Semiotica della pubblicità
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Semiotica della pubblicità

  1. 138 pagine
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Semiotica della pubblicità

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La pubblicità come segno, come testo complesso e seduttivo, come messaggio condizionato dai mezzi di comunicazione, come veicolo di significati e di valori: la semiotica ne smaschera il funzionamento e ne indica le debolezze e le ragioni di forza.

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Informazioni

Anno
2012
ISBN
9788858102039

IV. Testi pubblicitari

Il testo pubblicitario è ciò che effettivamente del lavoro pubblicitario viene comunicato e si manifesta come messaggio. L’utente non vede le strategie, le complesse progettazioni comunicative, tutto il backstage del marketing e della realizzazione. Le intenzioni non contano. È solo al momento della sua percezione concreta che il messaggio si realizza davvero: nell’audience. Bisogna però aggiungere che tale percezione non è interamente cosciente, non coincide affatto con quello che il destinatario del messaggio pensa di aver ricevuto, e ancor meno con quel che dice ai suoi eventuali intervistatori di credere il messaggio gli abbia detto. La difficoltà della ricerca empirica sugli effetti della pubblicità sta qui, nel carattere parzialmente inconsapevole di tali effetti: il che non vuol dire necessariamente che sia in gioco qui l’inconscio, nel senso forte della psicoanalisi. La maggior parte della comunicazione che riceviamo e produciamo non passa sotto la lente della coscienza, perché è troppo ricca e ripetitiva: chi bada alla forma sintattica delle frasi che produce o considera in dettaglio com’è fatta la cravatta dell’annunciatore del telegiornale? Oppure si pensi a come scorriamo distrattamente i titoli del giornale, fino a che non troviamo l’argomento che ci interessa. Il fatto è che di comunicazione ce n’è troppa, dappertutto intorno a noi, e siamo addestrati fin dalla prima infanzia (o forse geneticamente) a selezionarla: moltissimi esperimenti mostrano che la percezione e il ricordo dei messaggi mediatici sono selettivi, e soprattutto che gli stimoli sono classificati non uno a uno, ma per gruppi, per provvisorie categorie di senso, che vengono smontate solo in caso di necessità. Dato che per lo più vediamo il bosco e non gli alberi, la folla e non le persone, la televisione e non le trasmissioni, la pubblicità e non l’annuncio, la maggior parte della comunicazione è tecnicamente subliminale. Il che non significa che i dettagli non avvertiti non contino. E neppure, secondo un vecchio mito, che quel che non è considerato consciamente agisca senza controllo. Anche perché nel pubblico valgono effetti di massa. Semplicemente la memoria consapevole dei singoli non è una buona misura della comunicazione ricevuta dall’audience.
I testi (e in particolare i testi pubblicitari) sono molto più complessi di come non appaiano, si basano su livelli sintattici e semantici profondi che non sono espliciti né, in linea di massima, notati nella ricezione: così ad esempio il meccanismo fondamentale delle assiologie, che discuteremo in seguito. I testi si basano sempre su conoscenze previe da parte del lettore, sono cioè ricchi di lacune che saranno colmate dalla sua collaborazione. Si definiscono in rapporto ad altri testi, che citano, parodizzano, o imitano, talvolta senza che neppure i loro autori se ne rendano conto.
Anche sul piano puramente materiale e tipologico non è facile tracciare i confini della testualità pubblicitaria. I supporti più comuni della pubblicità sono oggi il filmato televisivo e l’annuncio stampa nei loro diversi formati, ma anche le affissioni (incluse quelle di grandissimo formato, gli striscioni ecc.) hanno un certo peso economico e così la pubblicità radiofonica, quella postale e quella in internet. Forme più periferiche e spesso in disuso sono le pubblicità mobili (striscioni aerei, camion, volantini ecc.) e quelle audio.
Ma in un certo senso, come abbiamo visto, sono testi pubblicitari tutti gli elementi comunicativi del marketing, dall’immagine coordinata aziendale all’uso di edifici e mezzi di comunicazione variamente marchiati, dalla comunicazione sul punto di vendita fino all’eventuale negozio monomarca, per non parlare della merce in uso (quando resta visibile e marchiata dopo l’acquisto, come ad esempio nel caso delle automobili) o del packaging (ad esempio dei prodotti di largo consumo che vi si identificano largamente, come certe confezioni di pasta, di detersivi, di cibi in scatola). Anche se escludiamo questi ultimi elementi dal discorso pubblicitario vero e proprio, come probabilmente è giusto fare se li si considera nella loro sostanza materiale, resta il fatto che molto spesso essi sono rappresentati nel testo pubblicitario, che comprende quasi sempre il marchio, l’immagine del prodotto (packshot) e magari qualche altro elemento dell’immagine coordinata come certi colori caratteristici o il lettering. Dunque, il testo pubblicitario si estende fino ad appropriarsi almeno di tutto l’apparato visivo legato a un prodotto o a una marca.
I diversi supporti (dal punto di vista semiotico, le diverse sostanze dell’espressione) in genere tendono a convivere l’uno accanto all’altro e a farsi portatori dello stesso contenuto pubblicitario. L’interazione fra pubblicità e immagine coordinata è spesso bidirezionale: i vari elementi visivi che determinano l’immagine del prodotto o della marca (colori, marchio, lettering ecc.) invadono sempre il testo pubblicitario, che però può avere abbastanza forza da modificare la segnaletica aziendale con una sua immagine di particolare impatto.
Da questa semplice elencazione (e dalla coerenza sostanziale che abbiamo rilevato presentarsi spesso tra formati e supporti assai diversi) emerge ancora una volta come sia sterile qualunque pretesa di una grammatica (e tanto meno di una semantica) semplice e generale del testo pubblicitario manifestato, così come appare. Ogni diversa sostanza dell’espressione pubblicitaria (ogni diverso supporto) ha una propria forma, che, come si è detto, deriva di solito in maniera più o meno parassitaria dalle regole di comunicazione vigenti in generale per quel supporto. La pubblicità usa per i suoi spot un linguaggio tratto da quello del cinema, della televisione, dei video (e in particolare dei videoclip). Gli annunci stampa e le affissioni prendono a prestito i codici della fotografia e delle stampe ecc.
La demografia dei testi pubblicitari, così affollata, insieme agli effetti della concorrenza, fa sì che spesso questi linguaggi tratti dalla comunicazione generale siano variati e magari spinti ai loro limiti comunicativi, sull’onda di potenti fenomeni di moda. Ma in genere dopo qualche tempo queste innovazioni sono riassorbite, o perché entrano nel codice e si banalizzano o perché i testi pubblicitari ritornano alla facile comprensibilità dei codici comuni e preferiscono essere compresi facilmente anche a costo di apparire banali, piuttosto che attirare l’attenzione rischiando difficoltà di comprensione.
Siamo così arrivati a incontrare due requisiti importanti di ogni testo pubblicitario: salienza percettiva e comprensibilità. Quello della percezione (o, per essere più precisi, della funzione fàtica della comunicazione) è il primo livello a cui si svolge la concorrenza fra i messaggi pubblicitari. Per illustrare questo punto è necessario rifarsi alle definizioni fondamentali del rapporto di comunicazione. Se consideriamo un messaggio in generale, potremo utilmente distinguere in esso alcuni fattori, che si possono elencare secondo lo schema, certamente discutibile, pieno di carenze, ma ancora utile, dovuto a Roman Jakobson:
1. emittente
2. contatto (canale)
3. messaggio
4. codice
5. contesto (contenuto)
6. destinatario
Oltre all’emittente, al destinatario e al messaggio, in ogni testo ha importanza il sistema delle regole che presiede alla sua forma e alla sua capacità di produrre senso, cioè il suo codice (che probabilmente, più che secondo un’organizzazione dizionariale di accoppiamenti fra significanti e significati, va pensato come l’insieme di una complessa macchina sintattica e di un’enciclopedia ricca di informazioni sul mondo). Vi è poi un contatto, vale a dire il canale che unisce materialmente e virtualmente in maniera più o meno efficace l’emittente alla sua audience; e poi certamente del funzionamento di ogni testo fa parte essenziale il riferimento a cose o pensieri, reali o semplicemente possibili. Questo insieme di contenuti nella tradizione semiotica è chiamato (in maniera un po’ fuorviante) contesto. Ognuno di questi fattori corrisponde a una possibile funzione di ogni testo:
1. emotiva
(espressiva)
2. fàtica
3. poetica
4. metalinguistica
5. referenziale
6. conativa
La funzione emotiva (o espressiva) riguarda la capacità che ogni emittente ha di esprimere se stesso, le sue emozioni, i suoi sentimenti, la sua identità nel messaggio. La funzione fàtica consiste nel lavoro che si fa per garantire il contatto (ad esempio quando si dice «pronto» al telefono). La funzione metalinguistica definisce il codice in uso e dunque, implicitamente, i rapporti fra gli interlocutori. La funzione referenziale permette al messaggio di mettersi in rapporto col mondo, di parlare di qualche cosa. La funzione poetica riguarda l’organizzazione interna del messaggio, il modo in cui esso è realizzato (e Jakobson la chiama così perché la considera dominante in poesia e in generale nell’arte, dove il messaggio comunicherebbe soprattutto con la sua forma). La funzione conativa è invece quella per cui si cercano degli effetti sull’emittente, gli si danno degli ordini, dei consigli ecc.
È importante tener presente che ogni atto comunicativo e dunque ogni pubblicità contiene almeno in potenza tutti i fattori della comunicazione e ne comprende anche tutte le funzioni. Non esiste una comunicazione puramente fàtica, o puramente referenziale, puramente poetica ecc. Per poter raggiungere con efficacia uno di questi scopi, devono essere perseguiti in certa misura anche gli altri. Una poesia deve parlare di qualche cosa (funzione referenziale), un ordine deve contenere qualche informazione su come può essere eseguito (funzione referenziale), una confessione si rivolge a qualcuno per qualche scopo (funzione conativa) ecc.
La pubblicità nasce senza dubbio per esercitare principalmente una funzione conativa, il suo scopo insomma è quello di agire simbolicamente sul destinatario in modo da modificarne il comportamento e il pensiero; ma anche le altre funzioni sono importanti. In particolare, e in primo luogo, i suoi messaggi, competitivi come sono con messaggi analoghi e d’altro tipo, e inoltre solitamente non cercati da chi li riceve, devono conquistarsi un rilievo percettivo, farsi notare, lavorare sulla funzione fàtica. Bisogna prendere sul serio il problema semiotico del contatto, come attenzione effettivamente accordata al messaggio: esso mette in dubbio tutti i ragionamenti sull’audience della pubblicità così com’è misurata dall’Auditel e da altri dispositivi analoghi: non il numero delle persone esposte a un testo pubblicitario, che cioè passano in una strada dove vi sia un’affissione o stanno in una stanza dove sia accesa una televisione che trasmette pubblicità; ma il numero di persone che effettivamente vedono un messaggio costituisce la sua audience reale. Questa è dunque determinata dall’efficacia della funzione fàtica.
La necessità di essere notati fa sì che non vi sia praticamente messaggio pubblicitario senza immagini; la stessa ragione giustifica spesso la presenza di musiche, aumenta al di là del consueto la dimensione delle affissioni, alza il volume dei jingle, accentua i colori degli annunci a stampa, rende maggiore la frequenza degli stacchi e dei movimenti di macchina negli spot: tutti meccanismi che agiscono per esaltare l’impatto percettivo dei testi. Ma dato che anche la sorpresa attira l’attenzione, vi sono annunci che provano a staccarsi dal gruppo dei concorrenti seguendo strategie opposte: silenzio, piccole dimensioni, bianco e nero o colori pastello. In tutti questi casi, un’analisi del funzionamento della pubblicità al livello della sua manifestazione plastica, cioè, come vedremo, delle basi percettive della comunicazione per immagini, risulta molto rivelativa: il lavoro del contatto interferisce sempre, nei testi pubblicitari, col lavoro del senso.
La comprensibilità riguarda invece la funzione metalinguistica, quella che regola la comunicazione del codice impiegato nel messaggio, e la funzione poetica, relativa all’elaborazione «creativa» del testo e alla sua organizzazione interna indipendente dalla necessità di significare. Quanto più un messaggio è dominato dalla funzione poetica, cioè è originale e sorprendente, tanto più è a rischio la sua c...

Indice dei contenuti

  1. Introduzione
  2. I. Pubblicità e comunicazione
  3. II. Il discorso pubblicitario
  4. III. Strategie pubblicitarie
  5. IV. Testi pubblicitari
  6. V. Soggetti pubblicitari
  7. Conclusioni. I pericoli dell’iperseduzione
  8. Bibliografia