L'apostolo a brandelli
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L'apostolo a brandelli

L'eredità di Mazzini tra Risorgimento e fascismo

  1. 172 pagine
  2. Italian
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L'eredità di Mazzini tra Risorgimento e fascismo

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Com'è stata possibile la diversa presenza di Mazzini nel pensiero e nella lotta politica italiani, oltre il suo ruolo unificatore di padre della patria? Come ha potuto la sua eredità generare – soprattutto nel confronto fascismo-antifascismo – esiti politici opposti che al pensiero mazziniano continuarono a richiamarsi? Quali conseguenze ideologiche e politiche hanno avuto queste letture antitetiche? Da Francesco Crispi a Gaetano Salvemini, da Benito Mussolini ad Antonio Gramsci, in molti e da più parti hanno letto, interpretato, rivisitato, criticato il pensiero di Giuseppe Mazzini.
Questo libro propone una nuova interpretazione del patriota genovese che mette in luce le componenti potenzialmente anti-democratiche del suo pensiero politico. Il celebre motto 'Dio e il popolo', il richiamo ai doveri piuttosto che ai diritti, la critica radicale della Rivoluzione francese, il rifiuto della dialettica sociale, costituiscono i fattori centrali di questo Mazzini autoritario che getta una luce inedita sui complessi rapporti tra Risorgimento e fascismo e sull'assenza di una religione civile democratica in Italia.

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Informazioni

Anno
2014
ISBN
9788858115923
Argomento
Storia

Capitolo V. La religione della nazione tra fascismo e antifascismo

1. Gentile e Mazzini: dalla filosofia del Risorgimento alla religione fascista

L’incontro storico e filosofico di Giovanni Gentile con il Risorgimento risaliva alla fine del XIX secolo: da Gioberti e poi da Mazzini il filosofo aveva mosso i primi passi della sua indagine sulla storia del pensiero italiano del XIX secolo. Nel primo dopoguerra, i due pensatori risorgimentali avranno un ruolo centrale nel percorso intellettuale e politico che avrebbe condotto infine Gentile, tra gli anni Venti e Trenta, a contribuire in modo decisivo alla definizione dell’ideologia e della religione politica del fascismo. Fin dalla sua tesi di laurea alla Normale di Pisa, pubblicata nel 1898 con il titolo Rosmini e Gioberti. Saggio storico sulla filosofia italiana del Risorgimento, Gentile si dedicò alla tradizione di pensiero del cattolicesimo liberale, rappresentato in politica da Gioberti: di lì la filosofia italiana doveva riprendere il suo cammino1. L’interesse di Gentile andava in particolare alla rinascita del sentimento religioso nel XIX secolo, che si faceva coscienza nazionale, e alle diverse figure che vi contribuivano, cioè:
Mazzini [che] è dei pensatori più religiosi che abbia l’Italia, ed è il grande profeta della nuova Italia. Con lui Gioberti, pur negli ondeggiamenti giovanili del suo pensiero. E sopra tutti Manzoni, che non fu uomo d’azione, ma fu tra i più ardenti caldeggiatori dell’unità e indipendenza della patria; e lo stesso Rosmini, spirito di grandissima moderazione, e moderato anche nelle sue aspirazioni liberali; ma collaboratore anche lui nel ’48 alla grande opera nazionale. E con questi i minori numerosi: Balbo, Tommaseo, Lambruschini e la folta schiera dei neoguelfi [...]2.
Gentile guardava allora soprattutto alla rinascita cattolica che si intrecciava con i nuovi sentimenti e progetti nazionali. Unitosi quindi a Benedetto Croce nell’impegno di formare una nuova cultura e una rinnovata coscienza italiane attraverso la rivista «La Critica», uno dei suoi primi impegni accanto al filosofo napoletano fu proprio la ricostruzione dei movimenti, delle figure e delle opere che avevano caratterizzato la più recente storia intellettuale dell’Italia, la sua tradizione culturale, il percorso verso l’unificazione spirituale e politica della nazione. Allo stesso tempo Gentile veniva sviluppando la propria riflessione filosofica fondata su una nuova interpretazione del pensiero idealistico, che egli ricollegava alla tradizione italiana risalente a Vico e in cui giocavano un ruolo di primo piano la religione e la pedagogia. Questi elementi avrebbero trovato dai primi anni Venti – dopo il passaggio epocale della guerra mondiale, che fece di Gentile un intellettuale militante – una concreta traduzione politica innanzitutto nel campo dell’educazione, coll’impegno del filosofo nel primo governo Mussolini come ministro dell’Istruzione pubblica.
Al principio del secolo era ancora Gioberti ad attrarre le attenzioni di Gentile. In uno scritto nel primo centenario della nascita, egli studiava la complessa posizione del pensatore piemontese come, almeno in principio, una sorta di paradossale «giacobino della reazione». Ma il percorso di Gioberti veniva seguito attraverso i suoi rapporti con Mazzini e la Giovine Italia, l’adesione alla filosofia cattolica di Rosmini, e infine l’approdo alla filosofia ontologica da un lato, e dall’altro alla teoria del «primato» italiano. L’abate torinese continuava a parere a Gentile un filosofo militante, tanto che egli poteva alludere a un sorprendente parallelo: «Come pochi anni più tardi, accennando a un’altra utopia, un altro filosofo metterà il grido famoso Proletari del mondo unitevi!, così [Gioberti] grida agli Italiani tutti di unirsi, o prìncipi fra loro con la federazione, e i prìncipi coi loro popoli mediante le riforme»3. Fortemente coinvolto dal fervore politico e dall’atmosfera patriottica della Prima guerra mondiale, Giovanni Gentile avrebbe assunto anch’egli e mai più abbandonato, dalla fine del conflitto, un ruolo attivo nella vita politica della nazione, e all’esempio del marxismo si sarebbe rifatto esplicitamente, in un’importante riflessione del 1918 su Filosofia e politica, come a una «filosofia avente una grandissima importanza storica proprio perché fu anche politica»4.
Ma la discesa in politica sarebbe stata segnata per Gentile innanzitutto da un ritorno alla tradizione del Risorgimento italiano e da una riscoperta dei suoi «profeti». Nelle pagine del periodico nazionalista «Politica» il filosofo pubblicava, nel 1919, un nuovo studio su Gioberti e due saggi su Mazzini: sarebbero presto stati raccolti nel volume I profeti del Risorgimento italiano, uscito nel 1923 quando Gentile era già ministro del governo Mussolini. Le figure dei due patrioti erano viste qui in parallelo, sebbene il ruolo preminente spettasse – e definitivamente – a Mazzini. Se il pensiero di Gioberti rappresentava ancora un grado superiore da un punto di vista filosofico e storico rispetto alle concezioni di Mazzini, le loro origini intellettuali e spirituali erano affini e le loro finalità simili. Secondo Gentile, Gioberti era «un’anima profondamente religiosa, d’ispirazione ed educazione mistico-giansenistica», anch’egli come Mazzini era stato «nei primi anni sotto l’influsso del Rousseau e del sansimonismo» e aveva «simpatizz[ato] più tardi vivamente col Lamennais». Inoltre «andava in traccia d’una sorta di Cristianesimo» e «sent[iva] al pari del Mazzini, il bisogno di allargare questa concezione cristianamente spiritualistica [...] alla vita sociale e politica, per promuovere un rinnovamento della società nella concretezza delle sue forze spirituali»5. Quella di Gioberti era «la stessa religione di Mazzini», ma «promossa al grado di filosofia», soprattutto di una «filosofia cattolica»6. Tornare al pensiero del Risorgimento significava d’altra parte per Gentile – a questo punto – ripensarne alcune categorie politiche di fondo che avevano assunto significati nuovi nel dibattito politico e culturale seguito al conflitto mondiale e che egli rileggeva ora sotto una diversa luce, cioè anche attraverso il sistema filosofico del suo idealismo attuale (compiutamente definito almeno dal 1912). Nel corso della guerra Gentile si era però avvicinato soprattutto a Mazzini e, inizialmente attraverso una serie di recensioni ad alcuni volumi dell’edizione nazionale degli scritti e allo studio di Gaetano Salvemini, ne aveva riscoperto la dimensione religiosa, individuando nell’«apostolo della fede dell’unità d’Italia» l’origine della «forza attuale» che aveva unificato l’Italia7. Alla fine del conflitto, Mazzini sarebbe divenuto per Gentile la figura centrale della sua interpretazione sempre più politica e attualizzante del Risorgimento come anticipazione delle forze e degli ideali che ispiravano allora il nuovo corso politico dell’Italia.
Ripercorrendo e criticando le interpretazioni democratiche di Mazzini proposte da Gaetano Salvemini e da Alessandro Levi (di cui ci siamo già occupati), Gentile mostrava come la nazione mazziniana fosse «azione, creazione di realtà storica», «milizia, sacrificio». Essa era «lontanissima dalla utopistica e giusnaturalistica dottrina democratica»8, così come «la nazionalità del Mazzini non [era] propriamente né quella elettiva dei francesi né quella naturale (o di razza) dei tedeschi» (il filosofo sottolineava dunque la peculiare posizione della nazione mazziniana nel liberalismo europeo)9. Ciò che animava la politica e la vita stessa di Mazzini era la «fede religiosa»: «La vita, [Mazzini] dice anche, è apostolato ed è sacrificio. Apostolato come fede (affermazione d’un valore divino), che non è semplice pensiero, ma azione»10. Alla luce dell’attualismo gentiliano, il binomio mazziniano «pensiero e azione» poteva assumere il significato di una spiritualizzazione dell’azione: «Onde quelle idee o principi, che debbono tradursi in fatti, non possono non essere già azione, atto di fede, affermazione della nostra morale personalità»11. E il principio supremo tradotto in fatti era ormai, nella concezione di Gentile, il suo stesso «Stato etico»: anche la visione di Mazzini trovava la sua realizzazione – secondo l’interpretazione gentiliana e sebbene Mazzini avesse dedicato scarsissimo spazio a una riflessione sullo Stato – nello Stato «inteso rigidamente come potere delle collettività sull’individuo»12. Mazzini stesso diveniva, ora, «uno dei più strenui assertori del valore immanente dello Stato, concepito come legge e come libertà»13. Quando i saggi su Gioberti e Mazzini furono pubblicati assieme, nel febbraio 1923, ne I profeti del Risorgimento, il volume si apriva con una dedica a Benito Mussolini, «italiano di razza, degno di ascoltare la voce dei profeti della nuova Italia». Pochi mesi più tardi, Gentile accettava l’iscrizione ad honorem al partito fascista, scrivendo a Mussolini che «il liberalismo della libertà nella legge, e perciò nello stato forte e nello stato concepito come una realtà etica, non è oggi rappresentato in Italia dai liberali che sono più o meno apertamente contro di lei, ma, per l’appunto, da lei»14.
Due interventi del filosofo nel fascismo ormai divenuto dittatura, sancirono il ruolo di Mazzini nella definizione ideologica e politica che Gentile formulò del movimento politico fattosi regime. Si tratta della conferenza Che cosa è il fascismo dell’8 marzo 1925 e del saggio del 1927, L’essenza del fascismo, poi riedito e largamente diffuso dall’Istituto Nazionale Fascista di Cultura con il titolo Origini e dottrina del fascismo, a partire dal 1929. Nel primo discorso, Gentile ripercorreva la storia italiana contrapponendo l’Italia individualistica e scettica del Rinascimento a quella militante e religiosa del Risorgimento, che già si profilava in Vico, aveva un precursore in Alfieri ed emergeva in Cuoco col risveglio della coscienza nazionale, realizzandosi infine pienamente in Mazzini. Mazzini era ora per Gentile «il profeta più alto e più vero del Risorgimento, l’Ezecchiello della nuova Italia». Soprattutto il «vangelo mazziniano» era «il vangelo fascista», «la fede della gioventù del 1919, del ’22, d’oggi». Il fascismo ritornava così, secondo il filosofo, allo spirito del Risorgimento, recuperando il concetto mazziniano di nazione come «realtà morale», «missione, sacrificio». Dopo aver giustificata anche la violenza dello squadrismo in nome della «ricorrente barbarie» di Vico, il discorso di Gentile raggiungeva il suo culmine nella celebrazione fascista dello Stato: «Dalla nostra mazziniana coscienza della santità della nazione, come realtà che si attua nello Stato, noi tragghiamo i motivi di quella esaltazione che siamo soliti fare dello Stato»15.
In Origini e dottrina del fascismo, Mazzini, sempre più trasfigurato da un’interpretazione fortemente ideologizzata, diveniva principio positivo soggiacente a tutte le più recenti fasi della storia d’Italia, fino al fascismo visto come trionfo dei «mazziniani». Mussolini stesso era visto qui come un «mazziniano di quella tempra schietta che il mazzinianismo trovò sempre nella sua Romagna»16 e la visione mazziniana informava, nell’interpretazione di Gentile, lo stesso «carattere totalitario della dottrina fascista». «La concezione [di Mazzini] è sì una concezione politica – scriveva il filosofo – ma di quella politica integrale, la quale non si distingue così dalla morale, dalla religione e da ogni concezione della vita, da potersi fissare come per sé stante»17. «Nel fascismo – sosteneva Gentile – si trae al più rigoroso significato la verità mazziniana pensiero e azione, immedesimando così i due termini da farli coincidere perfettamente, e non attribuire più nessun valore a nessun pensiero che non sia già tradotto od espresso in azione»18. Il Mazzini di Gentile informava e sosteneva, quindi, a questo punto, la concezione integrale e totalitaria dell’ideologia fascista e persino l’attivismo – l’esaltazione dell’azione attraverso la sua spiritualizzazione – che caratterizzava la politica fascista fin nei suoi risvolti violenti.
Nel corso del 1925, al Convegno di cultura fascista di Bologna, Gentile aveva sostenuto: «Noi fascisti, rivolgendoci indietro a cercare nella storia di questa Italia, che è la nostra ardente passione, il nostro modello, sentiamo di incontrare nell’austera figura di Giuseppe Mazzini la forma più pura e più luminosa della nostra fede e del nostro ideale»19. E nel Manifesto degli intellettuali italiani fascisti, steso dal filosofo alla fine del Convegno e revisionato dallo stesso Mussolini, laddove si sottolineava il «carattere religioso del fascismo», si proponeva anche un parallelo tra mazzinianesimo e fascismo e addirittura tra Giovine Italia e squadrismo:
Il Fascismo si accampò anch’esso con la forza della sua idea, la quale, grazie al fascino che esercita sempre ogni idea religiosa che inviti al sacrifizio, attrasse intorno a sé un numero rapidamente crescente di giovani e fu il partito dei giovani (come dopo i moti del ’31, da un analogo bisogno politico e morale, era sorta la «Giovine Italia» di Giuseppe Mazzini). Questo partito ebbe anche il suo Inno della Giovinezza che venne cantato dai fascisti con gioia di cuore e...

Indice dei contenuti

  1. Introduzione. L’appropriazione del pensiero mazziniano e la crisi della democrazia italiana
  2. Capitolo I. Giuseppe Mazzini e la religione della nazione
  3. Capitolo II. Dalla poesia alla prosa
  4. Capitolo III. Mazzini nel nuovo secolo
  5. Capitolo IV. Doveri della nazione tra guerra e dopoguerra
  6. Capitolo V. La religione della nazione tra fascismo e antifascismo
  7. Conclusioni. Religione della nazione senza religione civile
  8. Ringraziamenti