Comunicazione politica
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Le nuove frontiere

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Comunicazione politica

Le nuove frontiere

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La trasmissione di informazioni tra élite politiche, mass media e pubblico segue ormai le logiche di mercato di qualunque altro bene commerciale. La politica fa ampio ricorso a sondaggisti ed esperti, pronti a metterne in scena l'ormai permanente spettacolarizzazione. Più informato di un tempo, ma trasformato in target da sollecitare all'acquisto e bersagliato da informazioni troppo 'specializzate' e spesso parziali, quanto margine di reale partecipazione democratica resta al cittadino-consumatore di oggi?

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Informazioni

Anno
2014
ISBN
9788858114933

1. I cittadini

[Il presente capitolo riproduce ampi brani del mio articolo Informazione e Accountability nelle democrazie contemporanee, apparso su «Quaderni di Scienza Politica», vol. XII, n. 3, 2005. Ringrazio il direttore della rivista Giorgio Fedel per aver dato il suo consenso alla riproduzione in questa sede.]

1.1. Il cittadino informato: realtà o mito?

La teoria della democrazia classica presuppone che i buoni cittadini si interessino alla politica, si informino sulle alternative in campo, votino consapevolmente e, in seguito, siano in grado di giudicare l’operato di chi li rappresenta. Uno dei maggiori teorici della democrazia sintetizza così il punto: «Il potere elettorale è di per sé la garanzia meccanica della democrazia, ma la garanzia sostanziale è data dalle condizioni alle quali il cittadino acquisisce l’informazione ed è esposto alle pressioni degli opinion-makers» (Sartori 1987, 86). Ne consegue che, se non esistono le condizioni che consentono ai cittadini di assumere la necessaria informazione politica, si impedisce al sistema democratico di funzionare correttamente.
Se la teoria democratica ha indicato l’ideale normativo, la ricerca empirica si è preoccupata di descrivere le situazioni reali cercando, in primo luogo, di accertare se esistono davvero cittadini così informati e consapevoli da meritare la patente di «buoni cittadini», o «supercittadini» secondo la definizione di Dalton (2002, 13). E, pur con sfumature e interpretazioni diverse, a partire dagli anni Sessanta in poi si è giunti alla conclusione che un’approfondita conoscenza della politica è merce rara. Nella più realistica delle ipotesi, ampiamente sostenuta dalle rilevazioni campionarie (Neuman 1986; Delli Carpini e Keeter 1996), l’elettorato è stratificato: solo una minoranza di cittadini appare bene informata, approssimando così il modello democratico ideale. La maggioranza risulta, invece, in possesso solo di nozioni di politica basilari, mentre un altro gruppo, minoritario, ma non trascurabile, appare per nulla o pochissimo informato. Quando si procede a verificare quali siano le nozioni di politica possedute dai cittadini, si riscontra spesso che anche conoscenze specifiche, che sembrano scontate agli addetti ai lavori, sono in realtà ignote a un gran numero di intervistati. In Italia, in una ricerca di alcuni anni fa, era emerso che addirittura il 46% degli intervistati non conosceva il nome del presidente del Consiglio (Bardi e Pasquino 1995). Qualche anno dopo, nonostante la comparsa di un’evidente personalizzazione della politica, di fronte a una batteria di cinque domande comprendenti l’identità dei presidenti del Consiglio e della Camera e del ministro degli Esteri, il numero dei deputati e la modalità di elezione del presidente della Repubblica, ancora un quarto degli intervistati non sapeva rispondere a nessuna di queste domande e la maggioranza non era in grado di dare più di due risposte corrette (Pasquino 2002b).
Dunque, mediamente i cittadini possiedono nozioni di politica limitate. E, soprattutto, le analisi non mostrano un evidente innalzamento del livello delle loro conoscenze nel tempo, nonostante l’aumento del grado di istruzione (Delli Carpini e Keeter 1996). Se, in generale, la distribuzione della competenza politica nell’elettorato è cambiata di poco nel corso dell’ultimo mezzo secolo, in compenso il processo di acquisizione dell’informazione è mutato in modo rilevante. Infatti nelle società contemporanee l’informazione proveniente dai mass media da tempo ha affiancato e quasi del tutto soppiantato la propaganda proveniente direttamente dagli attori politici-istituzionali. Se prima quello che si sapeva di politica lo si apprendeva frequentando la sezione di partito, la sede locale del sindacato e, almeno per quel che riguarda l’Italia, anche la parrocchia, oggi la stragrande maggioranza degli elettori indica la televisione come la principale fonte di informazione (anche in Italia ben oltre il 70%)1. E anche se si continua a parlare di politica in famiglia, con amici e sul lavoro, comunque si discute di quanto si è sentito e visto in televisione (Campus e Pasquino 2007; Campus, Pasquino e Vaccari, in corso di pubblicazione). Inoltre, bisogna tener presente che il volume complessivo di messaggi provenienti dai vari mezzi di informazione – televisione, radio, quotidiani, giornali popolari, Internet – è aumentato in modo esponenziale.
Appare, quindi, evidente che il nodo centrale dell’informazione politica passa attraverso i mass media. Infatti, è da questa fonte che i cittadini ricavano quel molto o quel poco che sanno di politica. A questo punto ci si deve chiedere: «Lo ricavano grazie ai media o nonostante i media?». Sul punto le risposte divergono. Per alcuni, i mass media adempiono efficacemente al loro compito di trasmettere informazione e, in questo senso, rivestono un ruolo fondamentale nel consentire alle istituzioni democratiche di funzionare correttamente. Per altri, invece, i mass media forniscono prevalentemente cattiva informazione anziché reale conoscenza. Sono, evidentemente, due tesi contrapposte: alla prima dedichiamo il presente paragrafo, alla seconda quello successivo.
Veniamo alla prima tesi: secondo alcuni studiosi, cittadini e mass media interagirebbero in un cosiddetto circolo virtuoso, per il quale «tenersi informati sui fatti di attualità e politica attraverso i media rinforza gradualmente l’impegno civico, così come l’impegno civico porta a una maggiore attenzione ai mezzi di informazione» (Norris 2000, 311). A sostegno dell’effettiva esistenza del circolo virtuoso viene esibita un’ampia letteratura empirica che ha riscontrato, in contesti diversi e sulla base di varie fonti di dati, l’esistenza di un’associazione ricorrente tra l’esposizione ai media e il grado di interesse e partecipazione (Newton 1999; Norris 2000). In altri termini, se è vero che numerosi cittadini sono poco interessati, consumano poca informazione e sanno poco di politica, quelli che invece sono più esposti ai mezzi di informazione hanno anche una conoscenza più approfondita dei problemi e partecipano di più alla vita democratica. Ciò vale anche per la televisione, spesso considerata un mezzo di comunicazione con scarse capacità di approfondimento e, di conseguenza, meno informativa degli altri mass media, e che, invece, alcune ricerche rivalutano come mezzo estremamente efficace nel veicolare informazione politica (Neuman et al. 1992).
È chiaro che, soprattutto nel caso della televisione, la vera discriminante è il tipo di programmazione a cui il cittadino si espone. Infatti, se guardiamo solo al numero di ore passate davanti alla televisione, allora i livelli di esposizione sono mediamente alti per tutti i cittadini indipendentemente dalle variabili sociodemografiche. Tuttavia, è evidente che non tutti i programmi televisivi si equivalgono in termini di contenuti d’informazione e, quindi, non offrono le stesse opportunità di apprendimento (Newton 1999; Hooghe 2002). Ad esempio, non si può mettere sullo stesso piano la visione di un telegiornale con quella di un reality show. Anche all’interno dello stesso tipo di programmi, possiamo notare differenze sostanziali: vi sono telegiornali che hanno una chiara vocazione politica e ad essa dedicano gran parte dei servizi, altri invece privilegiano la cronaca e il gossip. La stessa regola vale per i programmi radiofonici e per i giornali. Sia gli uni sia gli altri possono costituire una preziosa fonte di informazione politica. Tuttavia, non tutti i programmi radiofonici sono ugualmente informativi, così come fa una notevole differenza leggere regolarmente un quotidiano tradizionale piuttosto che un giornale popolare tipo tabloid. In quei paesi, poi, dove la programmazione tra servizio pubblico e televisione commerciale appare notevolmente differenziata con una propensione di quest’ultima verso l’intrattenimento, la preferenza verso i canali del servizio pubblico risulta essere positivamente correlata alla partecipazione ad attività civiche e associative (Hooghe 2002). In Italia, quest’ultimo aspetto sarebbe più difficile da valutare, dato che la Rai ha da tempo adottato un approccio generalista e dedica pertanto molto spazio all’intrattenimento; viceversa, una televisione privata come La7 offre molti programmi di approfondimento, soprattutto politico. Tuttavia, se si procedesse a un’analisi differenziata per singoli canali e non per divisione pubblico/privato, ci si potrebbero ragionevolmente attendere risultati analoghi.
Secondo la tesi del circolo virtuoso, i mass media non si limitano a fornire informazione, ma esercitano anche un effetto di mobilitazione, in quanto avrebbero il potere di stimolare e accrescere l’interesse dei cittadini nei confronti della politica (Newton 1999; Norris 2000). Bisogna però osservare che il nesso di causalità tra le variabili rimane non chiaro, come d’altronde la stessa Norris ha riconosciuto (2000, 315 e ss.). Sulla base dei dati, non è possibile determinare se il fatto di essere più informati porti a interessarsi di più alla politica o se sia il maggior impegno politico a predisporre i cittadini a raccogliere più informazione attraverso i mass media. In parole povere, non sappiamo se viene prima l’uovo (interesse per la politica) o la gallina (esposizione ai media). Secondo Norris, è probabile che la relazione valga in entrambe le direzioni. Da una parte, quando si prova interesse per la politica, si cerca e si raccoglie maggiore informazione per il puro piacere di saperne di più, così come avviene per qualunque argomento che ci avvince e ci appassiona. Dall’altra parte, lo stimolo dei mass media, che catturano e indirizzano la nostra attenzione su alcuni aspetti e temi politici, può indurci a voler approfondire il quadro di riferimento e ad assumere informazione aggiuntiva. È più difficile sostenere, però, che le due relazioni sussistono con la medesima intensità. Infatti, se è plausibile che i mass media possano suscitare dal nulla un interesse anche molto intenso rispetto a un particolare evento o personaggio, tuttavia, nel lungo periodo, è logico pensare che i «consumatori» di politica, cioè coloro che leggono regolarmente gli articoli di politica sui giornali, guardano programmi di politica in tv, visitano i siti web, siano persone che hanno già sviluppato un buon livello di interesse per la materia. In conclusione, la tesi del circolo virtuoso rappresenta un’approssimazione del modello ideale della democrazia liberale in quanto ammette la possibilità che i cittadini abbiano la capacità e la possibilità di apprendere dalle fonti di informazione loro disponibili. Soprattutto, si basa sull’assunto che «l’appetito (di informazione) vien mangiando», nel senso che più informazione politica si assume, più ciò innesca un meccanismo di interesse e curiosità. In questo modello, inoltre, vi è sostanziale fiducia nel ruolo del sistema dei media, il quale, pur con tutti i suoi limiti e i suoi margini di migliorabilità, agisce positivamente sullo stato delle conoscenze politiche dei cittadini.

1.2. La falsificazione del modello: il «video malaise»

Come abbiamo visto, il modello ideale di cittadinanza presuppone che le fonti di informazione svolgano correttamente il loro compito di intermediari tra la politica e i cittadini. Solo così diventa possibile per il cittadino assumere quella informazione che gli consente di formarsi un’opinione e di esprimere un giudizio sull’operato dei propri rappresentanti. Tuttavia, un’ormai lunga tradizione di studi è assai scettica sulla verosimiglianza di questo modello e ha avanzato l’argomento che i mass media non sono d’alcun aiuto al cittadino per districarsi nel complesso mondo della politica, ma anzi contribuiscono a generare confusione, fraintendimenti e un senso di complessivo disagio. Questa tesi, che ha assunto il nome di video malaise, letteralmente malessere da video, sostiene che, anziché trasmettitori di conoscenza politica, i mass media sarebbero, per usare la definizione di Murray Edelman (2001), strumenti di cattiva informazione (misinformation).
È soprattutto l’avvento della televisione che avrebbe prodotto un mutamento radicale nel rapporto tra politica e mezzi di informazione, trasformando il cittadino in homo videns (Sartori 1997), cioè spettatore passivo e telediretto dello spettacolo della politica. La videopolitica, termine coniato dallo stesso Sartori, indica appunto il fenomeno della spettacolarizzazione della politica per il quale aspetti superficiali come la horse race (corsa di cavalli), gli scandali e tutti gli eventi in grado di fare audience predominano a scapito di aspetti più sostanziali, come l’analisi dei temi e dei programmi. Thomas Patterson, da sempre in prima linea nel denunciare gli effetti negativi dei mass media, ha sintetizzato così il punto centrale: «per i giornalisti, ciò che è controverso è il vero tema delle campagne elettorali. I media si occupano di accuse e contro-accuse, entrando raramente nel merito delle posizioni dei candidati. Non è semplicemente che i media trascurino i temi della politica a favore del gioco strategico; ma i temi, quand’anche vengano trattati, sono subordinati al dramma conflittuale messo in scena dalle opposte parti. In questo senso, i mass media depoliticitizzano le issues, trattandole come parte del rituale elettorale anziché come oggetto di un serio dibattito» (Patterson 1993, 137)2. Murray Edelman, altro autorevole referente della tesi degli effetti negativi dei media, si spinge oltre: «[I media] cercano di allargare al massimo le loro audience per massimizzare i loro introiti pubblicitari, e quindi fanno simili, e corrette, inferenze su ciò che attrae telespettatori, ascoltatori e lettori. Si concentrano sul sensazionale, sulla violenza, sulle personalità e sull’intrattenimento, benché altri tipi di notizie darebbero al pubblico un’idea più veritiera del perché le cose si sviluppano in un certo modo e come procederanno in futuro. In questo modo, oggi i media rappresentano l’opposto di quel che si intende comunemente e cioè che, attraverso i media, le persone acquisiscano l’informazione che serve loro a perseguire i propri interessi e quelli di coloro che vogliono aiutare» (Edelman 2001, 75).
Quali sono le conseguenze della spettacolarizzazione della politica per i sistemi democratici? Un’indicazione sintetica, ma pregnante, ci viene dal titolo di un altro libro importante: Spiral of Cynicism: The Press and the Public Good (Cappella e Jamieson 1997). Secondo la tesi del video malaise, l’abitudine dei media di descrivere fatti e personaggi della politica in modo scandalistico e spesso negativo ha prodotto nei cittadini cinismo, apatia e, talvolta, perfino ostilità verso la politica. Il fenomeno sarebbe in realtà un riflesso di una sindrome più ampia, quella del «mondo cattivo» (Hooghe 2002), secondo la quale la televisione inonda i telespettatori di immagini di violenza, crimini e corruzione e, così facendo, diffonde tra i cittadini un forte senso di insicurezza e di sfiducia verso il prossimo che finisce con lo scoraggiare qualunque forma di partecipazione alla vita collettiva.
L’argomento del video malaise si riallaccia così, e cerca di fornire una spiegazione, alla crescente disaffezione nei confronti della politica, ampiamente e variamente documentata in numerosi studi condotti nella seconda metà degli anni Novanta (Norris 1999; Pharr e Putnam 2000; Dalton e Wattenberg 2000; Dalton 2002). Sono soprattutto i leader, i dirigenti dei partiti in particolare e i componenti della classe politica in generale, a uscire da tutte queste rilevazioni come i più compromessi agli occhi dei cittadini. E, a sostegno della tesi del video malaise, si deve riconoscere che essi sono quotidianamente messi alla gogna dai media, in modo più intenso e feroce che in passato. Come osservato da Nye et al. (1997, 16) in un libro dal titolo molto evocativo, Why People Don’t Trust Government, i politici statunitensi non sono più corrotti che in passato, ma la maggiore insistenza dei mass media su tale aspetto ha rafforzato in questo senso la percezione del pubblico americano.
Sul punto, tuttavia, è necessario aprire una riflessione. Le cause della perdita di fiducia nelle istituzioni, che ha interessato quasi tutte le principali democrazie occidentali, sono numerose ed è difficile distinguere chiaramente le responsabilità dei mass media da quelle degli stessi politici. Se, infatti, i mezzi di informazione contribuiscono a far degenerare il clima politico, talvolta essi hanno anche il merito di portare all’attenzione del pubblico le distorsioni e le storture del sistema. Diventa così particolarmente sottile il confine tra la provvida denuncia delle malefatte e manchevolezze della classe politica e un implacabile quanto sterile accanimento su ogni notizia che possa trasformarsi in uno scandalo.
Poiché è difficile stabilire empiricamente un nesso causale chiaro tra il modo in cui i media presentano la politica e il malessere delle democrazie moderne, gli st...

Indice dei contenuti

  1. Introduzione. La comunicazione politica: un fenomeno in evoluzione
  2. Parte prima. Gli attori
  3. 1. I cittadini
  4. 2. I politici
  5. 3. I mass media
  6. Parte seconda. Gli strumenti
  7. 4. La televisione politica: fra tradizione e «infotainment»
  8. 5. I sondaggi: tra realtà e percezione
  9. 6. Internet: tra libertà e controllo
  10. Conclusioni. Comunicazione politica e qualità della democrazia
  11. Riferimenti bibliografici