprio perché legato all’ombra, ha notato Bettini, il ritratto conserva una parte dell’identità della persona: diventa «più un equivalente della persona che non una semplice effigie capace di ‘rassomigliare’ al suo referente. Non metafora, ma metonimia sostitutiva, il ritratto non è pura icona, è segno contaminato di referente», è «segno macchiato di rea...

Indice dei contenuti

  1. Lo specchio del ritratto fra Petrarca e Marino
  2. I testi
  3. I. Il ritratto dell’amata
  4. II. Il ritratto del poeta
  5. III. Il ritratto come celebrazione
  6. IV. L’omaggio all’artista
  7. V. La poesia davanti al ritratto
  8. Bibliografia
  9. Immagini