Legalità illegalità
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Legalità illegalità

Il confine pedagogico

  1. 160 pagine
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Legalità illegalità

Il confine pedagogico

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«Legalità e illegalità non sono concetti astratti: sono presenti e si mostrano nelle configurazioni e nei movimenti di qualsiasi assetto sociale e nella storia di ogni persona. Si distinguono o si confondono, riguardano gli altri o se stessi, in ogni caso costituiscono un elemento fondamentale di ogni vita collettiva e individuale. Non potrebbe essere pensata esistenza alcuna senza legalità, ma sarebbe del tutto illusorio, e probabilmente inopportuno, immaginarla totalmente esente da qualsiasi forma d'illegalità. Affrontare il tema dell'illegalità/legalità da un punto di vista pedagogico-sociale significa porre un'attenzione particolare a quelle dimensioni educative informali, diffuse, quotidiane che con la legalità e l'illegalità si incontrano ripetutamente, generando contraddizioni, criticità e conflitti. Significa, innanzitutto, constatare in quale misura, accanto all'educazione ufficiale alla legalità (praticata e/o auspicata), vi sia un'educazione all'illegalità provvista anch'essa di valori, obiettivi, didattiche formali e informali, e persino di educatrici ed educatori attivamente e proficuamente impegnati sul campo».

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Informazioni

Anno
2012
ISBN
9788858103722

1. Elementi per un’analisi pedagogica della questione illegalità/legalità

1.1. Educare alla legalità, educare all’illegalità

Ovunque e comunque

Legalità e illegalità non sono concetti astratti: esse sono presenti e si mostrano nelle configurazioni e nei movimenti di qualsiasi assetto sociale e nella storia di ogni persona. Si distinguono o si confondono, confliggono o si alleano, riguardano gli altri o se stessi, in ogni caso costituiscono un elemento fondamentale di ogni vita collettiva e individuale. Non potrebbe essere pensata esistenza alcuna senza legalità, ma sarebbe del tutto illusorio, e probabilmente inopportuno, immaginarla totalmente esente da qualsiasi forma d’illegalità.
Non a caso legalità, illegalità e i loro molti e contraddittori legami sono oggetto di riflessione e ricerca per molteplici discipline, dal diritto alla filosofia, dalla sociologia alla psicologia, ma è all’educazione, in particolare al suo comparto ufficiale e intenzionale – ossia l’insieme di pratiche formali che fanno capo direttamente alle istituzioni, dunque allo Stato nelle sue varie articolazioni – che è riconosciuta e affidata la mission (impossible?) di formare cittadini rispettosi e amanti della legalità e maldisposti nei confronti dell’illegalità e di coloro che la praticano. Amanti della legalità nella concretezza dei loro comportamenti, ordinari ed eccezionali, a prescindere da come le norme rispettate siano considerate e vissute (obiettivo minimo sufficiente); rispettosi perché sia razionalmente che affettivamente convinti della giustezza, legittimità e praticabilità delle norme (obiettivo massimo auspicabile).
Affidare la legalità all’educazione significa chiamare in causa la pedagogia, cioè quel piano riflessivo critico che pensa l’insieme dell’educazione e, alcune volte, ne organizza una parte. E solo fermandosi a un primo livello di analisi si potrebbe giungere alla conclusione che riflettere pedagogicamente attorno ai nessi tra legalità e illegalità comporterebbe schierarsi sulla linea di confine dove le due aree si fronteggiano, per presidiarla pacificamente e/o ‘militarmente’, fisiologicamente e/o ‘terapeuticamente’, affinché si individuino e si pratichino i modi più opportuni e idonei (l’educazione didatticamente più attrezzata) per far sì che le storie delle persone, infanti o adulti che siano, si edifichino e si esplicitino su un fronte piuttosto che sull’altro. In realtà, riflettere pedagogicamente sulla legalità/illegalità (i due termini non andrebbero mai disgiunti) obbliga ad attraversare molte incerte frontiere, a frequentare molti territori accidentati, ad attivare un andirivieni tra problemi di diverso tipo e spessore; obbliga altresì alla necessità di sporcarsi le mani concettualmente, e alcune volte anche praticamente, più e più volte. Sempre che l’intento dell’analisi pedagogica della legalità/illegalità non sia quello di produrre un pensiero tanto scontato quanto manicheo, tanto edulcorato quanto consolatorio, nel quale e per il quale (detto semplicisticamente, ma non superficialmente) si contempli che la legalità è sempre e comunque ‘buona’, l’illegalità è sempre e comunque ‘cattiva’ (due termini che, come altri utilizzati nel corso del lavoro, sono ovviamente da leggersi sempre virgolettati), e l’educazione sia quel moto che opera, o dovrebbe operare, ininterrottamente e idilliacamente a favore del ‘bene’ e mai del ‘male’. E sempre che non si voglia produrre un pensiero, sostanzialmente speculare al precedente, secondo il quale la legalità, quanto meno alcune sue espressioni, risulti la forma più esplicita e codificata di un sistema oppressivo/repressivo che tende a ingabbiare le possibilità di espressione delle multiformi potenzialità degli individui, mentre l’illegalità, o quanto meno alcune sue manifestazioni, venga intesa come prassi critica e/o antagonista dello status quo; in altri termini, un pensiero nel quale la legalità rappresenti il linguaggio operativo di un apparato repressivo/istituzionale e l’illegalità il segno più marcato del dissenso verso l’esistente o dell’incapacità di adattarvisi.
Analizzare pedagogicamente la questione legalità/illegalità significa, innanzitutto, constatare in quale misura, accanto all’educazione ufficiale alla legalità (praticata e/o auspicata), vi sia un’educazione all’illegalità provvista anch’essa di valori, obiettivi, didattiche formali e informali, e persino di educatrici ed educatori attivamente e proficuamente impegnati sul campo. È un’educazione diffusa e solida, non descrivibile e interpretabile, tantomeno esorcizzabile utilizzando la categoria-scappatoia del ‘disvalore’, i cui successi non sono attribuibili esclusivamente o prevalentemente all’assenza o all’inadeguatezza dell’educazione alla legalità. Un’educazione che non si trova solo in ambienti e luoghi altri rispetto a quelli dell’educazione alla legalità, bensì è presente in questi, in una trama non sempre immediatamente evidente e ricostruibile. Un’educazione che non si configura, quindi, soltanto come mondo separato e contrapposto a quello della legalità, ma vi è strettamente intrecciato e, non poche volte, sinergicamente interagente. In questo senso si rivela essenziale variare la logica di approccio al problema, passare a considerare l’illegalità non come scarto prodotto dalle disfunzioni o dall’assenza dell’educazione alla legalità, ma come pratica sociale derivante da esperienze dirette e indirette efficaci, di ‘successo’, diffuse, importanti e differenziate. Una vera e propria contro-educazione che, stante la situazione di alcuni territori o alcuni comportamenti diffusi, genera l’interrogativo su quale sia effettivamente l’educazione prevalente, se quella orientata alla legalità e all’acquisizione del pieno senso di cittadinanza, oppure quella che produce apprendimenti di segno opposto. In altre parole: qual è la vera educazione maggioritaria e quale la contro-educazione minoritaria?

Circoscrivere l’area di indagine

Per analizzare i molteplici nessi e le differenziate interazioni tra legalità e illegalità, tra educazione all’una e all’altra, le questioni che devono essere affrontate sono molte, alcune evidenti, strutturali e centrali, altre più implicite, sfumate e di confine. Questioni che riguardano l’eventuale presenza di soggetti o stati sociali a cui sarebbero elettivamente ascrivibili alcuni comportamenti illegali, o in cui si manifesterebbe un generale atteggiamento di propensione a essi (i giovani, le minoranze, le periferie, i politici ecc.); l’esistenza o meno di ambiti di esperienza individuale e collettiva nei quali è maggiore, se non certo, il rischio che l’illegalità maturi e/o si manifesti (adolescenza, povertà, trasgressione ecc.); inoltre, la disamina critica dei contenuti della legalità e delle didattiche dell’educazione ad essa. In particolare, rispetto a quest’ultima questione, si rende necessario analizzare laicamente quelle prassi intenzionali che intendono educare alla legalità, alcune volte anche riuscendoci, per coglierne non solo virtù e componenti candidabili alla replicabilità, ma anche inadeguatezze e contraddizioni, quando non vere e proprie collusioni con le pratiche che educano all’illegalità. Nello stesso tempo significa avvicinarsi a queste stesse pratiche di educazione all’illegalità altrettanto laicamente, ovvero il più possibile scevri da atteggiamenti moralistici o da disponibilità a farsi sedurre, tenendo effettivamente sotto controllo gli inevitabili pre-giudizi, negativi o positivi che siano, per cogliere le dinamiche educative essenziali, e per considerarle anche come esperienze nelle quali si possono rintracciare didattiche intenzionali o meno, per così dire, efficaci ed efficienti, che le contraddistinguono. In entrambi i casi, significa porsi la domanda se chi è mosso da intenti educativi positivamente connotati nei confronti del singolo e/o dell’umanità tutta debba educare sempre e comunque a tutte le espressioni della legalità – e conseguentemente contrapporsi a tutte le espressioni dell’illegalità – e non piuttosto, per educare alla legalità, debba alcune volte indirizzare esplicitamente contro qualche norma o sistema di norme, di conseguenza educare genuinamente anche all’illegalità, come un’analisi diacronica e sincronica dell’educazione dimostra.
Per analizzare la questione della legalità/illegalità da un punto di vista pedagogico-sociale, cioè attento alle dimensioni sociali, territoriali, informali dell’educare, è necessario delimitare e definire l’area di ricerca attorno al fenomeno osservato. A tal fine è opportuno ricorrere a una metafora geometrica e immaginare un cerchio dove il centro rappresenta l’individuo con la sua originale e irripetibile storia di vita, e la circonferenza è il limite del contesto sociale entro il quale tale individuo è collocato. Fermo restando comunque che nella contemporaneità, stanti i processi di mondializzazione e gli effetti dei mezzi di comunicazione di massa, è arduo individuare il limite di qualsiasi contesto sociale. Lo è anche se il contesto si dilata sino a sovrapporsi con il territorio di uno Stato-nazione, cioè l’entità alla quale, più di ogni altra, spetta il compito di regolamentare i rapporti tra legalità e illegalità. L’area del cerchio è costituita dal reticolo delle relazioni e dei rapporti con persone e cose materiali e immateriali. L’osservazione, realizzata attraverso le coordinate di ricerca proprie della pedagogia sociale, si ritaglia una corona circolare dalla superficie non definibile a priori. Le concrete esperienze di educazione alla legalità e/o all’illegalità devono essere, cioè, collocate nello scenario sociale più ampio possibile, superando i confini dell’esperienza individuale, ma non dilatandosi all’infinito, per tentare di trovarvi alcuni essenziali nessi di causa ed effetto tra le storie individuali e collettive di legalità/illegalità e i fattori che contribuiscono a determinare le condizioni sociali nelle quali si costruiscono. In particolare, l’intenzione è quella di rintracciare le esperienze generali di educazione all’una e/o all’altra senza apparenti o reali intenzionalità, promozione, programmazione e regia, le quali si presentano in qualità di esperienze educative sociali diffuse, trasversali, instabili e, appunto per questo, non facilmente intercettabili e governabili.
Ogniqualvolta si delimita un campo di attenzione, accanto all’inclusione in esso di fattori e fenomeni ritenuti rilevanti, si rende necessario anche escludere dall’osservazione alcuni altri fattori che entrano in gioco e agiscono, senza tuttavia che tale esclusione significhi il disconoscimento o la sottovalutazione della loro esistenza, nominabilità e importanza. Nel caso della lettura pedagogico-sociale della legalità/illegalità, rimangono esterni tutti quei fattori riconducibili a una lettura psicodinamica e clinica del fenomeno: in primo luogo quelli riguardanti le fisiologiche dinamiche intrapsichiche e interpsichiche che, all’interno di un quadro di comuni condizionamenti sociali, portano all’avverarsi di una storia originale e irripetibile; e in secondo luogo quelle che rendono alcune storie individuali e collettive di legalità e di illegalità meno lineari e spiegabili di quel che potrebbero apparire a una prima analisi – per esempio, il commettere un atto sanzionabile per l’inconscio desiderio di essere sanzionati, o i fenomeni di interscambiabilità tra la posizione di vittima e quella di carnefice, oppure alcune ‘sindromi di Stoccolma’ di cui può essere vittima una parte, anche rilevante, della cosiddetta opinione pubblica.

L’autonomia del pedagogico

Ma quale indipendenza elaborativa, progettuale e operativa ha la pedagogia nei confronti della legalità/illegalità? Può ritrovare in sé, nella propria storia teorica e nelle concettualizzazioni consolidate, le coordinate valoriali e contenutistiche necessarie e sufficienti per pensare il senso, le finalità e le strategie dell’educazione alla legalità/illegalità? Può candidarsi a qualcosa in più di un sistema che rielabora le domande sociali in ingresso al fine di trasformarle in adeguate didattiche per promuovere legalità e scoraggiare illegalità? La questione non è di poco conto: riguarda lo statuto della pedagogia e l’autonomia del pedagogico rispetto al complesso dell’educazione.
La pedagogia può essere considerata un luogo teorico-prassico di convergenza, sintesi e rielaborazione autonoma di conoscenze appartenenti in gran parte ad altre aree disciplinari. In questa prospettiva, e per gli scopi del presente lavoro, rimangono ancora un valido e dirimente punto di riferimento le considerazioni di John Dewey, quando afferma che:
non vi è una scienza particolare e indipendente dell’educazione più di quanto non vi sia una scienza di gettare i ponti. Ma il materiale ricavato da altre scienze fornisce il contenuto della scienza dell’educazione quando viene rielaborato sui problemi che sorgono nell’educazione[1].
Se altri ambiti di ricerca e altri sguardi ‘organizzati’ sul mondo forniscono vocaboli, se le esperienze educative procurano dati di realtà cui rivolgere lo sguardo e descrivere con parole dai significati condivisi, se le culture presenti in una data società di un dato periodo storico forniscono gli orientamenti, le politiche e il dettaglio dei compiti contingenti, la pedagogia ricerca in sé le regole per connettere tutti questi dati al fine di formare un discorso logico e coerente, in grado di analizzare e/o prospettare tutto ciò che riguarda l’apprendimento, ovunque esso si verifichi o si dovrebbe verificare: quindi, non solo nelle esperienze educative ufficiali e istituzionali. Tale caratteristica della pedagogia si accentua e si rivela particolarmente funzionale se il tentativo è volto a produrre discorsi attorno alla legalità/illegalità. Infatti, un qualsiasi discorso sull’illegalità che maturi in ambito pedagogico necessita di un vocabolario molto vasto di parole con il quale costruirsi. Molte di queste parole devono essere attinte, oltre che dalla stessa pedagogia, anche dalle tradizioni e dalle strumentazioni di molte altre discipline: da quelle contigue, che costituiscono il tradizionale paniere delle cosiddette scienze dell’educazione (dalla sociologia alla psicologia), ad altre a forte strutturazione (come il diritto). E, ancora, da saperi maturati in ambiti che non si possono definire vere e proprie discipline distinte e accademicamente riconosciute: quindi saperi meno codificati, più sfuggenti, ma non per questo meno essenziali e funzionali – come il sapere sull’ordine pubblico, il costume, il senso comune, l’immaginario artistico e massmediale ecc. –, che concorrono a rendere il tutto più complesso e meno governabile.
Il dover costruire un edificio con mattoni prodotti in parte da altri non rappresenta però uno svilimento della pedagogia, al contrario ne costituisce una valorizzazione. In primo luogo perché si rivela discorso che con...

Indice dei contenuti

  1. Introduzione
  2. 1. Elementi per un’analisi pedagogica della questione illegalità/legalità
  3. 2. Separazioni, continuità e commistioni tra legalità e illegalità
  4. 3. La varietà dell’illegalità
  5. 4. L’apprendimento dell’illegalità
  6. 5. Educazione alla legalità oggi
  7. 6. Per una critica dell’educazione alla legalità
  8. Riferimenti bibliografici