Eros e virtù
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Eros e virtù

Aristocratiche e borghesi da Watteau a Manet

  1. 160 pagine
  2. Italian
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  4. Disponibile su iOS e Android
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Eros e virtù

Aristocratiche e borghesi da Watteau a Manet

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In questo affascinante excursus scorre la vita amorosa, erotica, coniugale tra Settecento e fine Ottocento.Nel Settecento le donne delle famiglie aristocratiche e delle corti godevano di una libertà sessuale che le loro nipoti ottocentesche nemmeno si sognavano. Conclusione dell'autore: la disuguaglianza di genere non è – ancora oggi – il lontano residuo di tempi antichi bensì un elemento essenziale delle concezioni che fondano l'Occidente. Da qui la difficoltà di rimediarvi. Corrado Augias, "Il Venerdì di Repubblica"

Interi mondi simbolici si aprono dentro lo spazio di una rappresentazione visiva. Nei grandi quadri di Watteau e di Manet, di Sargent, di Millais e di Velázquez, Banti scopre, da storico, il modo in cui le élites sociali e culturali concepiscono i rapporti di genere, l'amore, la sessualità.

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Informazioni

Anno
2018
ISBN
9788858133910
Argomento
Storia

II.
Il balcone

1. Asimmetrie di genere

Tre persone affacciate a un balcone ci stanno davanti assorte, distanti, del tutto perse nei loro pensieri. Guardano verso l’esterno, intanto che un velo di astratta tristezza si posa sui loro visi. Ci piacerebbe tanto sapere cosa sta passando nelle loro menti. Hanno appena interrotto una conversazione? Stanno per dirsi addio? O semplicemente stanno oziando, e guardano la gente e le vetture che passano, o il panorama che si offre loro, là davanti, per strada o in aperta campagna? Non lo sappiamo. Nessun elemento di sostegno ci consente di scoprirlo. È così che si offre al nostro sguardo Il balcone di Manet: meraviglioso ed enigmatico [Fig. 12].
Édouard Manet, Il balcone
Fig. 12. Édouard Manet, Il balcone, 1868-69, olio su tela, 170x124,5. Parigi, Musée d’Orsay.
Ciò significa che questo quadro è una fonte iconografica irrimediabilmente persa per lo storico? Penso proprio di no. Lasciamo perdere, almeno per il momento, le vie che potrebbero portare al cuore dei tre personaggi ritratti, per noi inaccessibili, e guardiamo invece a quanto di più superficiale possiamo trovarvi: i vestiti e le acconciature. Vi scopriremo una traccia documentaria sorprendentemente ricca di suggestioni.
Le due donne hanno degli abiti meravigliosi, di un bianco abbagliante, vaporosi, pieni di disegni fatti di ricami e di trine: con sé hanno anche un ventaglio, un ombrellino e un cappello con una decorazione floreale. L’uomo, invece, è vestito in modo molto più austero, con una camicia bianca che risalta contro il completo nero, mentre una cravatta di un blu molto scuro si staglia sulla camicia. È una divaricata sintassi dell’apparenza quella che si impone al nostro sguardo. Ciò che la lingua della moda ci dice, a chiare lettere, è che uomini e donne sono diversi, profondamente diversi gli uni dalle altre.
Bella scoperta, si dirà. Già: ma il punto è che non è sempre stato così. Fino al Settecento gli abiti maschili e quelli femminili, pur differenti, avevano molti elementi in comune: tra le élites, le gorgiere, le crinoline, i tessuti dei medesimi colori – rosa, azzurro o verde pastello – erano impiegati sia dagli uomini che dalle donne. Stesso discorso per le acconciature, con l’uso dei capelli lunghi o delle parrucche. Differenze superficiali? Aspetti marginali e trascurabili dell’esistenza? Non tanto: giacché queste differenze nei modi di vestirsi segnalano trasformazioni epocali nelle pratiche sociali, nelle modalità di relazione e nei sistemi etici che adesso strutturano la vita privata delle élites.
In effetti, tra la fine del Settecento e l’inizio dell’Ottocento la sintassi dell’apparenza prende direzioni diverse: gli uomini portano i capelli corti e indossano vestiti in fondo non tanto differenti da quelli che si usano adesso, all’inizio del XXI secolo: pantaloni, camicia, giacca, a volte un gilet, a volte una cravatta. Le signore, invece, sia quando stanno a casa, sia quando escono, indossano capi d’abbigliamento a volte bellissimi, ma impegnativi, pesanti, difficili da portare. Di che cosa ci parla questa divaricata sintassi dell’apparenza? Ci parla di una profonda distanza nei ruoli di genere, scandita dalla differenza degli impegni a cui gli uomini e le donne sono chiamati nella società borghese del XIX secolo.
Sin dall’inizio dell’Ottocento i borghesi hanno bisogno di vestirsi in modo pratico, perché hanno cose da fare fuori di casa: devono prendere vetture, spostarsi, andare al lavoro, parlare di politica, incontrare gli amici in luoghi che sono riservati esclusivamente agli uomini, come i club, i circoli o i caffè.
E le signore che cosa fanno? Di sicuro non si occupano di politica, giacché là dove esistono parlamenti rappresentativi non hanno il diritto di voto. D’altronde, da ragazze non vengono indotte nemmeno a percorrere tutto il training educativo fino ai livelli superiori e all’università; semmai vengono spinte a imparare a suonare il pianoforte, a cantare, o a fare elaboratissimi lavori di cucito. Di certo, poi, non sono incoraggiate a lavorare, specie se appartengono a una famiglia di classe medio-alta, giacché il loro vero lavoro dev’esser quello di stare a casa ad attendere il capofamiglia, il breadwinner, colui che si occupa (almeno lo si spera) della prosperità e del benessere del nucleo familiare.
Un’imponente letteratura pedagogica non cessa di rimarcare, per tutto l’Ottocento, quali siano i doveri di una donna. Un leader politico democratico della statura di Mazzini non ha dubbi nell’osservare che «la Famiglia è la Patria del cuore» ed è vivificata dalla presenza di un «Angelo della Famiglia: [...] la Donna. Madre, sposa, sorella, la Donna è la carezza della vita»1. Jules Michelet è d’accordo con lui: la donna «è colei che a venti, a trent’anni, e per tutta la sua vita, infonderà ogni sera nuovo vigore al marito quando tornerà stanco dal lavoro, e farà rifiorire i suoi interessi, le sue attenzioni inaridite. È ancora colei che, nei giorni tristi, quando il cielo è oscuro e tutto pare abbia perso ogni incanto, lo riporterà a Dio, al senso di Dio, tenendolo abbracciato sul suo seno»2.
E se le cose stanno così, è perché le donne «si danno quasi sempre non cieche di passione, ma al fine di secondare il loro destino di donna, di assicurarsi l’amore dell’uomo e crearsi una famiglia, si danno per tenerezza verso di lui, per il nobilissimo bisogno che hanno di dedicarsi a qualcuno». Dopodiché la donna – essere veramente angelico – non si occuperà solo del marito, ma anche dei figli: «è questa la ricompensa, il prezioso equivalente delle sofferenze e dei pericoli che la donna è costretta ad affrontare per amore»; ed infatti, dopo un parto non c’è vista più sublime di quella di una donna che allatta, poiché nell’allattamento l’amore per l’uomo che l’ha amata e quello per il bambino, che insieme hanno generato, si confondono inestricabilmente in un unico mistico sentimento3.
Tutto ciò non può che avvenire nello spazio della domesticità, che adesso, nelle case borghesi dell’Ottocento, si articola in una nuova dislocazione degli ambienti domestici, accogliente e funzionale: le stanze riservate ai momenti integralmente privati – le camere, i bagni – sono in una zona più difficilmente accessibile della casa; nell’area più vicina all’ingresso c’è il salotto, più o meno grande, ma sempre dotato di sedie, poltrone, divani, giacché è il luogo destinato alla socialità domestica, dove di solito si ricevono gli ospiti che vengono dall’esterno. Peraltro è anche uno spazio adatto a celebrare ritualmente la «santità» della famiglia borghese. Lo si fa, per esempio, a Natale, con lo scambio dei doni, l’albero illuminato dalle candele, le ghirlande che addobbano finestre e pareti, e l’invenzione di Santa Claus (o Babbo Natale) per i bambini – una moda ottocentesca che viene dalla Germania e che ha un inarrestabile successo in tutta Europa.
Chiuse in questo spazio, le donne borghesi si occupano dunque della gestione della casa, studiano canto o pianoforte, oppure ricamano e cuciono, mentre badano ai bambini e alle bambine. E poi cos’altro fanno? Incontrano persone esterne alla famiglia, ma sempre dentro lo spazio domestico: conoscenti, amici, parenti, fidanzati, spasimanti, con i quali dialogano amabilmente nel salotto o in veranda. Talvolta alcune donne colte e determinate continuano a organizzare ricevimenti a cui partecipano intellettuali e scrittori. Le più volitive possono persino fare viaggi da sole, anche molto lontano dagli ambienti domestici. Ma sono esempi piuttosto rari. Nella maggior parte dei casi le donne borghesi escono, sì, ma accompagnate dalla figlia o da un’amica, per andare a fare compere, a visitare i negozi, a perdersi nei grandi magazzini.
Si tratta di una pratica più importante di quanto non sembri a prima vista, come notano già i contemporanei più sagaci. Émile Zola scrive un bellissimo romanzo che narra una storia ambientata in un grande magazzino ispirato a un modello reale: il Bon Marché, il grande emporio parigino la cui nuova sede viene inaugurata nel 1869, giusto nell’anno in cui Manet esibisce Il balcone al Salon. Significativamente, il nome che Zola dà al grande magazzino nel quale si svolge la sua storia è Al Paradiso delle Signore, che è anche il titolo del libro, pubblicato nel 1883. Zola ha visto bene il fenomeno: lo shopping è lo spazio delle signore, uno dei loro più importanti momenti di piena libertà.
E va bene. Però, com’è mortificante questo sistema ottocentesco delle relazioni di genere! Gli uomini si occupano di politica, di questioni intellettuali, sono i breadwinners, quelli che guadagnano il pane per tutta la famiglia, e se di sicuro devono affrontare delle difficoltà sul lavoro, talora ne ricavano anche delle belle soddisfazioni.
E le signore? Le donne di classe medio-alta? Senza dubbio vivono in modo confortevole: ambienti ricchi, accoglienti, nei quali però sono imprigionate, senza potersi esprimere in forma creativa con una propria attività, senza un lavoro che garantisca loro una maggiore autonomia economica. E anzi, proprio se sono di classe medio-alta il loro non lavorare è un segno ricercato ed esibito del benessere sociale della famiglia. Gli stessi vestiti che indossano sono adatti a persone che non devono muoversi rapidamente, che non hanno bisogno di prendere al volo la carrozza per andare in Borsa, in Parlamento, al club, nel luogo di lavoro.
Questi vestiti femminili ottocenteschi, s...

Indice dei contenuti

  1. Introduzione
  2. I. L’insegna di Gersaint
  3. II. Il balcone
  4. Bibliografia
  5. Referenze iconografiche