1684. La repubblica sfida il Re Sole
di Carlo Bitossi
1. Davanti a Genova, 17 maggio 1684
Il 17 maggio 1684 i genovesi videro una poderosa flotta proveniente da ponente schierarsi in poche ore davanti all’arco del porto. Erano da centoquaranta a centocinquanta vele e alberavano le insegne di Francia; quello stesso giorno il console francese a Genova, Aubert, si recò a visitarla. Chi la comandasse lo scoprirono i sei inviati della repubblica che, capeggiati da Francesco Antonio Sauli, salirono a bordo per parlamentare la mattina del 18. Sull’ammiraglia trovarono a riceverli nientemeno che il marchese di Seignelay, segretario di Stato per la marina di Luigi XIV, e l’ammiraglio Abraham Duquesne; su un altro vascello si trovava il comandante in seconda, Tourville, e sulla galea capitana il duca di Mortemart, generale delle galee. Seignelay: il figlio trentaduenne del grande Colbert, morto nel settembre dell’anno prima, che dal padre aveva ereditato il ruolo, l’attivismo e l’attenzione per il potenziamento della marina francese da guerra e mercantile. Duquesne: l’ultrasettantenne lupo di mare di Dieppe dal carattere impossibile, al suo ultimo comando, convinto ugonotto fedelissimo a un re in procinto di revocare l’editto di Nantes ma che gli avrebbe concesso il privilegio di non dover scegliere tra conversione ed esilio. Tourville: un normanno quarantaduenne, ex cavaliere di Malta come molti uomini di mare francesi, forse il miglior ammiraglio del Re Sole. Il duca di Mortemart: ventun anni, nipote di Madame de Montespan, l’ex favorita di Luigi XIV, e cognato di Seignelay: un aristocratico di antico lignaggio e solidi legami. Questi i comandanti della grande flotta dispiegata davanti a Genova. La componevano quattordici o forse sedici vascelli partiti dalla base di Tolone e di costruzione per lo più recente, perché la Francia aveva realizzato nel ventennio precedente, e stava proseguendo, un riarmo navale eccezionale per intensità e risultati. E poi venti galee, partite dalla base di Marsiglia; un centinaio di imbarcazioni da carico e da trasporto; e ultima ma forse più importante componente, dieci navi di tipo nuovo, le galiotes à bombes: «galeotte bombardiere», nei documenti genovesi «palandre». Erano un prodotto d’avanguardia dell’ingegneria navale militare francese. Il loro inventore, Bernard Renau d’Eliçagaray, anch’egli presente davanti a Genova, era un basco così brevilineo da essere noto come «il piccolo Renau». Pochi anni prima questo brillante e precoce matematico e ingegnere navale, creatura di Seignelay, aveva modificato una galeotta olandese, nave piuttosto piccola e abbastanza tozza (poco più di 20 metri per poco più di 7 le dimensioni medie) togliendole l’albero di trinchetto e inserendo sul ponte una piattaforma di bronzo con due mortai incorporati, in modo che lo scafo potesse assorbirne il rinculo. Dopo un certo numero di anni, si sarebbe scoperto in seguito, la struttura lignea delle galeotte bombardiere ne risentiva comunque. Ma in quel momento le palandre erano uno strumento bellico nuovissimo e micidiale, concepito per i bombardamenti dal mare. Le prime cinque erano state varate a Le Havre e Dunkerque nel 1682, altre due a Tolone nel 1683 e tre ancora, sempre a Tolone, nel 1684. Tutte e dieci stavano schierate davanti a Genova.
Quella flotta presentava al governo genovese l’ultimatum di Luigi XIV: il disarmo e la consegna delle quattro galee di recente aggiunte alle sei della squadra ordinaria della repubblica e l’invio di una delegazione di quattro senatori a chiedere scusa a Luigi XIV per la condotta offensiva della repubblica, incluso il rifiuto di aprire un magazzino di sale a Savona per le truppe francesi di Casale Monferrato e gli sgarbi nei confronti dell’ambasciatore francese a Genova, François Pidou de Saint-Olon. Questi, una decina di giorni prima, aveva alla chetichella lasciato la città, dopo aver minacciato apertamente il governo nella sua udienza di congedo. Seignelay, comandante effettivo della flotta francese e soprattutto cervello politico dell’operazione, esigeva una risposta entro le 5 del pomeriggio. Il governo genovese, riunito a Palazzo Ducale, discusse il da farsi, senza aver alcuna intenzione di cedere. E alla notizia che una galea francese aveva catturato un naviglio genovese decise di far aprire il fuoco alle batterie costiere. Le palandre, inizialmente trainate e ancorate a distanza troppo ravvicinata alle difese genovesi, dovettero arretrare, ma a sera, quando si furono riposizionate, i loro venti mortai montati cominciarono a sparare la provvista di proiettili di pietra e di granate incendiarie, presto seguiti dai cannoni dei vascelli.
Ma perché si era arrivati a questo? Che cosa c’era in gioco? Chi e che cosa si contrapponeva?
2. Re e repubblica
La flotta schierata davanti al porto materializzava la contrapposizione tra il Re Sole e Genova, tra il regno di Francia e la repubblica: una contrapposizione densa di significati, perché poneva di fronte due modelli di Stato antitetici. Non solo una grande monarchia e una repubblica dalle modeste dimensioni territoriali, ma due concezioni opposte di come costruire uno Stato. Da una parte stava quello che gli storici hanno tradizionalmente definito il prototipo dello Stato assoluto. E anche se oggi si tende a vedere nell’assolutismo più un progetto solo parzialmente attuato che non una realizzazione compiuta, la Francia di Luigi XIV era dotata e sempre più si stava dotando di un apparato amministrativo capillare e diffuso, sotto molti aspetti il meglio organizzato che esistesse nell’Europa del tempo, tanto da proporsi come modello per altre monarchie. Genova era invece un esempio di repubblica diversissima anche da quel metro di paragone del governo repubblicano moderno rappresentato da Venezia: era infatti uno Stato leggero, con apparati amministrativi dai ranghi ridotti e forze militari ancor più ...