L'opinione pubblica
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L'opinione pubblica

Teoria del campo demoscopico

  1. 224 pagine
  2. Italian
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L'opinione pubblica

Teoria del campo demoscopico

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Le dinamiche di opinione interessano sempre più le imprese, le istituzioni, il ceto politico, il mondo dei media. All'opinione pubblica si fa riferimento per prendere decisioni, per legittimare scelte, per interpretare gli orientamenti collettivi o per denunciare i rischi crescenti di una sondocrazia. Il volume mette a fuoco questo fenomeno così complesso e sfuggente tipico delle nostre società occidentali, evidenziandone sia le origini storiche sia il ruolo politico e sociale attuale. Attraverso la presentazione dei principali modelli teorici elaborati nel corso del Novecento, vengono poste le basi per analizzare l'opinione pubblica nei suoi elementi costitutivi, nel funzionamento concreto e mediante l'uso degli strumenti più idonei per misurarla.

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Informazioni

Anno
2015
ISBN
9788858118498
Categoria
Sociology

1. Introduzione. Novecento, il secolo dell’opinione pubblica?

Forse non c’è mai stato un periodo storico – per lo meno nel «mondo occidentale»1 – in cui l’opinione pubblica ha avuto una così grande importanza e pervasività come nel corso del XX secolo. Certamente, mai come nella seconda metà del Novecento, la vita politica e sociale dell’intera collettività – nazionale e internazionale – ha avuto visibilità, rilevanza e influenza (in positivo come in negativo) attraverso le forme e le dinamiche dell’opinione pubblica, quel particolare tipo di precipitato cognitivo e simbolico degli orientamenti, degli atteggiamenti e delle volontà individuali-collettive che si manifesta nella sfera pubblica e sociale.
Un’importanza (e visibilità) che ha cominciato a farsi consistente e significativa nel periodo dei due conflitti mondiali e del confronto ideologico tra Stati, sistemi sociali ed aree di influenza – quindi dagli anni Venti agli anni Cinquanta del secolo scorso –, che è diventata poi sempre più centrale ed intrusiva nel periodo successivo – anni Sessanta e Settanta – attraverso gli appelli continui all’opinione pubblica, l’uso quotidiano dei sondaggi e delle ricerche di mercato connesse alla rilevazione di motivazioni ed atteggiamenti in campioni rappresentativi della popolazione, e che infine ha assunto i caratteri di vera e propria pervasività con il pieno sviluppo di arene mediatiche nazionali e globalizzate – negli anni Ottanta e Novanta –, in un contesto di società postindustriale matura sempre più orientata a declinare la democrazia attraverso sia la videocrazia che la sondocrazia.
Non è quindi paradossale pensare al Novecento non solo come al «secolo breve», al «secolo del lavoro» o al «secolo dell’ideologia» – per richiamare alcune delle più note metafore interpretative diffuse in proposito – ma anche come al «secolo dell’opinione pubblica». Infatti, è proprio alla fine del secondo millennio che una delle componenti fondamentali della modernità – l’opinione pubblica intesa come elemento rilevante dei rapporti sociali in una società democratica, globalizzata ed individualizzata al tempo stesso – non solo ha raggiunto il suo massimo sviluppo (per frequenza di impiego ed importanza collettiva) ma ha ottenuto anche la sua piena legittimazione. L’opinione pubblica, dunque, non come un «fantasma», un «simulacro», o una «metafora», ma come una costruzione simbolica «materiale», una «quasi-istituzione», un fenomeno e un processo fondamentali per comprendere tutta una serie di dinamiche collettive che riguardano i rapporti di potere nella società, la partecipazione sociale e culturale, i bisogni individuali e le pulsioni popolari della «società aperta», le regole democratiche e la responsabilità del governo e dell’azione politica.
In questo senso si potrebbe perfino ripercorrere ed interpolare il secolo trascorso attraverso una serie di eventi, episodi e casi-studio che appunto dimostrino questa progressiva ascesa dell’opinione pubblica dai margini della società e dei vissuti individuali fino al centro dei processi decisionali e simbolici che governano e innervano oggi la nostra vita quotidiana su scala nazionale ed internazionale, sia in situazione di consenso che di conflitto, sia in una prospettiva partecipativa che in una dimensione manipolativa. Infatti, anche se – come vedremo – la nascita dell’opinione pubblica nella sua accezione contemporanea risale almeno al XVIII secolo, è solo nel Novecento che essa assume l’attuale configurazione: quella di entità politica immateriale che riguarda l’intera collettività, che si nutre in prevalenza di «pubblicità mediata», cioè di uno spazio pubblico veicolato e costruito soprattutto dai mass media, che viene continuamente sollecitata e analizzata mediante tecniche di rilevazione empirica ad orientamento statistico (survey e sondaggi) e che rappresenta, quasi quotidianamente, il punto di riferimento di ogni legittimazione democratica, ormai al di là dello stesso momento elettorale2.
Se la nostra è davvero una «democrazia del pubblico» basata sulla «prova della discussione» (Cotta et al. 2002), l’opinione pubblica costituisce, normativamente, proprio il senso della democrazia stessa: non solo luogo della rappresentanza ma anche della partecipazione, non solo ambito della decisione ma anche della discussione e del confronto.
Anche se, come vedremo nel corso di questo volume, le trasformazioni della società democratica hanno comportato anche un mutamento della natura e del ruolo dell’opinione pubblica, guardando al Novecento attraverso la lente o la prospettiva delle dinamiche di opinione non possiamo non rilevare questo continuo legame tra dimensione della politica e della democrazia, ambito della socialità e della sfera pubblica, e campo della circolazione di orientamenti ed opinioni di interesse individuale e collettivo. Dalle strategie di propaganda messe in atto a livello degli Stati-nazione in occasione delle due guerre mondiali, al ruolo svolto dalla manipolazione del consenso nei regimi totalitari (fascismo, nazismo, stalinismo)3 tramite l’uso retorico e persuasivo dei mezzi di comunicazione di massa, all’impatto della pubblicità sul mercato dei consumi negli anni Cinquanta, fino all’impiego massiccio dei sondaggi di opinione nel nuovo modo di condurre le campagne elettorali della seconda modernità4 (anni Sessanta e Settanta) e quindi fino anche all’affermazione, negli anni Ottanta negli Usa e negli anni Novanta in Europa, della permanent campaign come nuova modalità di governance nelle società democratiche (attraverso l’uso quotidiano dell’opinione pubblica non solo come legittimazione ma come «leva di governo» vera e propria5), potremmo facilmente rileggere le grandi tappe della storia degli eventi mondiali, dipanare il filo dell’evoluzione della democrazia – rappresentativa o neopopulista o «elettronica» – attraverso l’individuazione e la ricostruzione del ruolo svolto dall’opinione pubblica nell’interpretare e se possibile spiegare non solo i fenomeni e i processi sociali, ma anche il valore aggiunto che le dinamiche di opinione hanno prodotto sia per la società in genere che per i singoli che in essa agiscono e si riconoscono.
Eppure questa prospettiva, questa angolazione, questo punto di vista hanno avuto e continuano ad avere difficoltà a concretizzarsi in un ambito disciplinare autonomo e legittimo, che si articoli nello studio dell’opinione pubblica come fenomeno sociale costitutivo sia della modernità che della democrazia. E tutti coloro che, soprattutto nell’arco del secolo scorso, hanno cercato di avviare una riflessione sistematica, specifica e approfondita dell’opinione pubblica come concetto e come processo, hanno spesso dovuto fare i conti non solo con una realtà sempre più complessa e dinamica ma anche con una serie di stereotipi, luoghi comuni e scorciatoie cognitive che hanno caratterizzato nel tempo il modo con cui osservatori, addetti ai lavori ma anche politici e giornalisti hanno parlato dell’opinione pubblica e ne hanno glorificato (o denunciato) il ruolo e la funzione.
Per introdurre il discorso sull’opinione pubblica come dispositivo centrale della democrazia contemporanea quale emerge nel corso del secolo scorso, può essere utile partire proprio da alcuni eventi esemplari, da alcuni casi significativi – ma l’elenco potrebbe essere certamente più ampio e più esaustivo – che ci possono fornire una rappresentazione diacronica della natura e dell’evoluzione del fenomeno in questione. Dalla fine del XIX secolo agli inizi del XXI possiamo ricostruire infatti – nella società occidentale – una sorta di histoire événementielle dell’opinione pubblica che ci illustra e ci disvela l’intreccio sempre più rilevante e sempre più complesso tra spazio pubblico democratico e sfera pubblica dell’opinione: un intreccio che per la sua crescente pervasività finisce troppo spesso per essere dato per scontato o ritualizzato, senza generare invece la consapevolezza che cercare di smontarlo e di spiegarlo vuol dire anche capire qualcosa di più di noi stessi e della società in cui viviamo.
Per dare inizio a questa rapida periodizzazione del «secolo dell’opinione pubblica» possiamo partire da un episodio legato ad un caso giudiziario che aveva appassionato la Francia negli ultimi anni del XIX secolo: la pubblicazione dell’articolo di Émile Zola J’accuse sul quotidiano «Aurore» (1898) in relazione al clamoroso affare Dreyfus. Si tratta da un lato, possiamo dire, del primo esempio di campagna di opinione pubblica promossa attraverso la stampa da un intellettuale (lo scrittore come intellettuale impegnato e come opinion leader), e dall’altro, visti la vasta eco e l’impatto sociale e politico che ebbe la denuncia fatta da Zola, di uno dei primi casi di «vittoria» dell’opinione pubblica sul potere politico in una società di massa.
Il processo, la condanna e la degradazione di Alfred Dreyfus6 costituiscono, infatti, uno dei primi episodi di mobilitazione dell’opinione pubblica in Francia a partire dalla stampa su un presunto caso di tradimento dell’onore militare: possiamo trovare «in questo processo tutti gli ingredienti di una lotta politica utilizzando i media e facendo appello all’opinione pubblica dell’intero paese» (Lazar 1995, p. 21). L’articolo dell’intellettuale-scrittore Zola attiva infatti il «tribunale dell’opinione pubblica» per denunciare le manovre e gli interessi degli Stati Maggiori militari che avevano scelto un capro espiatorio (di origine ebrea)7.
L’affare Dreyfus sembra dunque non solo un caso eclatante di mobilitazione dell’opinione pubblica e di campagna d’opinione nel senso moderno del termine – con tutte le conseguenze sul piano della lotta politica, ideologica e culturale che chiama in causa e coinvolge l’intera popolazione –, ma mostra già in concreto ciò che Tarde andava teorizzando proprio in quegli anni8: è la stampa che «crea» il pubblico e l’opinione pubblica, che nazionalizza e internazionalizza lo «spirito pubblico», che «scopre» e fa emergere le opinioni individuali, perché nelle società contemporanee sono i giornali che orientano e modellano l’opinione «imponendo ai discorsi e alle conversazioni la maggior parte dei loro argomenti quotidiani» (Tarde 1989, p. 81).
Ciò accade anche perché l’opinione pubblica comincia ad essere riferita all’intera popolazione e non più solo ai pubblici ristretti e colti. La società di massa, infatti, è spinta a richiedere un’opinione pubblica «di massa», che di conseguenza si appresta ad essere sia autodiretta (all’interno dei discorsi quotidiani) sia eterodiretta (attraverso l’esposizione alla stampa). Essa influenza ma è anche influenzata, si attiva da sola ma può essere anche attivata, assume coscienza politica ed orientamento di opinione anche perché la stampa (o una parte di questa) la spinge a farlo9.
Non solo, ma l’opinione pubblica – attraverso la stampa – diventa potenzialmente un tribunale permanente: ad essa ci si può rivolgere per ogni tema di interesse collettivo (giuridico, morale, sociale) se si vogliono denunciare distorsioni, errori e inefficienze del potere politico, ma essa appare anche un terreno esposto sempre più alla manipolazione per ottenere il consenso e l’adesione di massa allo Stato (come accadrà pochi anni dopo con lo scoppio della Prima guerra mondiale).
Nel 1936, in pieno New Deal, proprio in vista delle elezioni presidenziali americane che vedevano in competizione il presidente uscente Roosevelt e lo sfidante repubblicano Alfred M. Landon, un giovane ricercatore, George Gallup10, lanciò una sfida alla famosa rivista «Literary Digest» che da anni conduceva dei «sondaggi» preelettorali tra i suoi lettori. Contestando la metodologia rozza e non scientifica di questi «pseudo-sondaggi» Gallup, tra l’incredulità generale, predisse con alcuni mesi di anticipo che la «Literary Digest» avrebbe pronosticato la vittoria di Landon (come in effetti la rivista fece), mentre da parte sua avanzò la previsione di una riconferma di Roosevelt con il 55% dei voti. Il risultato finale delle votazioni diede ragione a Gallup, che da quel momento diventò il padre fondatore della ricerca empirica sull’opinione pubblica negli Stati Uniti, mentre la «Literary Digest» fu costretta a chiudere per sempre i battenti.
Perciò, tra il 1935, anno in cui Gallup fonda l’American Institute of Public Opinion, il 1936, con la consacrazione pubblica delle tecniche campionarie nella realizzazione di sampling referendum11, e il 1937, data di nascita della rivista specializzata «Public Opinion Quarterly», l’analisi dell’opinione pubblica come rilevazione statistica degli orientamenti di opinione mediante sondaggi segna una pietra miliare non solo negli studi demoscopici ma anch...

Indice dei contenuti

  1. Premessa
  2. 1. Introduzione. Novecento, il secolo dell’opinione pubblica?
  3. 2. La costituzione dell’opinione pubblica nella modernità
  4. 3. Le teorie dell’opinione pubblica: modelli e paradigmi
  5. 4. La concettualizzazione empirica dell’opinione pubblica: il «campo demoscopico»
  6. 5. L’opinione pubblica in azione: il processo di «opinion-building»
  7. 6. Osservare, analizzare, misurare l’opinione pubblica
  8. Riferimenti bibliografici