Anatomia del best seller
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Anatomia del best seller

Come sono fatti i romanzi di successo

  1. 192 pagine
  2. Italian
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Anatomia del best seller

Come sono fatti i romanzi di successo

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Twilight, Hunger Games, L'Alchimista, Il codice da Vinci: come si costruisce un successo editoriale di dimensioni planetarie?Non era mai accaduto che i romanzi – certi romanzi – avessero tanto successo e generassero volumi di vendite così possenti come negli ultimi vent'anni. La serie di Harry Potter, le trilogie di Twilight e Hunger Games, i romanzi di Coelho, le detective story diStieg Larsson e Dan Brown, da Il codice da Vinci a Inferno, i romanzi di Murakami o opere come Il cacciatore di aquiloni e Cinquanta sfumature di grigio, sono diventati successi mondiali da milioni di copie vendute.Quali sono i motivi di questo successo? Bisogni profondi a cui queste narrazioni si ispirano ma anche fattori produttivi impensabili solo pochi anni fa: dalla tendenza intermediale per cui un libro viene concepito da subito per essere adattato a film, videogame, graphic novel, allo sviluppo di comunità di lettori-fan che danno vita a un flusso continuo di prodotti paralleli all'opera originaria – prequel, sequel, spin off, fake, fanzine.

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Informazioni

Anno
2015
ISBN
9788858121665

VI.
Il romanzo emozionale

1. Nessuna passione, molte emozioni

Già da qualche anno i neurobiologi hanno dimostrato che le emozioni rappresentano una complessa catena di eventi compresa tra la manifestazione di uno stimolo e un comportamento di risposta a tale stimolo: invece di costituire i sudditi di una monarchia della Ragione, le emozioni rappresentano la principale forma di relazione tra noi e l’ambiente, sono in grado di provocare vistose alterazioni somatiche (dalle reazioni mimiche dei volti all’accelerazione del battito cardiaco) e si collocano all’origine di comportamenti motori come le azioni di avvicinamento, attacco e fuga. La grammatica della vita è costituita dalla nostra innata capacità di leggere ed esprimere attraverso i segni del volto le emozioni primarie di rabbia, disgusto, paura, gioia, tristezza e sorpresa. Se ancora non c’è unanimità nel ritenere tali emozioni di origine biologica ed ereditaria oppure culturale e acquisita, nessuno mette più in discussione il fatto che le emozioni, generandosi nella parte più arcaica del cervello (il sistema limbico), si verifichino molto prima di acquisire una sia pur minima valenza cognitiva (LeDoux 2003, 18 ss.). Le passioni, al confronto, sono prodotti di risulta, invenzioni culturali, merce allo stato puro da far circolare il giorno di san Valentino.
Il fatto che le emozioni rappresentino uno dei processi psicofisiologici più complessi che governa le nostre prestazioni intellettive è dimostrato dagli individui affetti da autismo, essenzialmente incapaci di classificare (taggare, come si dice in gergo) gli eventi che accadono loro sulla base delle emozioni. Ma quale rilevanza ha tutto ciò per la lettura degli attuali best seller? Nel suo libro Simulating Minds, il cognitivista Alvin Goldman parte dalla recente scoperta che un nucleo di neuroni specchio risulta localizzato intorno all’area di Broca, deputata al linguaggio, con la funzione di farci comprendere le emozioni altrui attraverso processi empatici che si trasmettono esclusivamente attraverso il linguaggio scritto o orale: la ricognizione dei diversi tipi di emozione, dalla paura al disgusto e alla rabbia, consisterebbe in un processo di identificazione della nostra mente nei desideri e nelle credenze degli altri, soprattutto se veicolati dalle narrazioni, perché mettono in moto processi mentali di simulazione a specchio. Provare le emozioni dei personaggi delle storie che stiamo leggendo serve come “rampa di lancio” per leggere il pensiero di questi personaggi (Goldman 2008, 120 ss.). Molti studiosi di psicologia che studiano oggi la letteratura in prospettiva cognitivista pongono l’accento soprattutto sull’identificazione del lettore nel mondo finzionale delle narrazioni, come presupposto per una corretta educazione emotiva e addirittura per acquisire i fondamenti dell’etica pubblica, la pietas: mettendoci nei panni degli altri, la letteratura sarebbe lo strumento tradizionalmente dedicato alla trasmissione di un modo comune di sentire, percepire e ricordare la realtà (Levorato 2000, 21).
Ebbene: cominciamo a renderci conto che se osserviamo il romanzo contemporaneo nelle sue principali morfologie (dalle detective stories al fantasy), a emergere è uno “stile cognitivo” tendenzialmente unitario, alle cui spalle giocano identici fattori socio-culturali e condizioni antropologiche di vita assai simili. Uno stile, va detto, che oggi gli studiosi teorizzano come il più utilizzato dagli individui nell’attuale fase storica e al quale ricorriamo nell’offrire risposte emozionali alle narrazioni (letterarie, filmiche, intermediali, ecc.), traendone un “fatturato” cognitivo che sta crescendo in modo esponenziale. Chiamiamo questo stile hot cognition (cognizione emozionale), intendendo con ciò una forma di acquisizione ed elaborazione dei dati percettivi e delle informazioni che comporta sempre – e non esclude mai – il coinvolgimento personale del fruitore e delle sue emozioni. Se a partire dal bel libro di Antonio Damasio L’errore di Cartesio si è cominciato a comprendere che ragione ed emozione non sono mai separabili (Damasio 1995, 120 ss.), poiché qualsiasi dato memorizzato dalla nostra mente viene flaggato con un’emozione particolare, oggi si dà addirittura per scontato quanto sia erronea la tradizionale suddivisione degli atti cognitivi in processi di comprensione vera e propria e in processi di elaborazione delle emozioni. Addirittura molti sostengono che senza le emozioni non riusciremmo letteralmente a comprendere il significato di una narrazione. Tutto ci apparirebbe insensato, o uguale, o indistinguibile da ciò che è già accaduto, esattamente come capita a chi è affetto da sindrome autistica o agli psicotici (Sanford e Emmott 2012, 174 ss.).
Il punto su cui ormai la comunità scientifica ha trovato un definitivo accordo è che la frequentazione della letteratura ci consente di esercitare delle abilità sociali altrimenti difficili da apprendere (Cosmides e Tooby 2000, 70 ss.; Oatley 2007, 108-109), anche perché il lavoro neurocognitivo del lettore oggi è accresciuto dal fatto di trovarsi a vivere in contesti complessi, dove diviene problematico persino etichettare la situazione in cui viene potenzialmente a trovarsi. Ecco allora che le narrazioni ci aiutano ad affrontare sin dalla prima infanzia questa complessità. Dobbiamo diventare predittivi, apprendere a distinguere la routine dall’eccezione, il reale dal virtuale, l’affidabile dall’inaffidabile, e tutto ciò attraverso l’attribuzione di relazioni crono-causali agli accadimenti di cui facciamo esperienza. Come fare? Il primo passo è quello della hot cognition, cioè di processare narrazioni complesse in cui il rapporto tra desiderio e realtà si sposta più volte nel corso della storia, riuscendo ad assegnare etichette emotive basandoci sulla valutazione del raggiungimento degli obiettivi. Proviamo allora a vedere come funzionano le emozioni in alcuni best seller mondiali.

2. La narrazione come antidepressivo

Paulo Coelho è l’autore di best seller che meglio rappresenta il ruolo dell’autore: da un lato perché ha fatto di tutto per imporsi come Autore con la maiuscola, e dall’altro, all’opposto, perché ha fatto in modo che i suoi lettori si sentissero anch’essi autori con la minuscola e partecipi di quella SPA che la sua opera costituisce, attraendoli nell’orbita del suo credo estetico.
Credo estetico? Certamente. Chessò, roba del genere: che l’uomo debba vivere solo ed esclusivamente per trovare il proprio sogno, e che questo sogno si esaudirà solo attraverso l’amore, poiché il destino non va accettato, ma cercato e officiato. Tutta l’opera di Coelho insiste sulla certezza incontrovertibile che la vita sia un viaggio, un fottutissimo viaggio all inclusive verso la scoperta di se stessi attraverso l’amore. Comunque e sempre: un cammino. Di qui una serie di aforismi tratti da Life. Aforismi sulla vita, nobile discarica delle perle di saggezza contenute nei suoi emotional novels e scelte dall’Autore medesimo (Coelho 2004, 19-72). Ad esempio:
Dio ha scritto nel mondo il cammino che ciascun uomo deve percorrere. Dovrai soltanto leggere quello che ha scritto per te (L’Alchimista).
Quando si va verso un obiettivo è molto importante prestare attenzione al cammino. È il cammino che ci insegna sempre la maniera migliore di arrivare, e ci arricchisce mentre lo percorriamo (Il Cammino di Santiago).
Quando un uomo cammina incontro al proprio destino, spesso è costretto a cambiare direzione (Monte Cinque).
Ora, la forma di “cammino” più redditizia e fruttuosa è la lettura di narrazioni, e infatti sin dall’infanzia lo Scrittore manifesta i segni di uno sviscerato amore per le storie, anche perché sembra non disporre di altro. Immaginare l’inesistente agisce in lui come un antidepressivo, che compensa l’assenza di ciò di cui, appunto, scrive: “Scrivo perché quand’ero giovane non sapevo giocare bene a calcio, non possedevo un’auto, non avevo un buono stipendio, ero scarso di muscoli... E tanto meno vestivo alla moda. Alle ragazze della mia comitiva interessava solo questo, e io non riuscivo ad attirare la loro attenzione. La sera, quando i miei amici uscivano con le fidanzatine, cominciai a occupare il tempo libero per crearmi un mondo dove potevo essere felice: mi facevano compagnia gli scrittori e i loro libri” (Morais 2010, 88-89). Il piccolo Coelho è resiliente alla realtà. Sono i sogni ad attrarlo, ma deve trovare il modo di renderli veri.
Come avrebbe potuto non essere destinato al “bestsellerismo” questo convinto assertore del potere terapeutico delle narrazioni, che nasce a Rio de Janeiro nel 1947 da una famiglia medio-borghese e viene istruito in una scuola gesuita, dove già a nove anni decide di fare lo scrittore? Ma i genitori lo ostacolano. Di più: lo perseguitano, nella convinzione che l’artista sia un disadattato sociale destinato a vivere di emarginazione e pauperismo. Figuriamoci, il “pauperismo”: gli oltre 145 milioni di copie vendute hanno già fruttato a Coelho altrettanti milioni di dollari, e quanto all’“emarginazione” basterà ricordare i 18 milioni di follower su Facebook e gli 11 milioni su Twitter. Il padre avrebbe voluto un figlio ingegnere, cui tramandare studio professionale e attività, ma dinanzi alla pervicace ricerca del martirio estetico da parte di Paulo lo fa internare in manicomio, nella speranza di ricondurlo alla ragione. Lui non si piega: scrive commedie teatrali, articoli giornalistici e testi per canzoni pop, confluisce nel movimento hippy degli anni Sessanta, si fa arrestare e subisce la tortura dal regime militare che in quel momento governa il Brasile.
A questo punto il suo curriculum vitae è già appetitoso e lo scrittore ha le stigmate dello Scrittore, ma purtroppo non è ancora uno scrittore, perché fino al 1981 lavora nel settore discografico. E anche quando tra il 1982 e il 1985 pubblica due libri, Arquivos do Inferno e Manuale O Prático do vampirismo, nessuno si accorge di lui benché abbia avuto il grande talento di avvicinarsi – vent’anni prima di Stephenie Meyer – al mondo anemico dei vampiri. Nondimeno ci siamo quasi: nel 1986 va in pellegrinaggio a Santiago; nel 1987 ne scrive un resoconto intitolato O Diário de Um Mago (poi noto come Il Cammino di Santiago: per carità, con le maiuscole!), pubblicato da una piccola casa editrice brasiliana e divenuto subito un buon successo in Brasile; nel 1988 pubblica L’Alchimista, una narrazione allegorica destinata a divenire il best seller più diffuso nel mondo con 70 milioni di copie. All’inizio il marketing è artigianale, gestito dallo stesso Coelho e dalla moglie, che vanno di radio in radio, di libreria in libreria, di cinema in cinema. Per lo Scrittore tutto deve ricollegarsi ai temi dell’Alchimista, forse perché il libro racconta una storia molto generalista: una parabola appunto, un cammino dalle coordinate spazio-temporali abrase, come la matricola di un revolver rubato (Morais 2010, 455-456).
Ora abbiamo dunque uno Scrittore, un Successo internazionale, un agente letterario (Monica Antunes) e addirittura due titoli in curriculum – L’Alchimista e Il Cammino di Santiago – di cui l’uno è la romanzizzazione dell’altro. Dopo il successo del Cammino di Santiago l’afflusso di pellegrini nell’itinerario spagnolo verso Santiago de Compostela passa da quattrocento persone l’anno a quattrocento al giorno, tanto che il governo della Galizia chiama “via Paulo Coelho” una delle strade di Santiago dove si radunano come approdo finale i lettori/pellegrini laici dell’Alchimista (Morais 2010, 20). L’annus mirabilis per la mondializzazione di Paulo Coelho resta il 1998, quando:
– interviene al Forum Economico di Davos, in Svizzera, parlando dell’impatto dell’interiorità individuale sull’andamento dei mercati;
– viene ricevuto in Vaticano da Giovanni Paolo II, che gli impartisce una pubblica benedizione;
– batte il record temporale di una sessione di firme al XVIII Salon du Livre di Parigi, autografando per sette ore consecutive le copie di Monte Cinque;
– registra una lunga intervista per il documentario Le Phénomène, una coproduzione franco-canadese e nordamericana che parla della sua vita.
– convince la Maison Versace a ispirare la collezione 1998-99 ai costumi descritti nel suo Manuale del guerriero della luce (Morais 2010, 521-522).
Malgrado questo pervasivo successo, è difficile identificare il Lettore Modello di Coelho. Già, chi legge questa roba vetero-umanistica che in Italia potrebbe avere uno stomachevole equivalente solo nelle chiacchiere dello psicologo Raffaele Morelli? A confessare di essere suoi accaniti fan sono stati di volta in volta Madonna, Julia Roberts e Bill Clinton, mentre nel 1999 Augusto Pinochet è stato fotografato nel suo studio con alle spalle l’opera omnia color pastello di Coelho, a fianco della Guinness Encyclopaedia of Warfare; durante la guerra americana contro Al-Qaeda L’Alchimista è stato da un lato il libro più richiesto nella biblioteca della Decima Divisione di Montagna, alla quale appartenevano i soldati che cercavano di stanare Osama Bin Laden dalle grotte intorno a Kandahar, dall’altro l’opera più letta dai detenuti di Guantanamo, che potevano contare altresì su una traduzione in farsi del Cammino di Santiago (Morais 2010, 528-529). L’Alchimista ha avuto un successo dai contorni anomali: tradotto in 71 lingue e diffuso in oltre 150 Paesi, ha goduto di un ciclo di vendite più lungo della norma (circa 20 anni, contro una media di 4), pur senza essere stato accompagnato da strategie di comunicazione pubblicitaria particolarmente costose, né essere stato scritto originariamente in inglese (ciò che ne avrebbe favorito la diffusione), o essere stato seguito da un adattamento filmico in grado di prolungarne l’esistenza sul mercato editoriale. L’Alchimista appare originariamente in portoghese, lingua scarsamente parlata nei Paesi anglofoni, dove è invece lo spagnolo ad avere molti utenti, e quindi nulla lo predisponeva a entrare nelle grazie della globale, cosmica HarperCollins Publishers.
L’interesse delle narrazioni di Coelho e la particolarità del suo modo di innestare le emozioni sulle ragioni risiedono nel fatto che egli non cerca di rendere verosimili i fatti da lui inventati, ma al contrario finzionalizza la realtà, rende letteraria la sua biografia, trasforma in simboli e miti altamente rappresentativi i singoli accadimenti della sua vita. Paulo è resiliente alla realtà non meno di Andrea Sperelli o Dorian Gray (in effetti, all’inizio dell’Alchimista Coelho definisce Oscar Wilde il proprio nume tutelare), ma al contrario dei suoi predecessori dismette gli abiti talari dell’aristocratico per confondersi con i cittadini del mondo e dialogare con essi. Molto democratico. Eppure questa resilienza, non meno che per l’estetismo fin-de-siècle, si alimenta di sdegnose ripulse del buon senso. Coelho riprende ad esempio da Fernando Pessoa un comandamento che il poeta portoghese a sua volta aveva trovato in Nietzsche: non bisogna pensare, ma agire (esattamente come lo specchio, che riflette ciò che vede e non ciò che ritiene vero), e agire senza pensare significa per Coelho credere nell’intelligenza delle emozioni, ritenere possibile che il nostro destino, la progettualità, le trasformazioni identitarie degli individui siano tutti riassumibili nell’esercizio della hot cognition. Ragionare con le emozioni. Fin da quando immagina L’Alchimista, tale esercizio è infatti in piena attività:
Non devo pensare! Devo agire, essere come un lago che riflette il cielo, senza tentennamenti [...] Con L’Alchimista avrei raccontato la storia di un altro me stesso, la storia di quel pastore che ero sempre stato, anche se non avevo mai avuto un gregge di pecore da governare, soltanto sogni. Santiago avrebbe raffigurato lo specchio della mia vita e si sarebbe cimentato con tutti gli ostacoli, i crocevia, gli errori di una persona che decide di inseguire il proprio tesoro [...] Fu così che il pastore incontrò il re e trovò il coraggio di continuare nel suo cammino. E fu così che il mio destino si è confuso con quello del personaggio del libro (Coelho 2014a, 10-12).
Soffermiamoci sull’Alchimista. All’inizio, nel gennaio 1987, Coelho pensa a un testo teatrale commissionatogli da un attore brasiliano per un suo one man show, in cu...

Indice dei contenuti

  1. Introduzione
  2. I. Che cos’è un best seller globale
  3. II. Il romanzo smart
  4. III. Il transromanzo
  5. IV. Il romanzo immersivo
  6. V. Il romanzo magico
  7. VI. Il romanzo emozionale
  8. Ringraziamenti
  9. Riferimenti bibliografici