III. Un paese grigio
Dove il ‘no’ suona poco
“‘Come’, fece scandalizzata la signora, ‘il marchese è ancora alla sua prima triglia?’. Il gentiluomo alzò le mani pallide davanti a sé, agitando in segno di rifiuto la bocca piena e chiusa, e di nuovo, per quei rovesci momentanei che ha l’amore negli uomini impulsivi, apparve antipatico e sciocco al barone Paolo. ‘Se non ne vuole più’, disse il vecchio alla nuora, ‘non lo forzare’. ‘Gl’inglesi’ aggiunse Edmondo, con l’intenzione di provocare il padre, ‘non insistono mai quando l’ospite rifiuta’. ‘Ah sì?’, fece il barone, spingendo subito indietro la sedia e alzandosi, ‘fanno così gl’inglesi?... E allora, Marietta, dammi quel vassoio... Insisto io col marchese, lo pregherò mille volte, e vediamo se a me vorrà dire di no’. Il pallido gentiluomo si trovò subito fra il barone che gli metteva la pesciaiuola sotto il naso, e la signora Marietta che, dall’altra parte, gli sostituiva il piatto pieno di lische con un piatto pulito. Il marchese, sempre masticando a bocca chiusa, congiungeva le mani in atto di preghiera voltandosi ora verso la signora ora verso il barone”.
Questa gustosa scena descritta da Vitaliano Brancati suggerisce che, fra le tante caratterizzazioni dell’Italia, una delle più pertinenti potrebbe essere ‘il paese dove il no non s’ode’ e dove una delle virtù più lodate e commendate sono l’obbedienza alle convenzioni sociali e ai sottili e velati rapporti di potere che esse nascondono. Siamo, del resto, un paese dove è assai radicato e diffuso il culto della Madonna esaltata come “la donna del sì”, del sì “che rese possibile l’Incarnazione del Verbo e il riscatto della storia di sventura dell’umanità dopo il no di Eva”, dove la Chiesa ha insegnato per secoli alle donne “che l’assenso è conforme non solo al volere del Padre, ma anche alla loro più autentica indole”.
Poco importa se il racconto evangelico trasmette l’immagine del tutto diversa di una giovane donna dalla tempra di sovversiva e di un angelo per lo meno anticonformista. Il messo di Dio, invece di rivolgersi al padre, parla direttamente a Maria e lei, di fronte alla proposta, che non capita proprio a tutti né tutti i giorni, di restare incinta senza conoscere il suo uomo, non ne parla né al futuro sposo, l’ottimo Giuseppe, né al padre. Maria chiede addirittura all’angelo del Signore spiegazioni, e, ricevuti i chiarimenti del caso, pronuncia liberamente il famoso sì: “Sia fatto di me secondo la tua parola”. Restare incinta prima di andare a vivere nella stessa casa con il promesso sposo voleva dire che Giuseppe non l’aveva rispettata o che il figlio era di un altro uomo. La prima ipotesi comportava una grave colpa, la seconda la morte per lapidazione. Eppure, da sola, Maria dice un sì che è una straordinaria affermazione di forza e di libertà interiore.
Maria diventa invece il simbolo della donna che china il capo, che obbedisce docile alla volontà di Dio, che si piega con la flessibilità del giunco al soffio dello Spirito Santo (e via via al marito, ai parenti, ai figli, alle convenzioni sociali, alle regole delle buone maniere e del costume). Tutto questo non è avvenuto soltanto in Italia, ma certo in Italia la trasformazione di una storia di fermezza e di libertà in una storia di docilità e di sottomissione ha pervaso profondamente il modo di sentire, di pensare e lo stesso linguaggio. Quante volte abbiamo ascoltato il ritornello che quando una donna dice ‘no’ vuol dire ‘forse’, o addirittura ‘sì’ e che il suo ‘no’ è solo un invito a ripetere le nostre proposte?
Donne e uomini che hanno saputo dire ‘no’ alle convenzioni sociali e soprattutto ai potenti e ai prepotenti ce ne sono stati e ce ne sono. Ma la forza delle loro parole e delle loro azioni viene rapidamente e spietatamente attenuata e spenta da legioni di miserabili specialisti dell’arte di abbassare, sporcare, deturpare le grandi figure e di dimostrare che gli sforzi nobili sono vani: Ferruccio Parri diventa “Fessuccio Parri”, gli azionisti degli insopportabili moralisti, Giorgio Ambrosoli uno che se l’è cercata, Marco Biagi “un rompicoglioni”. Così l’Italia è diventata un paese grigio.
Perché in Italia gli intransigenti sono sempre stati pochi? Pochi, s’intende, rispetto al bisogno. La risposta a questa domanda è implicita nelle considerazioni fin qui svolte sui caratteri e i presupposti della buona intransigenza, quella che fonda e difende la libertà politica, e può essere racchiusa nella tesi che non può essere intransigente con se stesso e con gli altri chi è abituato a transigere con la propria coscienza e con Dio. Intransigente e fermo, lo abbiamo visto, può esserlo solo il cittadino, il politico, il magistrato, l’intellettuale che sa rimanere saldo nelle proprie convinzioni senza piegarsi, oscillare, esitare premuto da minacce o allettato da interessi e premi. Le convinzioni morali le comanda solo ed esclusivamente la coscienza, e, per alcuni, anche Dio. Chi ha imparato a mettere a tacere e a trovare accordi con l’una e con l’altro, diventa disponibile a transazioni di ogni genere. Libero dal vincolo interiore, l’individuo ha quale limite soltanto l’interesse. Ma è fin troppo noto che non c’è accordo o compromesso, anche il più ripugnante, che non si possa concludere per interesse.
Noi italiani siamo stati per secoli educati a non ascoltare, a farci beffe, a ingannare la coscienza e, per questa ragione – anche se non soltanto per questa ragione – siamo transigenti, accomodanti, compiacenti, accondiscendenti e concilianti nella vita politico-sociale e in quella intellettuale. Saranno stati forse troppo severi, saranno stati anche un po’ prevenuti, ma così ci hanno visto gli altri, soprattutto chi veniva da paesi di religione protestante. Simonde de Sismondi (1773-1842), uomo di fede protestante, nella sua Histoire des républiques italiennes du Moyen Âge, denuncia gli effetti nefasti della cattiva educazione religiosa sul sentimento morale degli italiani e accusa soprattutto la Controriforma: gli italiani “sono in Europa il popolo più fedele alla Chiesa e più dedito alle pratiche religiose; ma sono anche il popolo che osserva meno degli altri i doveri e le virtù cristiani. Grazie all’educazione che hanno ricevuto dalla Chiesa, gli italiani sono diventati maestri nell’arte di mettere a tacere la voce della coscienza e di coprire con una superficiale devozione la mancanza di vero senso morale. Tutti hanno imparato non a ubbidire alla coscienza, ma ad ingannarla, e tutti sono maestri nell’arte di assecondare le passioni con le indulgenze, le riserve mentali, il proposito di una penitenza e la speranza dell’imminente assoluzione. Il grande fervore religioso degli italiani, in definitiva, non è affatto uno stimolo alla probità; anzi, è bene non fidarsi soprattutto dei più devoti”. Questa perversione morale e religiosa, sottolinea Sismondi, è la causa principale della servitù degli italiani, e fin quando non si emanciperanno moralmente non potranno conquistare l’emancipazione politica.
Il quadro che Sismondi delinea non è poi tanto diverso da quello che Machiavelli aveva tratteggiato tre secoli innanzi nella Mandragola. L’astuto fra’ Timoteo è maestro nella raffinata arte di trovare per i peccatori gli opportuni accomodamenti con Dio e aiutarli così a scaricare senza troppe fatiche il loro fardello. Quando non è preoccupato delle immagini della Madonna e dei santi e delle processioni, che tanto piacciono al popolo, il frate è disponibile ad aggiustare l’aborto di una monaca chiusa in convento, l’adulterio e pure l’omicidio di un innocente. In quest’...