Il simposio
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Il simposio

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Il simposio

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Il simposio, che alla lettera vuol dire 'bevuta in comune', è la forma del banchetto dell'antica Grecia. I commensali vi partecipano secondo una sequenza che prevede prima il mangiare, poi il bere e, in ultimo, il piacere.

Il piacere che si condivide può essere il godimento erotico, accompagnato da canti, danze, schermaglie o giochi di abilità a sfondo amoroso, oppure il piacere intellettuale, sublimato nell'alta conversazione, centrale nella tradizione platonica e filosofica in genere.

Anche la posizione dei commensali nel simposio ha un grande ruolo: c'è infatti il banchetto 'seduto'di Omero e il banchetto 'sdraiato su letti', che viene dall'Oriente. E c'è il banchetto a Roma, dove prevalgono le grandiose cene, da quella di Nasidieno a quella di Trimalcione, con autentiche grandi abbuffate.

Mangiare, bere, gioire insieme: il banchetto antico tra edonismo e spiritualità.

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Informazioni

Anno
2020
ISBN
9788858142615
Argomento
Histoire

Il ruolo centrale del socratismo

1. Crizia, il simposio «buono» e il simposio «cattivo»

Il frammento 4 Diehl di Crizia è il testo fondamentale sul sissizio-simposio, cioè sulla commensalità greca, vista nei due aspetti e attraverso i due tipi fondamentali in cui essa si inquadra. In contrasto con le caratteristiche del convito spartano (visto da Crizia come il migliore dei conviti), c’è, a caratterizzare il simposio diverso e «cattivo», la consuetudine della bevuta «in circolo», eseguita con la pratica del «brindisi» (la fondamentale próposis). È proprio il propínein a essere particolarmente condannato. Mentre il passaggio di mano in mano e di bocca in bocca della medesima ky´lix esalta gli aspetti comunitari e solidaristici, nel simposio «cattivo» il propínein ha una caratterizzazione negativa dal punto di vista sociologico ed etico. Sociologicamente, il brindare si associa a rapporti individuali, anzi sotto il profilo etico si rivela addirittura pericoloso, perché ne consegue un bere smodato e senza freni: la próposis, il brindisi, equivale infatti a un esortarsi a vicenda («bevi tu, che bevo io»), fino all’ubriachezza, che naturalmente causa brutti discorsi ed eccessi sessuali.
Dunque, il componimento di Crizia è eticamente, sociologicamente e storicamente fondamentale perché presenta e contrappone fra loro il simposio «buono» che, naturalmente, per l’oligarca è il sissizio spartano, e quello «cattivo», sotto il quale certamente Crizia intende in generale ogni «altro» simposio: quello ateniese, come quello delle altre aristocrazie che non rispondano ai princìpi dell’aristocrazia etica di Sparta. Il quadro è tanto più importante quanto più è fatto dall’esterno, da uno cioè che si tira fuori dal tipo di commensalità dominante; per comodità lo distingueremo in passaggi, indicati con altrettante lettere dell’alfabeto, da A a O.
Anche questo è costume e pratica fissa a Sparta: bere dalla medesima tazza portatrice di vino (A), e non dispensare brindisi chiamando per nome [l’omaggiato] né a man destra, in cerchio (B) [...]; i vasi li inventò una mano lida, d’origine asiatica; e così indirizzare brindisi a man destra, e invocare con tanto di nome la persona a cui si vuole brindare (C). Poi (D), dopo tali bevute [preliminari], sciolgono le lingue in brutti discorsi (E) e offuscano il corpo; allora sull’occhio scende una nebbia che ottenebra, e l’oblio dissolve [quasi: «spappola»] la memoria delle [o dalle] meningi, e la mente crolla (F) . I servi tengono un comportamento da impuniti, e cade addosso una spesa che distrugge il patrimonio (G). Invece i ragazzi spartani bevono tanto quanto serve perché tutti portino la mente a una lieta speranza (H) e la lingua a espressioni di cortesia e a moderato riso (I). Siffatta maniera di bere giova al corpo, alla mente e alla proprietà: e poi si adatta bene alle azioni di Afrodite (L) e al sonno, porto degli affanni (N), e alla Salute, la più gradevole fra le divinità (O), e alla Temperanza, vicina di casa della Pietà religiosa.
Abbiamo qui in nuce il sistema delle quattro virtù cardinali (prudenza, giustizia, fortezza, temperanza) che sono il lascito delle virtù pagane al sistema etico cristiano (fede, speranza, carità sono le tre virtù, specificamente cristiane, di cui parla Paolo nella I lettera ai Corinzi). Nell’elegia di Crizia è esplicita la speranza, se va conservata la espressione hilarà elpís, «lieta speranza», nel testo tramandato; c’è la fede religiosa (con la eusébeia); c’è, se si vuole, la carità dell’amichevole e cortese disposizione d’animo, quale è la philophrosy´ne: a tal punto è vero che i Greci hanno la magica capacità di trasformare in idea, e luce (e, potremmo dire, in oro), tutto il quotidiano, anche il più triviale. Il simposio come auspicato da Crizia, anche in considerazione di questa presenza di tutte le virtù possibili, contiene una parte essenziale della vita e della riflessione sulla vita, quando si tolga (e non è piccola parte, anzi è, quantitativamente e psicologicamente, ciò che pesa di più sull’uomo) tutto ciò che attiene alla sfera del necessario: che è però lì sull’uscio, appena fuori dello spazio del simposio, appena un poco rimosso o fronteggiato, lasciato fuori del campo, per dare all’uomo almeno un momento di respiro, di scholé. Naturalmente non è respiro di ogni giorno, ma solo delle grandi occasioni (per esempio la celebrazione di una vittoria, che richiede e richiama la partecipazione di amici, o una grande festa religiosa). Questo è il banchetto, questa è la riunione commensale e simposiale, per il Greco: un aureo momento di respiro nel travaglio quotidiano; e allora è chiaro che la conclusione non può essere che Afrodite. Nel convito spartano, celebrato da Crizia, è invero difficile dire di che tipo di sessualità si tratti, e potranno esserne rappresentate forme diverse, pur se, anche qui, la forma canonica sarà quella con le flautiste. Certo è che Afrodite sta a rappresentare in Crizia, più in generale, l’erotismo, nelle sue diverse manifestazioni.

2. La salute innanzi tutto!

Crizia continua, dopo una possibile lacuna:
infatti i brindisi fatti con [più] bicchieri, in quantità superiore alla giusta misura (Q), rallegrano all’istante, ma poi fanno male per tutto il [restante] tempo. Invece il regime di vita spartano è ben livellato, e consiste nel mangiare e nel bere in maniera conveniente e adeguata al ragionare e all’essere capaci di faticare (R); non è consentito che in pieno giorno (S) si possa «avvinazzare» il corpo con smodate bevute.
Il motto appropriato al moralismo espresso da questa critica potremmo provare a formularlo in questi termini: «galeotto fu il brindisi e chi... lo pronunciò!». Il brindisi appare come schermaglia preparatoria a intese fra i commensali; la posizione e la gestualità del brindisi sulla destra ha precisi riscontri nel Simposio platonico (e in quello senofonteo), e quindi contribuisce a ricordare la centralità dell’esperienza socratica, da cui sia Platone sia Senofonte provengono. Nello stilare il codice di comportamento appropriato a un simposio «buono», viene in luce la triade dei valori-base, dei valori comuni, di un Greco (salute, senno e soldi), insieme con il ventaglio, già descritto, delle virtù: dunque, valori diffusi e però anche virtù ideali. Spicca il valore di un ordine economico e sociale che non scada a quel livello di akolasía (impunitezza, licenza) che è uno dei luoghi comuni della polemica aristocratica contro la «villania» della democrazia. Così si conferma, in fondo, la stessa triade dei valori diffusi, già costruita dalla celebre risposta di Solone a Creso su che cosa sia la felicità. Il bere smodato è correlato al numero dei bicchieri (disponibili, e di fatto bevuti), quindi è confermata la presenza di almeno un bicchiere personale o, peggio, di più bicchieri, che ruotano intorno alla mensa e costituiscono un rischio di ubriachezza, una condizione che mette in pericolo la salute, la mente, il denaro. È la civiltà di un thíasos, di una allegra brigata, che poi via via diventa kómos, quindi chiasso e baldoria, e che dovrebbe invece essere ben ancorata ai valori-base della pólis, che si costituiscono come summa delle virtù e dei valori-base individuali, e caratterizzano l’atmosfera sociale politica ed etica della città, l’edificio comune che queste individualità include, limita e, però, al tempo stesso garantisce.
Che alla consuetudine, alla pratica, al rito sociale del bere insieme (o anche solo della sua prima parte, che consiste nel sollecitare altri a farlo) sia strutturalmente pertinente il propínein, appare in realtà già nell’Odissea, quando Ulisse porge da bere il suo «vino traditore» a Polifemo, accompagnando quel gesto con le parole «Ky´klops te píe óinon» («Ciclope, là, bevi un po’ di vino»), dove quel te, quel «là», sta a indicare chiaramente il gesto di appoggiargli vicino una coppa di vino, perché l’altro si metta a bere e naturalmente, nell’intento di Ulisse, si ubriachi. L’esortazione è introdotta dall’apostrofare direttamente il Ciclope, esattamente come, un paio di secoli più tardi, exonomakléden sarà ancora la caratteristica del simposio come descritto da Crizia (per lui naturalmente il simposio «cattivo», quello che noi abbiamo chiamato invece individualistico, personalistico, «privato»).
La contrapposizione del sissizio-simposio spartano al convito delle altre città (in primo luogo naturalmente della Atene democratica) equivale a una esaltazione della sophrosy´ne spartana, cioè della morigeratezza nel mangiare, nel bere, nel ridere, nell’amare, nello spendere. Da Crizia la salute è detta «prima e somma e più cara fra tutte le divinità»: la salute innanzi tutto, dunque, la salute sopra tutto! Ma neanche sono ammesse da Crizia, e nell’ottica della morale spartana, le spese pazze, da evitare con una amministrazione oculata che impedisca di profondere somme di denaro per il piacere del banchetto.
Il banchetto, essendo per sua natura una pratica collettiva, in cui l’invito di ospiti è parte decisiva e richiede la presenza e in qualche misura la partecipazione di servi, comporta certamente grandi spese. Ora, se non altro in questo senso rigorosamente economico, esso può definirsi realisticamente aristocratico, benché una definizione siffatta, se intesa in senso culturale o politico-costituzionale, apparirebbe inadeguata e richiederebbe ulteriori chiarimenti e distinzioni. L’evasione dalla sfera della dura necessità, dalle strutture considerate irrinunciabili dell’organizzazione sociale, può comportare il rischio (ed è il pericolo che si teme e che il simposio «buono» della descrizione criziana riesce a bandire) di un rovesciamento dell’ordine e delle gerarchie sociali; in quelle circostanze rischia dunque di essere messa in forse la stessa struttura sociale, perché i servi tendono a farla da padroni (con il risultato unico e certo di rovinare il patrimonio familiare). È sullo sfondo di una situazione del genere che si capisce, in ultima analisi, il ribaltamento totale dei valori su cui si fonda l’ordine sociale, che in piena età romana descrive quel romanzo-simposio che è la Cena di Trimalcione, nel Satyricon di Petronio. Questo documento deve essere preso in attenta considerazione almeno quanto la cena oraziana di Nasidieno Rufo (Satire, II, 8) che, del resto, è uno dei modelli ispiratori della cena descritta nel romanzo petroniano. La cena petroniana appare ancora più macroscopicamente come una parodia pacchiana del simposio da parte di un parvenu, il liberto Trimalcione, che ha imparato solo le parti peggiori della grande lezione di vita e di evasione che è la pratica greca del simposio e la riflessione filosofica e letteraria su di essa.

3. Il bere e il rapporto interpersonale

Al simposio individualistico, privato, compete anche, naturalmente, il motivo dell’«invito». Ciò vale già per il banchetto campagnolo di Esiodo, cioè per una delle testimonianze più arcaiche (VII secolo a.C.) della cultura greca, che in Opere e giorni ammonisce: «invita a pranzo chi ti è amico, non invitare chi ti è nemico; e soprattutto invita il tuo vicino». Il banchetto qui è detto dáis, una parola che significa propriamente «divisione», «distribuzione». Al banchetto dunque, prima ancora di essere apostrofati personalmente nella próposis (il «brindisi») si partecipa per chiamata, per «invito» personale: questo è un tratto preliminare, che caratterizza sin dalle origini il comune simposio e lo diversifica dal simposio/sissizio spartano, perché in quest’ultimo la partecipazione non è su libero invito: vi si può essere ammessi solo se cooptati, e cooptati all’unanimità dei votanti, poiché l’ammissione è segno dell’integrazione sociale e, di conseguenza, politica nel gruppo degli Spartiati. L’invito libero al libero simposio ha dunque il suo corrispettivo normativo nell’ammissione su cooptazione unanime da parte dei membri del sissizio, secondo l’ordinamento licurgheo, come lo rappresenta Plutarco.
Questa riflessione sull’invito come atto preliminare del simposio comune, e non vigente né comunque sufficiente nel sissizio spartano, sollecita anche a considerare una questione terminologica, che poi meramente terminologica non è. Il nostro «convito» deriva da «convitare», che a sua volta deriva da un ravvicinamento tra «invitare» e «convivio»: il convitato è l’invitato al convivio (quello di pietra, il Commendatore della celebre storia di Don Giovanni, è solo il più famoso, e più temibile, fra tutti). Già questa elementare connessione lessicale mostra quanto il tema del banchetto-simposio sia collegato col tema dell’«invitare» (kaléin) e del «partecipare kekleménos o ákletos» («chiamato» o «non chiamato»).
Dobbiamo sfatare un altro discutibile luogo comune nella discussione sul simposio, quello secondo cui si dovrebbe distinguere tra banchetto e simposio o tra banchetto e convito. Questa distinzione presenta un tratto idealistico, che come tale non ha fondamento. È una distinzione moderna, che non ha nessun vero riscontro nella terminologia né, ed è quel che più conta, nella concezione antica. Il banchetto, se inteso come pasto, è infatti definibile come una parte del simposio o, se si vuole, come una parte del convito. Le stesse esibizioni degli animatori nei banchetti di tipo greco introdotti a Roma nel II secolo a.C., descritti da Livio, non sono altro che convivalia oblectamenta addita, cioè «divertimenti aggiunti al banchetto», quindi «aggiunte» alla sostanza, che è costituita invece dal pasto, dalle epulae. È chiaro che il banchetto è soprattutto il momento e la fase del cibo, che è messa in evidenza là dove l’aspetto «epulonico» è preponderante: è questo appunto il caso di Roma. Nelle cenae Saliares a cui accenna Orazio si doveva mangiare a crepapelle. Anche dal punto di vista dell’etimologia del termine italiano o di quello corrispondente in altre lingue neolatine, il banchetto si riferisce del resto al banco, o ai banchi, cioè alle tavole imbandite che, come tali, sono in primo luogo e fisiologicamente quelle dei cibi (le bevande, più che venire esposte nei bicchieri, vengono via via versate in essi, o nelle coppe, nelle tazze con cui le si avvicina alla bocca), e tuttavia il termine include anche il consumo di bevande.
Non esistono dunque due categorie di commensalità, contrassegnabili rispettivamente come banchetto e come convito: al massimo possiamo dire che la nostra parola convito, con ciò intendendo una traduzione del greco sympósion, vuole indicare una forma più complessa del banchetto, perché passata attraverso il filtro della ricostruzione intellettuale e dell’idealizzazione.
Di qui l’in vino veritas di Alceo, che significa, nel suo senso più pregnante, che il vino toglie i freni inibitorii e fa dire la verità, fa cadere le difese e le maschere: ma si può dire che, prima ancora che suscitare la verità, esso suscita la disposizione a parlare. Alla base del fatto che «nel vino c’è la verità», la famosa frase trova la sua spiegazione nella condizione preliminare che il vino sollecita la parola: che poi questa, nell’indebolirsi dei freni inibitorii, risulti essere anche franca, disinibita e veritiera, è solo la conseguenza del dato preliminare che il vino spinge a parlare. In luogo della massima in vino veritas, basterebbe in fondo, per capire la funzione di questa bevanda nel convito antico, una massima ancora più elementare: in vino verbum, o in vino loquela.
...

Indice dei contenuti

  1. Introduzione
  2. I momenti costitutivi del simposio
  3. Il simposio arcaico
  4. Il ruolo centrale del socratismo
  5. Il necessario e il superfluo
  6. Il simposio a Roma
  7. «Simposio» platonico e Ultima Cena
  8. Bibliografia