III.
Machiavelli profetico
Fra il 1494 e il 1530, profeti, indovini e visionari popolarono le piazze, le vie, le chiese, le corti d’Italia. Popolo e intellettuali ascoltavano le loro parole. La profezia era esperienza vivente nella cultura e nella mentalità del tempo1. Machiavelli visse in quei tempi profetici. Rifiutò il linguaggio profetico o ne apprezzò la forza e scrisse egli stesso come profeta di redenzione politica?2 In questo capitolo cerco di rispondere a tali interrogativi. Esamino prima le considerazioni di Machiavelli su profezie e profeti, poi le sue pagine profetiche; infine discuto il rapporto fra il suo realismo politico e la profezia.
1. Profeti e profezie
Nell’universo di Machiavelli i profeti in senso proprio – individui che hanno ricevuto ispirazione o rivelazione divina – hanno vita stentata, a prima vista. La sua visione della storia è ciclica; non contempla il trionfo del disegno di Dio nel mondo. Le nazioni e gli Stati sono sottoposti a cicli segnati dall’alternarsi della virtù e del vizio:
La virtù fa le region tranquille: / e da tranquillità poi ne risolta / l’ocio: e l’ocio arde i paesi e le ville. / Poi, quando una provincia è stata involta / ne’ disordini un tempo, tornar suole / virtude ad abitarvi un’altra volta. / Quest’ordine così permette e vuole / chi ci governa, acciò che nulla stia / o possa star mai fermo sotto ’l sole. / Ed è, e sempre fu, e sempre fia, / che ’l mal succeda al bene, il bene al male, / e l’un sempre cagion de l’altro sia3.
Sulle vicende umane hanno un potere immenso i cieli: «Di quivi [dai cieli] nasce la pace e la guerra, / di qui dipendon gli odi tra coloro / ch’un muro insieme e una fossa serra»4. Nel Decennale primo – il racconto in versi degli avvenimenti italiani dal 1494 al 1504 – scrive: «Io canterò l’italiche fatiche / seguite già ne’ duo passati lustri / sotto le stelle al suo ben inimiche»5. Nella lettera dedicatoria ad Alamanno Salviati ribadisce che le disgrazie d’Italia erano causate dalla necessità del fato, il cui potere non può essere dominato6.
Leggere i segni dei cieli è materia per astrologi, non per profeti. Agli astrologi Machiavelli si rivolge più di una volta. Il 5 giugno del 1509 riceve da Lattanzio Tedaldi un dettagliato responso astrologico, probabilmente sollecitato, sull’ora più propizia per l’ingresso dei commissari fiorentini in Pisa, arresasi dopo lungo assedio7. Il 5 novembre 1526, nel bel mezzo della crisi politica e militare che avrebbe portato alla fine della residua libertà italiana, Machiavelli non ha alcuna remora a rivelare allo scettico Guicciardini di aver consultato un profeta, come lo chiama, ma era un astrologo: «Stetti in Modena duoi giorni, et praticai con un profeta che disse con testimonii haver predetto la fuga del papa et la vanità della inpresa, et di nuovo dice non essere passati tutti li cattivi tempi, ne’ quali il papa et noi patireno assai»8.
Insieme ai cieli, sulle vicende umane ha immenso potere la Fortuna. Mentre i cieli governano i moti ordinati e necessari, la Fortuna è signora degli eventi casuali e contingenti9. Usa il suo potere in modo arbitrario, «sanza pietà, sanza legge o ragione». Spesso «e’ buon sotto e’ piè tiene, / l’improbi innalza e, se mai ti promette / cosa veruna, mai te la mantiene»10. È felice soprattutto quando colpisce uomini generosi, come nel caso di Antonio Giacomini Tebalducci, uno dei pochi valenti capitani che servirono la Repubblica di Firenze: «Questo per sua patria assai sostenne, / e di vostra milizia il suo decoro / con gran iustizia gran tempo mantenne; / avaro dello onor, largo de l’oro, / e di tanta virtù visse capace, / che merita assai più ch’io non lo onoro; / e or negletto e vilipeso iace / in le sue case, pover, vecchio e cieco: / tanto a Fortuna chi ben fa dispiace!»11. La Fortuna ha occhi feroci e acuti. Distingue molto bene i buoni, che punisce con la servitù, l’infamia e la malattia, e gli ingiusti, che premia con potere, onore e ricchezza. Poiché agisce a capriccio, nessuno è in grado di intendere i suoi disegni. Può resistergli soltanto un’«ordinata virtù»12.
Nella sua visione del mondo Machiavelli colloca, sopra tutti, Dio, anche se non esclude affatto l’idea pagana dell’eternità del mondo13 e accenna alla presenza di «potenzia occulta che ’n ciel si nutrica / tra le stelle che quel girando serra, / alla natura umana poco amica»14. Un Dio che permette la presenza di una forza occulta nel cielo, e lascia che la capricciosa e furiosa Fortuna tormenti i mortali, è un Dio poco ortodosso. Eppure, interviene nella storia, come mostrerò, con le sue rivelazioni e le sue ispirazioni, e soprattutto ha dato agli esseri umani il grande dono del libero arbitrio15. Poiché Dio rivela la sua volontà, e gli esseri umani possono scegliere se obbedirgli o contrastarlo, nella visione del mondo di Machiavelli i profeti hanno un loro ruolo, tutt’altro che marginale.
Ma sulla possibilità di predire gli eventi futuri Machiavelli è scettico. L’esempio è la lettera a Giovan Battista Soderini del settembre 1506. Dopo una lunga riflessione sulle regole per un’azione politica efficace scrive: «Et veramente, chi fussi tanto savio che conoscessi e tempi et l’ordine delle cose et adcomodassisi ad quelle, harebbe sempre buona fortuna o e’ si guarderebbe sempre da la trista, et verrebbe ad essere vero che ’l savio comandassi alle stelle et a’ fati. Ma, perché di questi savi non si truova, havendo li huomini prima la vista corta, et non potendo poi comandare alla natura loro, ne segue che la Fortuna varia et comanda ad li huomini, et tiègli sotto el giogo su»16. Nei confronti dei profeti che pretendono di predire il futuro, diventa sarcastico:
E’ si trova in questa nostra città, calamita di tutti i ciurmatori del mondo, un frate di S. Francesco, che è mezzo romito, el quale, per haver più credito nel predicare, fa professione di profeta; et hier mattina in Santa Croce, dove lui predica, dixe multa magna et mirabilia: che avanti che passassi molto tempo, in modo che chi ha 90 anni lo potrà vedere, sarà un papa iniusto, creato contro ad un papa iusto, et harà seco falsi profeti, et farà cardinali, et dividerà la Chiesia; item, che il re di Francia si haveva adnichilare, et uno della casa di Raona ad predominare Italia. La città nostra haveva a ire a fuoco et assacco, le chiese sarebbono abbandonate et ruinate, i preti dispersi, et tre anni si haveva a stare senza divino offitio. Moria sarebbe et fame grandissima; nella città non haveva a rimanere 10 huomini nelle ville non harebbe a rimanere dua. [...] Queste cose mi sbigottirono hieri in modo, che io haveva andare questa mattina a starmi con la Riccia, et non vi andai; ma io non so già, se io havessi hauto a starmi con il Riccio, se io havessi guardato a quello. La predica io non la udi’, perché io non uso simili pratiche, ma la ho sentita recitare così da tutto Firenze17.
Il frate in questione è Francesco da Montepulciano (muore nel 1513, ignoriamo la data di nascita), sul quale, e sui predicatori in generale, anche Vettori, nella sua risposta in data 24 dicembre, è scettico18. Sui profeti di sventure Machiavelli torna ancora nella lettera a Vettori del 4 febbraio 1514. Invoca l’intervento di Dio affinché li punisca, se mentono, e se dicono il vero trasformi le sventure annunciate in bene: «Di qua non ci è che dirvi se non prophezie et annunzii di malanni: che Iddio, se dicono le bugie, gli facci annullare; se dicono il vero, gli converta in bene»19.
Anche nella poesia De’ romiti, scritta attorno al 1519, non si preoccupa delle profezie di imminenti alluvioni e cataclismi che circolavano in quegli anni e consiglia di approfittare delle alluvioni per dedicarsi ai piaceri erotici: «E voglion sopratutto che le stelle / influssin con tant’acque, / che ’l mondo tutto quanto si ricuopra. / Per questo, donne graziose e belle, / se mai servir vi piacque, / alcuna cosa che vi sia di sopra; / nessuna se ne scuopra / per farci alcun riparo; / però che ’l cielo è chiaro / e ci promette un lieto carnovale: / ma chiunque crede apporsi, dice male»20. Non c’è nulla da temere, assicura con il tono di chi la sa più lunga dei profeti: «Non temete altro danno, / e fia quel ch’esser suole. / Il ciel salvar ci vuole: / e poi, chi vede il diavol daddovero, / lo vede con men corna e manco nero»21. Ai profeti (presunti tali) di cataclismi Machiavelli risponde dunque con l’ironia, o invoca su di essi l’intervento correttore di Dio. Possono essere giudicati comportamenti incoerenti, ma così era Niccolò: ora grave ora leggero, e di questo suo modo di vivere non si pentiva affatto e ne andava fiero22.
Altri testi indicano invece che prende sul serio i profeti e la profezia. Il più antico riferimento di Machiavelli ai profeti è nel volgarizzamento dell’Andria di Terenzio, un’esercitazione che scrive con «una mano in formazione» intorno al 1495, ha persuasivamente dimostrato Pasquale Stoppelli in un su...