La città dei ricchi e la città dei poveri
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La città dei ricchi e la città dei poveri

  1. 92 pagine
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La città dei ricchi e la città dei poveri

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L'urbanistica ha forti, precise responsabilità nell'aggravarsi delle disuguaglianze. Siamo di fronte a una nuova questione urbana che è causa non secondaria della crisi che oggi attraversano le principali economie del pianeta.Nelle culture occidentali la città è stata a lungo immaginata come spazio dell'integrazione sociale e culturale. Luogo sicuro, protetto dalla violenza della natura e degli uomini, produttore di nuove identità, sede privilegiata di ogni innovazione tecnica e scientifica, culturale e istituzionale. Nella città occidentale ricchi e poveri si sono da sempre incontrati e continuano a incontrarsi, ma sono anche sempre più resi visibilmente distanti. Oggi più che in passato, nelle grandi aree metropolitane, le disuguaglianze saltano agli occhi e strategie di distinzione ed esclusione sono state spesso favorite dallo stesso progetto urbanistico. Bisogna tornare a riflettere sulla struttura spaziale della città, riconoscere l'importanza che nel costruirla ha la forma del territorio. Tornare a conferire agli spazi urbani una maggiore e più diffusa porosità, permeabilità e accessibilità; disegnarli con ambizione, tenendo conto della qualità delle città che ci hanno preceduto e ragionare di nuovo sulle dimensioni del collettivo.

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Informazioni

Anno
2013
ISBN
9788858108413

capitolo sesto Poveri

I ricchi hanno spesso preferito costruire la loro città in aree non precedentemente urbanizzate: lungo la upper Fifth Avenue a New York, come ci ha raccontato Edith Wharton in L’età dell’innocenza (1920), nel 16° arrondissement a Parigi, a Belgravia a Londra, lungo il Ring a Vienna. Anche ad ovest di Mosca la Roubliovka – oggi una delle parti più ricche della città, ove i nuovi ricchi e i potenti vivono in ville delimitate da zabor, i muri che le recingono – è stata inizialmente riserva di caccia sotto Ivan IV, luogo della dacia di Stalin, residenza dei burocrati sovietici durante gli anni Trenta del ventesimo secolo e prima ancora degli artisti.
In queste aree, a Parigi come a Londra, era possibile costruire alloggi delle dimensioni desiderate, luoghi della sociabilità mondana, strade alberate, giardini e piazze confortevoli e, soprattutto, ottenere un’omogeneità sociale degli abitanti escludendo i diversi. Al mondo del lavoro, agli uffici e ai commerci è stata lasciata parte della città esistente e ai poveri sono state lasciate le bad lands61, le aree che da tempo, per un insieme di ragioni, avevano acquisito una cattiva reputazione: aree umide, paludose o facilmente inondabili, geologicamente instabili, prossime ai cimiteri, alle prigioni o agli ospedali, in ogni modo ai luoghi di internamento; vicine alla ferrovia, ai viadotti autostradali o della metropolitana, alle grandi industrie, o racchiuse tra diverse barriere infrastrutturali, rumorose, «oltre le mura» e mal servite dal trasporto pubblico, in fondo alla valle, poco soleggiate e sottovento, ove in passato si erano insediate le bidonvilles o, più semplicemente, lontane dal centro della città e dai luoghi in cui abitano i ricchi. Distinzione ed esclusione sono aspetti inseparabili nella costruzione della città moderna.
A partire dagli anni Settanta del ventesimo secolo Anversa, ad esempio, come molte altre città europee è divenuta meta di intensi flussi migratori. Popolazioni di origine marocchina-magrebina dapprima, poi più genericamente africana, turca, indiana e, infine, balcanica ed europeo-orientale, hanno invaso la città e soprattutto una consistente parte del suo centro ottocentesco. Non tutti gli stranieri sono uguali, soprattutto nella percezione degli abitanti di Anversa. La comunità ebraica legata alla lavorazione e al commercio dei diamanti, ad esempio, è presente da lungo tempo ed anche se è in via di progressivo impoverimento non è mediamente povera, né povero è il gruppo indiano, legato anch’esso al commercio e alla lavorazione dei diamanti. I poveri sono concentrati soprattutto tra gli africani e gli europei dell’Est, gruppi che gli abitanti di Anversa, come quelli di Bruxelles, considerano i più pericolosi. Essi sono i protagonisti di ogni retorica della sicurezza.
La reazione degli abitanti di Anversa è stata apparentemente duplice: una parte assai consistente, inseguendo un proprio radicato flemish dream, ha abbandonato la città, trasferendosi nell’immensa città diffusa della North-Western Metropolitan Area, una vasta regione connotata da una forte dispersione degli insediamenti e, più in particolare, da case unifamiliari con giardino.
Un’altra parte della popolazione di Anversa ha reagito all’intensità dei flussi immigratori con una politica di divisione: separando o, seguendo una lunga tradizione che si può ritrovare in molti altri casi, lasciando che tra loro si separassero gruppi etnico-religiosi, attività, idioritmi62, stili di vita, usi degli spazi e delle attrezzature pubbliche; riducendo la parte centrale di Anversa ad una sorta di puzzle le diverse tessere del quale sono fortemente connotate da un punto di vista etnico e sociale, ove prevale quella che Amartya Sen definisce la miniaturizzazione dell’essere umano nella gabbia di un’unica e vincolante identità. «La tendenza, nel mondo contemporaneo, a privilegiare un’identità in particolare rispetto a tutte le altre ha già fatto danni, fomentando violenze razziali, conflitti intercomunitari, terrorismo religioso, repressione degli immigrati, negazione dei diritti umani fondamentali»63. Una politica che, ad Anversa, ha incontrato inevitabilmente le proprie contraddizioni quando le varie tessere del puzzle sociale, espandendosi, sono giunte a toccarsi e ad innescare una forte competizione per lo spazio. Da quel momento Anversa è divenuta città percorsa da un forte, sordo conflitto64.
Trasferimento nella città diffusa, abbandonando alle popolazioni extraeuropee di recente immigrazione il centro della città o sue parti importanti, e costruzione del puzzle urbano sono due aspetti di un’identica politica di separazione sociale, che diviene separazione spaziale e che si svolge a scale differenti: a quella della regione metropolitana la separazione tra ricchi e poveri dà luogo a due diversi modelli insediativi, la dispersione, da un lato, e la concentrazione entro specifiche zone urbane, dall’altro; alla scala urbana, essa diviene stigmatizzazione di specifici quartieri della città. Politiche entrambe che hanno una lunga storia.
Sino agli ultimi decenni del ventesimo secolo gli storici della città non si sono molto occupati delle periferie. Opere fondamentali come Paris/Banlieues sono tuttora rare65. Tantomeno si sono occupati della dispersione. Le hanno considerate conseguenze nefaste e prive di spessore della crescita urbana, fenomeni da condannare sulla base di alcuni giudizi stereotipati, più che da analizzare. Con ogni probabilità il primo serio studio della suburbanizzazione negli Stati Uniti è del 1962 ed è relativo alla sola Boston66, ma è soprattutto dalla fine degli anni Settanta che la letteratura statunitense relativa ai suburbi si estende in modi impressionanti67. L’Europa ha una storia più lunga e complessa, ciò nondimeno anche qui la dispersione diviene oggetto di studi sistematici – ma non di carattere storico – solo a partire dalla fine degli anni Settanta.
Essa appare allora come il frutto della ricerca di un welfare positivo68 da parte soprattutto delle classi medie europee, un modo differente di rappresentarsi di una società individualizzata. Anche se diversa dal suburbio nordamericano, dall’American dream tanto fortemente criticato69, la città diffusa europea ne utilizza molti materiali e ne possiede alcune delle qualità. Molte regioni europee sono ora simili alla North-Western Metropolitan Area: in Germania come in Francia, nell’Italia del Nord-Est come nel Nord-Est della Spagna o nel Nord del Portogallo.
La dispersione nella città diffusa europea, come nella North-Western Metropolitan Area, è però differente dallo sprawl del suburbio americano. Nel suo retroterra ideologico non vi sono Jefferson, il pastoralismo, Hawthorne, Thoreau, Emerson e Whitman; non ci sono Olmsted né Wright, né la Federal Housing Association che spinge a «disperdere le nostre fabbriche, i nostri negozi, la nostra gente; insomma a creare una rivoluzione negli stili di vita»70; anche se sullo sfondo c’è «il sogno della casa come forma specificamente americana» quando «per la prima volta nella storia una civiltà costruisce un ideale utopico basato sulla casa piuttosto che sulla città o sulla nazione»71.
Dal punto di vista delle disuguaglianze sociali, peraltro, gli Stati Uniti degli anni del secondo dopoguerra sono radicalmente diversi da quelli degli anni Venti72. Durante la sua lunga storia il suburbio americano è cambiato nei suoi caratteri fondamentali e nella sua estensione; in modo analogo sono cambiati tanto i principali attori coinvolti, sia dal lato della domanda, sia da quello della produzione, quanto le loro motivazioni, e ciò ha dato luogo a situazioni tra loro assai differenti e non riconducibili a un unico modello73. Da fenomeno elitario ed esclusivo motivato dalla ricerca di un più ravvicinato rapporto con la natura, ad utopia borghese74, a fenomeno di massa eminentemente guidato dalle idiosincrasie e dal sistema di valori tipici delle classi medie o dalle retoriche comunitarie, il suburbio è divenuto soprattutto un’istituzione dominata dall’idea della distinzione: di ricchezza, razza ed etnia75.
Radicate nel moralismo della società americana, soprattutto della sua parte bianca e protestante76, queste idee sono state ampiamente utilizzate da un vasto insieme di attori coinvolti nello sviluppo suburbano: dai promotori immobiliari a diversi gruppi professionali, alle banche, ai politici locali. Dalle enclaves situate in luoghi accuratamente scelti per le loro caratteristiche naturali e topografiche e disegnati dagli architetti e dai paesaggisti più famosi dell’epoca, come Clapham nel Surrey o come i primi suburbi lungo l’Hudson o Riverside nell’Illinois, alle lunghe strisce di casette, generalmente disegnate dagli ingegneri delle amministrazioni locali e costruite da piccoli imprenditori lungo le linee del trasporto pubblico all’esterno della città – occasione spesso di grandi speculazioni edilizie, come Grossdale alla periferia di Chicago –, alle sterminate distese di case unifamiliari con giardino, come a Levittown e Forest Hill nell’immediato dopoguerra, o come nei molti esempi che hanno fatto loro seguito, la città sembra dissolversi in un territorio urbanizzato informe e senza limiti. Alla fin...

Indice dei contenuti

  1. Premessa
  2. capitolo primo La nuova questione urbana
  3. capitolo secondo Economia, società e territorio
  4. capitolo terzo Ricchi e poveri
  5. capitolo quarto Strategie di esclusione
  6. capitolo quinto Ricchi
  7. capitolo sesto Poveri
  8. capitolo settimo Un mondo migliore è possibile
  9. capitolo ottavo La tradizione europea
  10. capitolo nono Disuguaglianze sociali, questione urbana e crisi