Senza il vento della storia
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Senza il vento della storia

La sinistra nell'era del cambiamento

  1. 98 pagine
  2. Italian
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Senza il vento della storia

La sinistra nell'era del cambiamento

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A lungo la sinistra ha pensato che nelle sue vele soffiasse il vento della storia. Oggi che tutto è cambiato, che quel vento non le ha riconosciuto alcuna primazia, che anche il suo popolo non è più lo stesso, la sinistra sembra essersi ritratta in una posizione difensiva e risponde con sdegno all'accusa di conservatorismo.
In verità le sue ragioni sono tutt'altro che scomparse, ma per farle rientrare nella partita del mondo è necessario che smettadi sentirsi ospite innocente in un universo cattivo e abbandoni ogni nostalgia. Perché la globalizzazione non è solo una banale restaurazione, non è solo espropriazione e sradicamento, ma un gioco di dimensioni planetarie nel quale nuovi protagonisti si affacciano sulla scena della storia. E a questo gioco largo e imprevedibile, pieno di pericoli e di opportunità, non ci si può sottrarre.

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Informazioni

Anno
2014
ISBN
9788858118115
Argomento
Economia

1. La frattura destra/sinistra: il declino di un’egemonia

La linea di divisione e contrapposizione tra destra e sinistra che sta al centro del nostro immaginario politico non è una costante della storia umana, ma il prodotto di una particolare cultura, la cultura dell’Occidente così come venne a suo tempo riformulata dall’Illuminismo. Essa è strettamente collegata all’idea che, grazie alla ragione, l’uomo è in grado di emanciparsi da vecchie tutele ed illibertà e di allargare ad un numero crescente dei suoi simili il rispetto dei propri diritti. La storia è attraversata da un moto ascensionale che permette di includere progressivamente l’insieme dell’umanità nella sfera delle conquiste civili, abbattendo preclusioni ed esclusioni e rendendo la libertà una conquista comune a tutti gli uomini.
La sinistra4, a partire dalla Rivoluzione francese, è quel polo di questa tradizione che si propone di portare a compimento questo processo di emancipazione contro le resistenze che ad esso in vario modo oppone la destra, da quella reazionaria a quella liberale.
Questa cultura, per quanti antecedenti e riscontri si possano individuare sia nella tradizione classica sia in quella religiosa (si pensi in primo luogo alla ricorrente e ricca dimensione messianica5), ha un suo specifico ed originale progetto universale che si viene affermando contemporaneamente all’ascesa dell’Europa come centro del mondo. Universalismo ed espansione sono due moti pratici e teorici tra loro strettamente interconnessi. Il Novecento è il secolo in cui questo progetto raggiunge il suo culmine, ma anche quello in cui inizia ad osservare il proprio declino. Ma procediamo con ordine.
La linea di frattura fra destra e sinistra non è l’unica linea di divisione e di conflitto conosciuta dagli uomini. Accanto ad essa, e a lungo molto più rilevanti, sono state, ad esempio, le linee di divisione religiosa e quelle di appartenenza etnico-territoriale. In altre parole, la linea di divisione destra/sinistra non è l’unica matrice di conflitti né è stata sempre al centro della scena storica, e il suo stesso affermarsi non è stato un processo lineare ed irresistibile. È vero, la lotta di classe non nasce certo con l’Europa dell’Illuminismo o con lo scontro tra lavoro salariato e capitale, e attraversa anch’essa la storia dell’umanità, dalle rivolte degli schiavi a quelle dei contadini, dagli scontri tra patrizi e plebei alle sue forme più sorde e quotidiane, quelle nelle quali il conflitto non ha la veste pubblica dell’ideologia ma attraversa, anche se a bassa intensità, ugualmente la vita.
Tuttavia questo tipo di conflitto costituisce solo una delle linee di divisione e per un lungo periodo storico non è stato quello dominante, perché è emerso solo con grandi e brevi fiammate in un mondo nel quale i conflitti dominanti erano altri. Quando Marx sostiene nel Manifesto che la storia è sempre stata storia della lotta di classe, non fa che proiettare sul passato il filtro selettivo di uno sguardo dell’Ottocento nato nell’epoca delle grandi rivoluzioni politiche e della rivoluzione industriale.
Certo, le disuguaglianze sono state spesso cause di sofferenza e di ribellione e il sogno di una società in cui esse vengono cancellate è molto antico, ma interpretare la storia delle epoche premoderne e in parte di quella moderna come dominata dal conflitto di classe è azzardato e pesantemente riduttivo. Del resto, a riconoscere che la questione è molto più complicata è lo stesso Marx in una celebre nota6 del primo libro del Capitale. In altre parole: il grande rilievo della linea di divisione fra destra e sinistra è un fenomeno relativamente recente, fortemente collegato ad una cultura e in modo particolare ad una sua determinata fase storica.
In Europa, alla centralità di questa linea di divisione ha sicuramente contribuito la rivoluzione industriale con l’espansione del proletariato, che proprio agli occhi di Marx offre l’occasione di emancipare il socialismo dagli sterili ed impotenti fumi dell’utopismo. Il proletariato industriale – sostiene Marx – pur essendo un prodotto del capitalismo, è una classe universale, perché è l’unica che, perseguendo il proprio interesse particolare e lottando per liberare se stessa, finisce per emancipare l’umanità intera.
Il socialismo “scientifico” nasce appunto da questa intersezione dell’antico “sogno di una cosa” con le esigenze materiali di una classe sociale storicamente determinata che si va diffondendo parallelamente al progresso tecnologico nell’Europa avanzata. Il vecchio “sogno” e il più recente progetto intellettuale di un’umanità emancipata hanno finalmente trovato un binario che permette loro di entrare nella storia.
E tuttavia anche nel passaggio tra Otto e Novecento la storia dell’egemonia di questa linea di divisione sulle altre si rivela meno stabile di quanto si riteneva. Fernand Braudel ha descritto in modo sintetico e drammatico una sorta di duello tra questa linea di divisione e quella fra Stati nazionali nel decennio che precipita l’Europa nella prima guerra mondiale:
senza esagerare la forza della Seconda Internazionale a partire dal 1901, si può ben affermare che l’Occidente, nel 1914, se si trovava sull’orlo della guerra, si trovava anche sull’orlo del socialismo. Questo era sul punto di prendere il potere, di edificare un’Europa altrettanto e forse più moderna di quella attuale. In pochi giorni, in poche ore, la guerra fece crollare ogni speranza. [...] Il socialismo europeo di quell’epoca ebbe l’enorme torto di non aver saputo arrestare il conflitto7.
La prima guerra mondiale segna una colossale dis-locazione del conflitto tra capitale e lavoro che, nel passaggio del secolo, sembrava stesse ormai diventando egemonico e capace di riassorbire e riassumere tutti gli altri. La dis-locazione dell’“indimenticabile” e per certi versi “inatteso” 1914, che allineò le classi lavoratrici dei diversi paesi europei alle rispettive borghesie nazionali, fece crollare rovinosamente la convinzione dell’Internazionale socialista di avere nelle vele il vento della storia, di essere l’onda possente che avrebbe portato al trionfo il socialismo prima in Europa e poi in tutto il mondo.
A questa gigantesca e tragica dis-locazione sarà Lenin ad offrire una risposta di uguale respiro e grande spregiudicatezza, che consentirà di restaurare (ma in realtà reinventare) la centralità del conflitto di classe e la causa della rivoluzione. L’innovazione prodotta da Lenin non è solo quel richiamo attivistico e messianico all’attualità della rivoluzione che colpì tanto il giovane Gramsci8, ma anche e soprattutto il risultato di una lettura complessa e ben poco ortodossa di quel passaggio di secolo. L’Europa occidentale, afferma Lenin, è il centro dell’imperialismo9, che, sulla base dello sfruttamento dei paesi coloniali, permette alle classi dominanti della metropoli di accumulare sovra-profitti e quindi di concedere sovra-salari alla classe operaia.
È da queste trasformazioni che è nata la drammatica divergenza tra la realtà del primo Novecento e il pronostico marxiano: l’“aristocrazia operaia” dei paesi più sviluppati, in primis l’Inghilterra, lungi dall’essere una classe universale e l’avanguardia della rivoluzione, costituisce una fascia “privilegiata” di lavoratori salariati che identifica il suo interesse non certo con quello dei lavoratori di “tutto il mondo”, ma con quello delle classi superiori del proprio paese. L’asse del conflitto rivoluzionario, secondo Lenin, si sposta fuori del cuore dell’Europa industriale e la lotta contro la guerra imperialista si salda all’inizio di un conflitto planetario, nel quale accanto alle aree periferiche e non “corrotte” della classe operaia figurano nuovi protagonisti, le masse contadine e i popoli dei paesi coloniali in lotta per la loro indipendenza.
Allo spariglio che la guerra aveva rappresentato rispetto al socialismo Lenin risponde con un nuovo spariglio, affidando le sorti della linea di divisione tra destra e sinistra a nuovi attori, e ridefinendo sul piano internazionale i soggetti interessati all’espansione dell’uguaglianza. Questo gioco è straordinariamente innovativo e apre il futuro, ma contiene al suo interno una tensione forte e a più livelli (che farà emergere in futuro acute contraddizioni) tra gli obiettivi provenienti dalla tradizione della sinistra europea e le caratteristiche e gli obiettivi di quei nuovi attori.
Ma anche dopo questa mossa rivoluzionaria, partita con il 1917, il conflitto su scala globale durante gli anni Venti e Trenta è determinato solo in parte dalla linea di divisione tra destra e sinistra. L’aspirazione tedesca e nazista ad un proprio grande spazio ha sì la rivoluzione bolscevica come nemico, ma soprattutto la Russia slava e zarista, e si dirige in primo luogo contro l’egemonia anglo-francese. Siamo di fronte ad un conflitto che è ancora in modo prevalente uno scontro tra gli opposti disegni imperialistici di stati-nazione in lotta tra loro per l’egemonia sul continente. Solo il progressivo avvicinamento tra i nemici di Hitler e il loro confluire in un’alleanza antifascista darà vita ad una contrapposizione tra la versione reazionaria e razzista della destra e una coalizione che porta dentro di sé sia la tradizione liberale che quella di sinistra e socialista.
È con il ’45 quindi, e con la vittoria degli Alleati contro il nazifascismo (e quindi con la vittoria della risposta liberal-riformistica alla rivoluzione su quella totalitaria), che la contrapposizione tra destra e sinistra conquista un rango compiutamente centrale e dominante su scala globale nella forma della contrapposizione tra il capitalismo liberale a guida americana e il socialismo di stampo sovietico, tra due ideologie universalistiche nate da due rivoluzioni diverse10, ma anche varianti interne alla stessa tradizione culturale.
Certo, il ventaglio della sinistra è molto ampio perché ci sono soggetti e movimenti che non s’identificano per nulla con lo statalismo e la struttura dispotica (la “dittatura del proletariato”) del socialismo sovietico e lo criticano aspramente, ma anch’essi presuppongono un quadro globale che ruota tutto intorno a questo conflitto e propone lo scontro tra destra e sinistra come asse fondamentale dell’epoca.
E nello stesso tempo è difficile negare che tale contrapposizione, per quanto impersonata ormai da attori almeno in parte extraeuropei, è nata dal cuore della tradizione europea e sarebbe impensabile senza la Rivoluzione francese, di cui la Rivoluzione bolscevica si presenta come l’erede coerente e radicale11. Il marxismo, che con le sue diverse e contrastanti versioni costituisce la dottrina del mondo socialista, è una filosofia nata nel cuore della modernità europea dell’Ottocento, e la sua versione leninista costituisce un ponte di collegamento tra questa tradizione europea e paesi che provengono da tradizioni e storie del tutto diverse. I ritratti di Marx ed Engels assistono silenziosi e impettiti alle sfilate del Primo maggio a Mosca e Pechino. Paradossalmente lo scontro tra capitalismo liberale e socialismo statalista rappresenta il momento di massima espansione dell’egemonia della cultura politica occidentale sull’intero pianeta.
Certo, tale egemonia si articola adesso attraverso un conflitto acuto tra libertà e uguaglianza, una vera e propria guerra fredda, ma essa offre una prospettiva per il futuro anche a paesi estranei alla cultura dell’Occidente e finisce per permeare le élites di molti di quei paesi, formatesi nelle metropoli coloniali dove hanno appreso sia il verbo della lotta anticoloniale che quello della rivoluzione marxista.
Si tratta di un intreccio singolare tra la compiuta ma sempre più critica affermazione del primato globale dell’Europa e la diffusione delle idee rivoluzionarie nate dal fianco radicale della sua cultura. È questa la ragione per cui con la crisi e il crollo del socialismo reale inizia una fase storica che vede il decli...

Indice dei contenuti

  1. Prologo. La coerenza di Mary
  2. 1. La frattura destra/sinistra: il declino di un’egemonia
  3. 2. La globalizzazione è molto più che un gioco a somma zero
  4. 3. La sinistra radicale: profetismo e catastrofismo
  5. 4. La sinistra dei diritti
  6. Epilogo. La “costruzione del popolo”