Il professore nella scuola italiana dall'Ottocento a oggi
eBook - ePub

Il professore nella scuola italiana dall'Ottocento a oggi

  1. 214 pagine
  2. Italian
  3. ePUB (disponibile sull'app)
  4. Disponibile su iOS e Android
eBook - ePub

Il professore nella scuola italiana dall'Ottocento a oggi

Dettagli del libro
Anteprima del libro
Indice dei contenuti
Citazioni

Informazioni sul libro

«La storia del docente è anche la storia dell'organizzazione scolastica secondaria, della prassi didattica più o meno rinnovata, dei rapporti e della cooperazione fra colleghi e della reciproca interazione fra scuola e vita sociale, nonché delle relazioni con gli organi di governo dell'istruzione pubblica».Dalle leggi piemontesi del 1729 che, sia pure parzialmente, laicizzarono l'istruzione pubblica, passando per il Risorgimento, l'Unità d'Italia e fino agli sviluppi più recenti dello Stato repubblicano: Antonio Santoni Rugiu e Saverio Santamaita rileggono i momenti fondamentali della storia della scuola in Italia centrata sulla figura del docente, ancora oggi priva del giusto valore sociale.«Con il risultato paradossale che, nella cosiddetta società della conoscenza e della centralità del capitale umano, una sorta di maledizione originale grava sul professore, considerato – quasi per definizione – inadeguato al suo compito».

Domande frequenti

È semplicissimo: basta accedere alla sezione Account nelle Impostazioni e cliccare su "Annulla abbonamento". Dopo la cancellazione, l'abbonamento rimarrà attivo per il periodo rimanente già pagato. Per maggiori informazioni, clicca qui
Al momento è possibile scaricare tramite l'app tutti i nostri libri ePub mobile-friendly. Anche la maggior parte dei nostri PDF è scaricabile e stiamo lavorando per rendere disponibile quanto prima il download di tutti gli altri file. Per maggiori informazioni, clicca qui
Entrambi i piani ti danno accesso illimitato alla libreria e a tutte le funzionalità di Perlego. Le uniche differenze sono il prezzo e il periodo di abbonamento: con il piano annuale risparmierai circa il 30% rispetto a 12 rate con quello mensile.
Perlego è un servizio di abbonamento a testi accademici, che ti permette di accedere a un'intera libreria online a un prezzo inferiore rispetto a quello che pagheresti per acquistare un singolo libro al mese. Con oltre 1 milione di testi suddivisi in più di 1.000 categorie, troverai sicuramente ciò che fa per te! Per maggiori informazioni, clicca qui.
Cerca l'icona Sintesi vocale nel prossimo libro che leggerai per verificare se è possibile riprodurre l'audio. Questo strumento permette di leggere il testo a voce alta, evidenziandolo man mano che la lettura procede. Puoi aumentare o diminuire la velocità della sintesi vocale, oppure sospendere la riproduzione. Per maggiori informazioni, clicca qui.
Sì, puoi accedere a Il professore nella scuola italiana dall'Ottocento a oggi di Antonio Santoni Rugiu, Saverio Santamaita in formato PDF e/o ePub, così come ad altri libri molto apprezzati nelle sezioni relative a Education e Educational Policy. Scopri oltre 1 milione di libri disponibili nel nostro catalogo.

Informazioni

Anno
2014
ISBN
9788858118016
Argomento
Education

1. Il professore nel vecchio Piemonte

1.1. La parentesi napoleonica

Le scuole chiamate medie e poi secondarie ricevettero nel vecchio Piemonte un primissimo ordinamento da Vittorio Amedeo II con le Costituzioni del 1729, che le avocarono al parziale controllo dello Stato, mantenendo però l’impianto pedagogico-didattico dei gesuiti: tre classi di grammatica inferiore, dette anche di «latinità», poi una quarta di grammatica superiore, una quinta di «umanità» e una sesta di «rettorica». L’«umanità» avviava ai classici latini, la «rettorica» insisteva sulla dettatura e raccolta di detti memorabili degli antichi e la composizione in versi latini e infine librava il giovane nell’olimpo dell’eloquenza latina, attraverso «accademie» d’oratoria fra alunni. Al corso secondario si aggiungevano a volte i due anni dei corsi di teologia e di filosofia, per la formazione dei sacerdoti più colti e destinati alla carriera ecclesiastica, nonché i fondamenti della matematica e fisica, purché approvati dal magistero della Chiesa. I professori erano allora tutti ecclesiastici, specie gesuiti. Spiegavano e interrogavano, ascoltavano le confessioni degli alunni, celebravano quotidianamente la messa nella cappella della scuola e i «divini uffizî» nella Congregazione della domenica; ogni giorno di scuola comprendeva mezz’ora di letture dal libro delle preghiere, il canto del Veni Creator Spiritus e del Mattutino, laudi e uffizio della Beata Vergine, cui seguiva un ammonimento di morale e infine inni o salmi. L’instaurazione nell’animo dell’alunno del timor di Dio costituiva l’incipit e il fine della scuola. Sugli alunni vigilava per questo il «Direttore spirituale», senza il cui trimestrale placet non si davano esami e, se recidivi, si veniva espulsi da scuola. Per il comportamento degli alunni, a scuola e fuori, era prescritto un formulario molto nutrito di divieti; ai trasgressori, prima la sospensione e poi l’espulsione finale.
Nel regno di Sardegna si istituì la «patente» per gli insegnanti secondari, decretata dal Magistrato della Riforma, cioè dal collegio supremo per l’istruzione. Le prove di patente venivano sostenute presso il professore d’Eloquenza latina dell’Università di Torino, esenti solo i religiosi già diplomati in Teologia. Amedeo II, non volendo riformare il fine pedagogico né la metodologia delle scuole ecclesiastiche, avocò a sé la legittimazione degli insegnanti pubblici, anche se ecclesiastici, prologo di quella azione che, con alterne vicende, perverrà nel 1848 all’abrogazione del monopolio ecclesiastico sulle scuole pubbliche e alla cacciata dei gesuiti dal Piemonte.
L’occupazione napoleonica in Italia getterà più tardi semi fecondi. La scuola veniva allora divisa in primaria e secondaria, secondo lo schema già deciso dal Direttorio francese, che in sei anni andava, come nell’ancien régime, dal leggere e scrivere all’arte oratoria. Ma sia nella primaria (se e quando c’era; infatti non era ancora istruzione elementare vera e propria ma un’iniziativa facoltativa dei comuni), sia nella secondaria, le lettere erano al vertice. Successivamente furono introdotti nuovi insegnamenti: l’italiano, la storia civile (integrativa della storia sacra) e i doveri e diritti del cittadino. In sostanza, era una parziale correzione all’indirizzo gesuitico, ottenuta grazie all’introduzione delle nuove materie e alla sostituzione del culto per le vite dei santi con la venerazione per gli eroi civili della fratellanza e uguaglianza umana. Alle vite dei santi subentrarono così le Vite parallele di Plutarco.
Le pratiche religiose erano mantenute, prescritta la tolleranza per gli altri culti; permanevano nelle scuole pubbliche il Direttore spirituale e l’attività liturgica, ma lo spirito era quello del collegio militare. Le operazioni della vita collegiale erano segnate dal tamburo, gli alunni divisi in compagnie e i capiclasse e capisquadra divenivano caporali e sergenti. «La gloria delle armi è all’apice dell’umana grandezza» allora si diceva. Alla pedagogia gesuitica si sostituiva la pedagogia di caserma, sempre obbedienza e disciplina cieche. Il fine era la formazione di una classe dirigente garante dell’ordine civile e religioso. La novità era forse che l’istruzione letteraria non era più valore assoluto ma, sebbene importante, solo un aspetto della formazione e che sempre più contavano la scienza e i movimenti sociali. I docenti, anche universitari, si attenevano strettamente ai programmi, ai testi approvati e ai metodi consacrati, pena la destituzione.

1.2. Il professore restaurato

Nel 1814 Vittorio Emanuele I di Savoia, restaurato sul trono, abrogava tutti i provvedimenti napoleonici e ripristinava la Regia Costituzione del 1771 e i Regolamenti del 1772, ovvero l’ancien régime dell’istruzione sotto il binomio «Trono e Altare». Così la ricostituita Compagnia di Gesù riprese la guida dell’istruzione pubblica, dalla quale epurò gli insegnanti sgraditi; il miscuglio del vecchio col nuovo indusse presto una grande confusione. A farne le spese furono appunto gli insegnanti non preparati né per una scuola rinnovata né per il restauro dell’antica e comunque poco pagati, come osservava una relazione del 1820 al Magistrato della Riforma, cioè al ministro dell’Istruzione. I professori furono richiamati dal Regolamento del 1822, ispirato dai gesuiti, «all’unità dei metodi e dei fini»; se non erano sacerdoti, dovevano almeno essere seminaristi già ordinati chierici e se lasciavano l’abito perdevano ipso facto l’insegnamento, senza diritto alla pensione. Le patenti erano concesse dall’Università di Torino ma divenivano esecutive solo dopo l’attestato del vescovo. Disposizioni severe vigilavano anche sulle amicizie, sulle relazioni e sulle letture del chierico. Tuttavia, a tanto zelo di controllo non corrispondeva un’ordinata vita scolastica. I professori sacerdoti, per via dei loro impegni di chiesa, lasciavano a volte la scuola prima del tempo o si presentavano con forte ritardo alla riapertura.
Le lezioni spesso si tenevano in piemontese perfino per le classi superiori; qualche docente consigliava agli alunni un dizionarietto latino-piemontese. Gli alunni venivano divisi in squadre secondo il quartiere d’abitazione e, al comando di un «decurione», ragazzo scelto dal Direttore, venivano fatti marciare inquadrati fino a casa. Era previsto anche l’intervallo fra l’uscita delle diverse squadre: quattro minuti esatti. Il Regolamento del 1822 cercò di lenire le condizioni dei professori laici: con una mano si concedeva loro un poco più di retribuzione, grazie alla riscossione delle tasse o «minervali» degli studenti, introdotte pure in Piemonte, con l’altra si vietavano le lezioni private e le «propine», che per tradizione i professori riscuotevano brevi manu dai propri alunni prima dell’esame1. Inoltre, l’aumento era dimezzato per i preti dotati di beneficii ecclesiastici. L’intransigenza dei riformatori agli studi era molto attenta nella repressione dei sentimenti anti-religiosi e nella caccia alle «prave dottrine» liberali.
In gruppi ristretti di docenti si avvertiva il bisogno di rinnovamento. Scrisse Troya nei suoi Quaderni di memorie scolastiche:
Io ben sentivo che quella così pomposamente detta Retorica e quei falsi sistemi di studi non proporzionati al progressivo svolgimento delle facoltà intellettuali, non erano preparatori degli studi superiori e neppure alla vita reale della famiglia e della società, né punto acconci alla gioventù. Pure allora non avrei saputo far di meglio che seguire un vago e ancora indefinito istinto, per cui studiavo di dare alla mia scuola un carattere più positivo e umano possibile, tenendo conto che non dovevo urtare contro gli scogli dei regolamenti e le costumanze dei tempi2.
L’esigenza di introdurre qualche nuovo lume anche per gli insegnanti cominciava ad affermarsi. Un certo bisogno d’aria nuova si era infiltrato anche fra i docenti ecclesiastici.

1.3. L’istruzione fatto civile e non ecclesiastico

La retorica fu abolita nel 1850, ma anche dopo si chiedeva agli alunni di saper finemente parlare e argomentare a voce e per iscritto con «acconci pensieri». Se la spinta derivante dalle classi sociali fino ad allora escluse dalla vita culturale non avesse posto in discussione le strutture scolastiche tradizionali, pedagogia e didattica gesuitiche sarebbero state ancora il modello ideale. Gli innovatori più convinti non avrebbero seriamente minacciato i vecchi metodi, se le nuove sollecitazioni sociali non avessero già incrinato la compattezza della scuola aristocratica, sollecitando forme d’istruzione più adeguate ai nuovi bisogni sociali.
Quando, attorno al 1840, le vecchie classi dirigenti si sentirono mancare il terreno sotto i piedi, credettero di trovare in un cauto riformismo il rimedio al dissolvimento; vennero reintrodotte materie del periodo scolastico napoleonico cancellate dalla Restaurazione3: storia naturale, geografia, storia profana (in aggiunta a quella sacra) e aritmetica. L’introduzione di queste nuove materie rimase spesso però lettera morta, mancando chi fosse in grado di insegnarle.
L’istruzione ricevuta nei seminari non era più all’altezza del nuovo impegno didattico e la qualità dei professori ecclesiastici andava scadendo, la loro stessa prevalenza numerica si assottigliava ed i laici erano ammessi all’insegnamento anche nelle Regie scuole. Il problema della qualità e della quantità del corpo insegnante, che tanto travaglierà la politica scolastica del regno d’Italia, ha i suoi prodromi in questi anni: nello scadere della preparazione degli ecclesiastici, inadeguati ad un nuovo insegnamento ad essi sconosciuto e considerato pernicioso, e nella carenza di un personale docente laico, pronto ad interpretare il valore sociale dello stesso nuovo insegnamento. Nella prefazione al numero uno della Guida dell’Educatore nel 1836, Lambruschini concorderà sulla preminenza da dare alla formazione dei futuri insegnanti. Ma come? L’educazione degli adolescenti ammessi alle scuole delle classi privilegiate, volutamente difesa dalla pedagogia moderna, era considerata espressione di princìpi illuministici e di tendenze rovinose per la Chiesa e per il buon ordine civile. Al professore spettava la formazione della classe dirigente futura, l’educazione alla sottomissione e ai valori civili e religiosi conformi al magistero: le autorità religiose avevano operato la loro scelta.
Ma dal 1848 la situazione sfuggirà alla tutela della Compagnia di Gesù, le iniziative dei laici la sopravanzeranno. Nel 1838 il Boncompagni tenne a Torino un corso per maestri elementari e, con Cesare Alfieri e Cavour, fondò la Società per le scuole infantili. Ciò non aggrediva il primato dell’istruzione classica, ma il fermento si estendeva, l’interesse pedagogico e sociale si andava risvegliando. Nel 1843 Carlo Alberto nominava capo del Magistero della Riforma un laico moderato, Cesare Alfieri, che poi diverrà il primo ministro della Pubblica Istruzione piemontese. Nel 1844 sorse a Torino la Società ginnastica per la teoria e pratica dell’educazione fisica come fattore di formazione civica e morale. Ma l’evento pedagogico rilevante fu che Ferrante Aporti, emigrato dalla Lombardia come prete sospetto, istituiva presso l’Università di Torino una Scuola di metodo per la preparazione dei maestri.
Vincenzo Troya, poi nominato da Carlo Alberto Commissario per la riforma dei libri di testo, non esitava ad offrirsi come insegnante. La Scuola di metodo, corso di conferenze pedagogiche e didattiche, ebbe un successo imprevisto, perché era un primo passo verso una vera riforma scolastica. La reazione dell’autorità fu pronta: l’arcivescovo inibiva agli ecclesiastici la frequenza e con lui si schieravano i conservatori. La difesa da parte dei liberali era appassionata, mentre le autorità temevano che la voglia di innovare giungesse agli insegnanti della secondaria. Con la legge del 1845, l’Università torinese istituiva per i futuri professori la Scuola superiore di pedagogia che, a differenza della più modesta ma efficiente Scuola di metodo magistrale, difesa dai maestri, conobbe la reazione violenta dei conservatori e l’indifferenza dei professori, convinti che i «marchingegni pedagogici» erano buoni per maestrucoli ma non per professori. La chiusura della Scuola di metodo non ritardò però la riforma, legata ormai all’incipiente rivoluzione civile: «la pedagogia considerata come mezzo d’indipendenza, eccitava mirabile amore in quanti nobilmente sentivano delle cose patrie»4.
Così il Piemonte giunse alle grandi riforme del 1848-49, che nel campo scolastico abolirono in ogni ordine e grado il monopolio ecclesiastico, di cui la Compagnia di Gesù era stata tenace custode. Il Parlamento approvava nell’agosto 1848 il decreto d’espulsione dei gesuiti dal territorio dello Stato; i loro beni erano confiscati e destinati ai Collegi nazionali. Il giorno dopo Carlo Boncompagni presentava alla Camera il suo disegno di legge, anticipandone lo spirito: l’istruzione e la direzione degli studi erano «ufficio non ecclesiastico, ma civile». La scuola secondaria, isolata fino al ’48 dal fermento innovatore, non poté ora estraniarsene, quando il fermento prese forma legale.
Con la legge Boncompagni muteranno spirito e strutture della scuola intermedia fra elementari e università. Tuttavia, quando la legge istituì la scuola secondaria pubblica e laica, questa si trovò spogliata dei vecchi modelli senza averne pronti di nuovi. Quali i nuovi programmi e quanti e quali i professori, quali i fini, quale didattica e quale ispirazione pedagogica rinnovata?

1.4. La rivoluzione pedagogica ideale

Formazione, scelta e cura degli insegnanti sono aspetti su cui la legislazione italiana ha inciso l’errore dalla radice, a partire dalla legge del 1848, imposta dai pieni poteri attribuiti al governo per la prima guerra d’indipendenza. Benché alla sua stesura avessero contribuito uomini di scuola e liberali, il provvedimento non andò esente, come la legge Casati di 11 anni dopo, da improvvisazioni e astrattezze. I legislatori del ’48 erano figli di quella scuola che volevano abbattere e le loro leggi erano in gran parte lodevole esercitazione d’eloquenza più che uno strumento d’innovazione pedagogica e sociale. ...

Indice dei contenuti

  1. Premessa
  2. Parte prima. Dagli stati preunitari agli anni Settanta del Novecento
  3. 1. Il professore nel vecchio Piemonte
  4. 2. Il galantuomo professore del Napoletano
  5. 3. Il regio professore italiano
  6. 4. Positivisti e anticlericali
  7. 5. Scuola e università di fine Ottocento
  8. 6. Riformisti e controriformisti
  9. 7. Verso la Grande Guerra
  10. 8. Il dopoguerra scolastico
  11. 9. La «restaurazione» Gentile
  12. 10. Il professore nella scuola democratica
  13. 11. Illusioni e delusioni
  14. Parte seconda. Dal 1980 al 2010
  15. Introduzione
  16. 1. Le trasformazioni
  17. 2. Formazione e reclutamento
  18. 3. Il professore del XXI secolo
  19. Bibliografia e sitografia