Epilogo
«Non avrei mai creduto che fosse così facile morire». «Non piangetemi, sono morto per la mia idea, senza però far nulla di male alle cose e agli uomini». «Riceverete questa nostra ultima lettera prima di morire, ma non abbattetevi tanto perché, cosa volete, è il nostro destino, e da questo non si scappa. Moriremo con la testa alta. Cara mamma, cerca di farti forza ...». «Non piangete per me perché nemmeno io piango mentre vi scrivo e vado incontro alla morte con una risolutezza che non mi sarei mai creduto». «Fatevi coraggio quando riceverete la notizia della nostra morte, ho ricevuto i Sacramenti e muoio in pace con il Signore». «Il mio sogno era quello di vederti crescere, di istruirti a tuo modo, forgiarti alle tue idee e ai tuoi sentimenti. Ma tutto è perduto; ti è rimasto il mio esempio». «Carissimi genitori, perdonatemi per quello che vi ho fatto. Muoio contento».
Non molto tempo fa è accaduto a chi scrive di tenere una lezione sul significato della politica agli studenti delle ultime classi di alcune scuole superiori di Roma. Uno dei libri più venduti in quell’anno era La casta, un ritratto crudo e impietoso dell’incredibile selva di privilegi di cui i politici italiani si sono circondati in questi decenni. La mia intenzione era però quella di dimostrare che la politica può essere qualcosa di molto diverso dall’avvilente spartizione di prebende che sembra resistere ancora oggi ai colpi di ogni indignazione. Per cercare di illustrare un’idea della politica in radicale controtendenza con quella descritta nel libro pensai di leggere alcuni brani delle Lettere di condannati a morte della Resistenza italiana. A quasi settant’anni di distanza quelle pagine non cessano mai di turbare profondamente ogni lettore, e in effetti mi parve che anche il mio uditorio fosse colpito dalla loro drammaticità. In fin dei conti erano lettere scritte da ragazzi appena più grandi di quelli che avevo davanti e molte di esse si concludevano con la rivendicazione orgogliosa del proprio sacrificio e con l’espressione «viva l’Italia!». La loro semplice lettura dimostrava in modo diretto e senza nessun orpello retorico che non molti anni fa c’era stata gente che non aveva ricavato dalla politica nessuna notorietà, carriera o vitalizio, ma ad essa aveva dato, mettendo a rischio fino in fondo la propria vita.
Non credo di sopravvalutare l’effetto di quella lettura su quei giovani studenti se dico che essi mi parvero sorpresi, forse perché si erano aspettati un’esposizione di idee e di principi, una sorta di difesa astratta di un’attività che avrebbero continuato a guardare da lontano con un misto di disprezzo e incomprensione. Quei documenti li avevano invece messi di fronte ad una passione civile che per molti loro coetanei del ’43-45 era stata così importante da sacrificarle la vita. Fu questa la categoria che sentii usare dai ragazzi durante la discussione: sacrificio, una parola oggi guardata con sospetto, quasi incomprensibile. Ci può essere qualcosa di talmente importante da farci affrontare un rischio così estremo? Era un pensiero per loro sconosciuto, sul quale m’interrogarono e interrogarono se stessi. Forse non arrivarono ad una risposta, ma sicuramente si erano scontrati con la domanda.
La morale che si può ricavare da questa piccolissima storia è semplice: è molto difficile che riesca a suscitare grandi passioni ideali un’attività che appare come una carriera ricca di ricompense private a spese delle risorse di tutti. È più probabile che essa finisca con l’attirare un altro tipo di persone e che quindi veda calare sempre più il suo tasso di credibilità. Quelle lettere insegnano invece che la politica, se non vuole morire, deve, come avrebbe detto Wittgenstein, saper mostrare. Essa può recuperare credito solo se si riempie di persone capaci di dare piuttosto che chiedere, se dimostra di essere un’attività che s’ispira a valori ed interessi collettivi, e soprattutto che non li usa come il paravento di interessi privati. Chi afferma che il politico deve soprattutto possedere delle competenze dice una cosa giusta ma parziale, perché la politica non è una professione come le altre: senza un alto grado di legittimità essa, come accade al re, diventa nuda, deperisce accartocciandosi nella conservazione di piccoli o grandi privilegi. Se invece si mostra capace di ottenere sacrifici da chi la pratica, sarà forse meno ricca di competenze e incentivi materiali, ma molto più dotata di prestigio e quindi anche più autorevole, più capace d’incidere e decidere.
In altri termini: per la qualità della vita pubblica di un paese, e in modo particolare del nostro paese, è necessaria un’élite di persone capaci e coraggiose, per le quali la parola testimonianza non evoca il processo penale, ma la capacità di fare onore alle proprie idee. È probabilmente per questa ragione che la Costituzione italiana rimane ancora oggi, non solo in senso formale, una legge fondamentale: essa fu l’opera di molti che avevano pagato di persona, con il carcere o l’esilio, la propria fede, e questo fondamento morale rende un’opera più solida di un semplice accordo contrattuale. La libertà non esiste se non c’è chi è capace di rischiare per essa. Essa ha bisogno di persone-faro, di uomini verticali. Chi si piega al potere riesce a sopravvivere, ma accetta nei fatti una forma di servitù volontaria, una vita a sovranità limitata. L’esempio dei più coraggiosi e determinati, la loro capacità di sopportare costi altissimi, è di vitale importanza anche perché il rischio che essi si addossano abbassa i costi della mobilitazione di tutti gli altri, li mette in condizione di diventare più liberi.
Che un’élite di uomini di alta tempra morale sia assolutamente necessaria per la salute di un paese ci sembra quindi un argomento difficilmente controvertibile. Ma il ragionamento che ha guidato i testi che compongono questo libro si è proposto un altro scopo, quello di attirare l’attenzione su un punto solitamente poco esplorato, sui problemi che derivano dal rischio di una possibile distanza tra quell’aristocrazia morale e tutti quelli che, sia pure in misura diversa, non posseggono le stesse virtù. La lettura della Leggenda del Grande Inquisitore che abbiamo proposto è molto diversa da ...