Sociologie della comunicazione
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Sociologie della comunicazione

  1. 304 pagine
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Sociologie della comunicazione

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Abbracciando un ampio arco temporale, questo manuale ricostruisce l'evoluzione della comunicazione umana e gli approcci, prevalentemente sociologici, che l'hanno analizzata. La novità del volume è l'attenzione ad ampio raggio con cui viene inquadrata la disciplina, combinando insieme la storia della comunicazione e le sue teorie. Il libro si sofferma in particolare su figure o problemi chiave che segnano tappe di snodo fondamentali lungo la strada evolutiva della comunicazione, e mette così in luce alcuni eventi che, sebbene di grande rilevanza per la storia del gusto, delle mode e delle stesse strutture comunicative, raramente trovano spazio nei manuali tradizionali. Più in particolare, Alberto Abruzzese tratta dei processi di modernizzazione, della nascita delle comunicazioni di massa, dello sviluppo dell'industria culturale, delle ricadute dell'evoluzione tecnologica nel periodo dalla prima Rivoluzione Industriale fino agli anni Cinquanta del Novecento, mentre Paolo Mancini affronta il tema dei mass media nella contemporaneità.

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Informazioni

Anno
2014
ISBN
9788858114100

1. Le origini della modernità

1.1. Il secolo lungo e il secolo breve

I processi culturali e comunicativi che ci accingiamo ad analizzare hanno inizio con la fase in cui il mondo occidentale ha cominciato a percepire e costruire le sue forme dell’abitare ricorrendo a energie mai attingibili prima sul piano della forza e della qualità. Grazie a una accelerazione della ricerca scientifica e tecnologica che ne è causa e effetto insieme, i mutamenti dei sistemi sociali – delle politiche di governo, delle economie e delle culture nazionali e internazionali, della vita quotidiana – trovano nuove e fondamentali risorse per intervenire sia sulla realtà sia sui modi di comunicarla e rappresentarla. Un salto epocale, dunque, e su un duplice piano: l’invenzione e sviluppo di macchine capaci di garantire apparati di produzione e consumo clamorosamente più potenti rispetto alle passate dimensioni dell’artigianato; il rapido sviluppo di nuove piattaforme espressive in grado di attribuire efficacia e funzionalità all’incremento delle relazioni e transazioni necessarie a contesti sempre più dinamici (al loro interno e al loro esterno). Giungono così a compimento tutti i processi sociali e comunicativi che dal Rinascimento in poi avevano segnato la prima fase delle dinamiche di mondanizzazione e modernizzazione messe in atto dallo sviluppo e dall’espansione dell’Occidente, sino a avviare una profonda trasformazione del mondo (di una parte almeno dei paesi del pianeta, quella più privilegiata rispetto al rimanente: le terre della morte, della paura e del dolore).
I tre capitoli in cui si articola la nostra esposizione degli anni tra la fine del Settecento e la prima metà del Novecento devono dunque sintetizzare un processo di accelerazione e intensificazione dei rapporti spazio-temporali molto complesso e variegato. Nei primi due capitoli tratteremo l’arco di processi culturali e comunicativi che dalla crisi delle forme di rappresentazione dei vecchi regimi di potere delle società aristocratiche sono arrivati, attraverso l’avvento della borghesia, ai nuovi regimi delle società industriali e di massa, occupando l’intero XIX secolo e spingendosi sino allo snodo epocale costituito dagli anni Trenta del Novecento. Nel terzo capitolo tratteremo la transizione di questi regimi – sistemi di potere e di senso moderni – verso la società tardo-moderna, quella che prende forma tra gli anni Trenta e Cinquanta, e che si spinge sino a solo due o tre generazioni prima del nostro tempo presente. Quello in cui state leggendo queste pagine.
Due capitoli per un arco di tempo che è quasi quattro volte quello coperto dall’ultimo capitolo: ecco la ragione per cui questo primo paragrafo introduttivo ha come titolo Il secolo lungo e il secolo breve. Si è utilizzata la felice formula coniata dallo storico Eric J. Hobsbawm nel definire il Novecento come «il secolo breve» (Hobsbawm 1994) e a essa si è contrapposta la formula «secolo lungo» per indicare la società industriale che, avviata alla fine del Settecento, si è pienamente affermata, pur attraverso straordinari mutamenti, nei primi decenni del Novecento. Ai primi due capitoli spetta il vasto arco di tempo in cui nasce e matura una società industriale e di massa che ha il suo centro propulsore nell’Ottocento – l’epoca della fabbrica, della metropoli e della prima industria culturale di massa – ma che, caratterizzata da mezzi di produzione e di comunicazione con una loro specifica qualità e funzione, trascina in sé i decenni precedenti e quelli seguenti, rivelandosi come un solo processo socioculturale. Nel terzo capitolo viene trattato il «secolo breve», i pochi decenni in cui si è realizzata l’esperienza in tutto novecentesca dei media, stretta tra sopravvivenze ottocentesche e il precoce avvento dei processi di destrutturazione della società industriale1. Ma essi saranno oggetto della seconda parte di questo manuale, in cui viene chiuso il percorso storico dei media e viene approfondita la loro interpretazione sociologica.
Ciascuno dei salti di civiltà compiuti nella storia ha avuto per protagonista un suo specifico soggetto: il nomade e raccoglitore, il cacciatore, il guerriero, il contadino, il cittadino, il commerciante. Sue specifiche figure gerarchiche: lo stregone, il sacerdote, il capo, il re, il tiranno, l’imperatore. Sue specifiche organizzazioni di casta o ceto o professione: il nobile, il servo, lo schiavo; il filosofo, il poeta, l’artigiano. Sue specifiche istituzioni: rituali, cerimoniali, religiose, militari, aristocratiche, democratiche. Sue specifiche configurazioni dell’abitare: la caverna, la capanna, il villaggio, la città, la megalopoli, il castello, il monastero, sino alla città rinascimentale e oltre. Infine sue specifiche forme di comunicazione e rappresentazione attraverso le tecniche di produzione del corpo, dell’immagine, della parola.
Si tratta di cogliere quali sono i soggetti sociali che, attraverso la prima rivoluzione industriale, hanno determinato la trasformazione dei mezzi di comunicazione e rappresentazione ereditati dal passato e – nell’avanzare dei processi di industrializzazione e modernizzazione della società – si sono spinti a crearne di radicalmente nuovi, più rispondenti alle necessità di sviluppo dei sistemi territoriali e politici, operativi e simbolici, di loro appartenenza. Per fare questo dobbiamo riuscire a sintetizzare – dato che si tratta di fenomeni di grande estensione e complessità – quali sono state le prime grandi modificazioni dei linguaggi tradizionali, intendendo qui per tradizionali le condizioni socioculturali di lunga durata che, in tempi molto brevi, hanno subìto la discontinuità dei processi di industrializzazione e la loro natura «rivoluzionaria». Dobbiamo quindi spiegarci il quando, il perché e il come ha avuto inizio la nuova definizione – ovvero la nuova mediazione, la «rimediazione» (Bolter e Grusin 1999) – di forme espressive che erano il frutto di millenni di storia (Williams 1981).
In estrema sintesi le possiamo distinguere in tre zone: la messa in scena dal vivo (dalle performance dei rituali primitivi al teatro greco-romano, dal teatro sacro medievale al teatro rinascimentale e alle feste urbane, sino agli spettacoli barocchi); la scrittura (che, arrivata a essere riprodotta meccanicamente grazie a Gutenberg e allo sviluppo della stampa, aveva iniziato un processo di espansione e penetrazione sociale con la diffusione delle prime gazzette settecentesche, facendosi espressione di una opinione pubblica allo stato nascente); le arti figurative (pittura e scultura; ma anche l’immagine che sempre grazie alla stampa era entrata nel vivo dei processi di socializzazione protoindustriali; e anche ogni altro artefatto rituale o decorativo che, dalle sue lontane radici primordiali, era arrivato alla perizia tecnica e commerciale dell’artigianato richiesto dalla domanda delle classi abbienti o al carattere ordinario dell’artigianato necessario alle classi povere). Dal puro e semplice accostamento di queste tre zone, risulta subito chiaro quanto sia difficile praticare una separazione netta tra l’una e l’altra.
Se la messa in scena dal vivo ha un carattere effimero, non altrettanto effimeri sono i testi che nel teatro ne costituiscono la base scritta; o le strutture fisiche, architettoniche e urbane in cui si realizzano spettacoli e feste; o le immagini con cui pittori o disegnatori ne hanno fissato il loro «essere avvenute» per futura memoria. Così pure, se la scrittura ricorre a un codice alfabetico che prende vita in base a un procedimento cognitivo della mente, la sua effettiva realizzazione in termini di rappresentazione e comunicazione finisce per essere una forma in tutto particolare di messa in scena immaginaria di luoghi, azioni e oggetti. Infine, la zona delle arti figurative, nella accezione estesa di manufatti, ha a che vedere con l’insieme di modelli concreti e astratti, stratificatisi nel tempo, distrutti o sopravvissuti o recuperati in relazione ai significati di volta in volta attribuiti dai contesti sociali che hanno interpretato e riordinato il loro progressivo accumulo sul proprio territorio. Tale riqualificazione dei prodotti del passato nei processi di produzione sociale del presente segue criteri gerarchici – culturali: storici, estetici, funzionali – in un quadro di valori tendenzialmente omogeneo ai canoni del proprio tempo (al quadro specifico di conflitti che negoziano tali canoni). Anche questa zona delle forme di rappresentazione e comunicazione sociali non avrebbe quindi modo di costruire alcun significato e alcuna relazione se non immersa nelle altre due zone.
Messa in scena dal vivo, scrittura, arti figurative. Per immaginarci quanto queste tre zone vadano viste l’una in funzione dell’altra può essere utile richiamare la nozione di semiosfera elaborata da Jurij M. Lotman nell’ambito degli studi semiotici della Scuola di Tartu2, teoria dell’evento comunicativo (e dunque della cultura in quanto «insieme» dinamico di eventi comunicativi) che, presupponendo piani espressivi sempre aperti in un processo di relazioni intertestuali e extratestuali, ha individuato, anticipandone le ragioni, persino lo sviluppo ipermediale dei mezzi di comunicazione che caratterizzerà la dimensione digitale dei media elettronici (Lotman 2006).
In sostanza si tratta di tre piani dell’esperienza individuale e collettiva, pur diversamente vissuti dai soggetti che la compongono in un determinato contesto sociale, nelle determinate condizioni del tempo e dello spazio in cui tale contesto si colloca. Tre piani come parti interconnesse dello specifico sistema che ne costituisce il «mondo», definendone i suoi mutamenti interni e le sue relazioni con altri mondi. Messa in scena, scrittura e arti si tramandano nel tempo e nello spazio, si traducono in nuovi modi di rappresentazione e comunicazione a misura dei mutamenti che ne pretendono la trasformazione, a volte gradualmente a volte con violenza. Qui la logica occidentale che siamo costretti a seguire, sapendo tuttavia che essa è una versione in tutto parziale del mondo, e qui l’innesto tra tradizione e innovazione che ne caratterizza lo sviluppo sino ai nostri giorni.
La messa in scena dal vivo sfocia nei modi di comunicare e rappresentare adottati dai nuovi spazi della città sconvolta e trasformata dallo sviluppo industriale, e dalle sue specifiche forme di spettacolo e intrattenimento collettivo; la scrittura sfocia nelle strutture narrative consentite dalle innovazioni tecnologiche dell’editoria di massa, determinando la nascita del romanzo moderno, la stampa illustrata, l’informazione giornalistica; le arti figurative sfociano a loro volta nell’epoca della riproducibilità tecnica e nella conseguente invenzione di nuovi modi di costruire ambienti di vita e veicolarne le immagini. Questo è il percorso che abbiamo di fronte, anche se il quadro dei linguaggi in procinto di entrare nella fase della loro industrializzazione è ben più esteso e articolato di quanto risulti dallo schema appena esposto (e di quanto noi potremo documentare), poiché la semiosfera che li comprende in sé risulta ovviamente assai più «popolata» di altre forme espressive con loro forti caratteri distintivi.
In primo piano, c’è un linguaggio di massimo rilievo come la musica: un luogo di intrattenimento sociale emerso in modo particolare proprio con il nascere della modernità sei-settecentesca (da Bach3 a Mozart, si misura il passaggio dalla religiosità alla mondanità, dalla Chiesa alla corte e al teatro dell’Opera), e poi con l’ingresso delle pratiche musicali della composizione, della esecuzione e dell’ascolto nei loro primi processi di urbanizzazione (dalla sala di corte e dal salotto aristocratico-borghese agli spazi pubblici) e di automazione (le prime «macchine della musica» che entrano a far parte dei luoghi di festa e di intrattenimento popolare)4. Né si deve dimenticare che il ruolo specifico dell’espressione musicale, in grado di potersi emancipare dalla parola (protagonista nella musica religiosa) e dalla vista (molto attiva nel teatro lirico), tra Settecento e Ottocento tende a privilegiare il genere sinfonico e quello da camera, più fortemente affidati all’udito, insieme astratta e sensoriale, interiore e ambientale, individuale e immersiva. Questa specificità del linguaggio musicale – pur sempre basato su un testo scritto anche se affidato non a un codice alfabetico bensì ai codici grafici dello spartito, le note – sarebbe diventata l’estremo obiettivo da raggiungere per le culture romantiche, tese a ottenere analoghi risultati nella resa musicale del verso e del ritmo del componimento poetico e del suo ascolto. Per le stesse ragioni – l’impatto tra il carattere aereo della musica e il carattere materiale, pesante e opaco, resistente e apparentemente senz’anima, del mondo reale – la musica avrebbe svolto un ruolo di punta agli albori preromantici e romantici dell’estetica come filosofia delle forme dell’arte5 (da Baumgarten a Wackenroder6).
Ma, entrando più in dettaglio nella zona che abbiamo individuato come spazio delle arti figurative, c’è il linguaggio dell’architettura e dell’urbanistica, che, dopo fasi di lunga durata, segnate da processi di corrosione affidati al corso di intere civiltà, si appresta ad affrontare le trasformazioni di breve periodo, gli sventramenti e le nuove strutture abitative e viarie che la vecchia città dovrà subire e avviare per ospitare, regolare e sorvegliare l’afflusso caotico delle masse. Lo spazio sociale è un campo di forze tra soggetti e oggetti le cui relazioni sono indotte a produrre condivisione dei valori con cui marcare il territorio, dotarlo di senso identitario, organizzarne la vita pratica e simbolica, misurare i tempi necessari a percorrerlo e a raggiungere altri territori, definendo in tal modo la propria dimensione relazionale come relazione spazio-temporale. Tutto ciò fa parte di una architettura del territorio che è solo in parte visibile attraverso l’architettura solida degli edifici e delle strade, ma può essere assai meglio individuata nel linguaggio dei corpi, negli oggetti di arredo con cui i corpi ornano se stessi e i propri ambienti di vita privata e pubblica, dunque nelle loro mode, in quanto modi d’essere in società delle singole persone. Modi d’essere che – dalle delimitazioni rigide, statiche e invalicabili dei regimi di casta aristocratici, delle abitudini popolari, e delle divise ecclesiastiche e militari – si apprestano a entrare nei nuovi spazi urbani del lavoro e del tempo libero industriale, assumendo forme sempre più dinamiche rispetto ai costumi e agli stili tradizionali: a partire dal dandismo7 dell’abbigliamento e del comportamento assunto dalle élite creative già alla fine del Settecento e nei primi decenni dell’Ottocento; fino alla progressiva estetizzazione della vita quotidiana che culminerà a cavallo tra Ottocento e Novecento con il progetto di riqualificazione artistica della produzione in serie della fabbrica (l’Art Nouveau), prima anticipazione del piano pratico e insieme utopico del design novecentesco (il «progetto moderno»).
Su tutta questa varietà di linguaggi si tornerà più avanti in dettaglio, per analizzare giornalismo, cinema, radio e Tv. È proprio questa molteplicità di spazi, azioni e oggetti situati, dotati di un vivo radicamento territoriale, a essere veicolata dai media attraverso la nuova configurazione con cui ciascuna delle loro piattaforme espressive la rappresenta, dunque nella forma territoriale del proprio specifico modo di produzione e consumo della realtà sociale. In questo senso ci sembra prioritario il riferimento all’architettura e all’urbanistica, in quanto forme sostanziali, materiali e simboliche, con cui una determinata popolazione di individui si rappresenta e comunica, stabilisce relazioni e produce significati attraverso i modi d’essere, di esserci, del proprio territorio di appartenenza. I modi in cui un insieme di esseri umani, una società di individui, lo costruisce. È da qui che i conflitti (sul piano degli interessi personali, di ceto e di classe) e i regimi di governo (sul piano ideologico, giuridico, politico, istituzionale del controllo e del consenso) sono andati producendo modelli sempre più strutturati di organizzazione del tempo e dello spazio. E questa struttur...

Indice dei contenuti

  1. Introduzione. Il lungo passato
  2. I processi di modernizzazione e la nascita della comunicazione di massa
  3. 1. Le origini della modernità
  4. 2. La metropoli, il cinema e le avanguardie
  5. 3. Mass media, miti e teorie dell’industria culturale
  6. I mass media nella contemporaneità
  7. 1. Europa e Stati Uniti a confronto
  8. 2. Cultura di massa e opinione pubblica: il pessimismo europeo, e non solo europeo
  9. 3. Un cammino accidentato: le teorie sugli effetti della comunicazione di massa
  10. Epilogo. I «new media» e la società delle reti
  11. Riferimenti bibliografici