Le campagne elettorali al tempo della networked politics
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Le campagne elettorali al tempo della networked politics

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Le campagne elettorali al tempo della networked politics

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Che cosa sono le campagne elettorali digitali? In che cosa sono diverse dalle campagne online? Quali forme ha assunto negli ultimi anni la mobilitazione degli elettori da parte della politica? Come si rinnovano le strategie ora che sono disponibili tecnologie avanzate e analisi dei big data?Un libro utile a orientarsi in un panorama – quello della comunicazione politica ed elettorale – che ha subìto in breve tempo trasformazioni radicali.

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Informazioni

Anno
2017
ISBN
9788858130599

1.
Campagna digitale,
campagna post-mediale

Domandarsi cosa siano le campagne elettorali oggi e quali ne siano gli elementi fondanti significa inevitabilmente allargare l’ambito della riflessione rispetto a quello circoscritto della comunicazione politica. Occorre comprendere verso quale direzione si stanno muovendo, con estrema rapidità, gli ecosistemi mediali. Quali pratiche di produzione e di consumo informativo stia generando l’ibridazione tra logiche mediali analogiche e digitali. Quale impatto la digitalizzazione stia producendo sulle forme organizzative, sulle funzioni e sulle modalità operative della politica. Quale potenziale innovativo ciò renda disponibile in fatto di metodi e tecniche per la comunicazione, ma anche per la definizione di tattiche e di strategie di campagna. Significa riflettere sulla crisi delle forme tradizionali della partecipazione politica e sulle modalità attraverso le quali rinnovarne i repertori, riconnettendo i cittadini alla democrazia e all’interesse per la dimensione pubblica della vita quotidiana.
Un filone autorevole di ricerche teoriche ed empiriche ha ricostruito il complesso delle concause che sono all’origine del declino della partecipazione politica e dei suoi attori fondamentali nelle democrazie industriali avanzate (Dalton e Wattenberg 2000; Kriesi et al. 2013; Dalton 2014). Una delle più profonde è la mediatizzazione della politica, ovvero la pervasiva importanza che i media hanno assunto all’interno del campo politico. Soprattutto la televisione. I media si sono trovati nella condizione di assumere molte delle funzioni che prima erano svolte in esclusiva dai partiti: sono diventati infatti, con la famiglia, un’agenzia fondamentale d’informazione e di socializzazione politica. Per lungo tempo i partiti hanno assecondato questa tendenza, anziché arginarla. Per esempio, hanno progressivamente smantellato le politiche di radicamento territoriale e disinvestito sulla relazione diretta con gli elettori, preferendo la più comoda e redditizia scorciatoia della mediazione televisiva ai più faticosi comizi e alla vita di sezione. Non però senza conseguenze: oggi la spersonalizzazione della relazione tra cittadini e politici è una concausa non trascurabile del declino del tasso di partecipazione elettorale e di partecipazione all’attività politica (Green e Gerber 2004).
La tesi alla base di questo volume è che le trasformazioni indotte dal paradigma della società delle reti – o Network Society1 – stiano profondamente cambiando anche il sistema delle relazioni tra media e politica cristallizzato sulla logica di mediatizzazione. La politica, per converso, oggi è networked politics e tende a strutturarsi su base reticolare e connettiva. Il processo di digitalizzazione, infatti, ha capovolto il paradigma della comunicazione mediale per come si era determinato nel Novecento a seguito della massificazione dei consumi. Manuel Castells (2009) ha definito questa ri-articolazione del paradigma della comunicazione «autocomunicazione di massa», per indicare lo stato di individualismo post-mediale indotto dalla ristrutturazione in forma reticolare delle relazioni sociali2. La metafora dello sciame di api descrive in modo efficace lo schema assunto dai comportamenti sociali nei contesti reticolari dove si impone la logica dell’intelligenza connettiva.
La campagna elettorale è il dispositivo sul quale l’impatto di queste trasformazioni sul campo politico è più evidente. In questa situazione di contingenza, infatti, la macchina del partito, o del comitato elettorale, concentra parte importante delle risorse umane, organizzative ed economiche delle quali dispone e profonde lo sforzo massimo nell’innovazione dei metodi e delle tecniche comunicative, strategiche, di mobilitazione. Anche per questo motivo è opportuno comprendere meglio le forme contemporanee della campagna elettorale.
L’ipotesi introdotta dalle pagine di questo capitolo è che il nuovo paradigma sociale e comunicativo, appena sopra descritto, dia forma ad una nuova fase delle campagne elettorali. La campagna digitale è dunque la campagna delle reti, che si determinerebbe a seguito dell’insorgere nel campo delle relazioni media/politica di processi di individualizzazione post-mediale della comunicazione, di forza uguale e contraria a quelli della mediatizzazione (Chaffee e Metzger 2001).
La politica e la comunicazione al tempo «dei network sociali e dei social network» (Ceccarini 2015) definiscono un perimetro assai fluido della campagna digitale, che – come effetto della digitalizzazione dei sistemi comunicativi e organizzativi – è assai più ampio rispetto a quello della «campagna online». Le recenti campagne per le elezioni presidenziali negli Stati Uniti – ma più ancora le antesignane e paradigmatiche campagne di Barack Obama – ne hanno mostrato l’ampiezza: la campagna digitale comprende, infatti, al di là di un uso scontato del web nelle sue forme più attuali come medium di campagna, un approccio analitico e scientifico alla decisione e alla definizione dell’impianto strategico; l’infrastrutturazione online dell’azione online e offline dei sostenitori e dei militanti; il ricorso alla comunicazione relazionale di tipo uno-a-uno e molti-a-molti spinta dai personal media, che implica il recupero del contatto diretto – di interconnessione, se si preferisce – tra candidati ed elettori attraverso la declinazione della comunicazione interpersonale come medium di campagna.
Alla luce di questi argomenti va letto il rilancio delle campagne porta-a-porta, che vedremo non essere affatto prerogativa esclusiva della comunicazione elettorale statunitense. «Obama for America», la prima e più grande organizzazione di campagna digitale di sempre, ha funzionato sulla costituzione della più ampia rete di mobilitazione della storia: nel giorno delle elezioni, il 25% circa degli elettori di Obama era connesso a lui attraverso i suoi network (Masket 2009; Plouffe 2010).
Le pagine che seguono introducono l’ipotesi della post-mediatizzazione nel campo delle relazioni tra media e politica come premessa alla emergente fase digitale delle campagne elettorali. Ciò con la consapevolezza della natura mobile e fluida dei confini per come si determinano all’interno di un campo in rapidissima trasformazione come questo.

1.1. Le evoluzioni del «campaigning»

La ricerca sulle campagne elettorali è più trascurata di quanto possa sembrare ad un primo sguardo. Da un lato, infatti, è vero che si tratta del contesto nel quale sono state prodotte le più rilevanti scoperte e le più influenti teorie nel campo della comunicazione: dalle indagini classiche della Columbia University School3 sui processi di formazione dell’opinione pubblica, il doppio stadio del flusso comunicativo e il ruolo dei leader molecolari nell’interpretazione dei messaggi mediali, fino alle prime evidenze empiriche a supporto dell’ipotesi dell’effetto cognitivo di agenda-setting (McCombs e Shaw 1972). Dunque è un fatto che le campagne elettorali abbiano costituito sempre un terreno privilegiato per l’osservazione scientifica. Dall’altro lato, però, è altrettanto vero che la campagna elettorale ha faticato ad affermarsi come un oggetto di ricerca specifico. Ad essere analizzata nel suo insieme come un dispositivo comunicativo, organizzativo e ideologico sulla base dei suoi processi, delle sue dinamiche interne e dei suoi effetti esterni.
L’attenzione verso la campagna elettorale come oggetto di ricerca è aumentata con l’avanzare dei processi di modernizzazione che l’hanno riguardata, quindi della specializzazione e della professionalizzazione delle competenze necessarie ad essere realizzata (Johnston 1990; Gibson e Römmele 2009).
Sidney Blumenthal (1980) si è accorto con anticipo della rilevanza non più marginale dell’oggetto-campagna, quando con il concetto di «campagna permanente» ha qualificato il carattere costitutivamente elettoralistico assunto dal sistema politico, ergendolo a ideologia dominante nella politica contemporanea. Egli infatti individua con precisione i fattori di struttura politica, oltreché quelli mediatico-comunicativi che hanno portato il sistema politico allo stato di campagna permanente. Nel gruppo dei primi sono annoverati la crisi strutturale dei partiti politici, il declino del voto identitario, con conseguente volatilità del comportamento elettorale; ma poi anche la personalizzazione della sfera politica e la sua leaderizzazione, nonché l’attivismo crescente delle lobby e dei gruppi di pressione; nel gruppo dei secondi, invece, si trovano la crescente mediatizzazione della politica, sotto i riflettori 24 ore al giorno, la professionalizzazione delle tecniche comunicative e di marketing – news management, negative campaigning ecc. – anche disintermediata, come il direct mailing. Soprattutto, però, il ricorso estensivo e stressato alle rilevazioni demoscopiche.
Intorno alla seconda metà degli anni Novanta del Novecento, gli studi specialistici hanno periodizzato l’evoluzione storica della comunicazione politica e – a seconda dei casi, in forma esplicita o implicita – quella della campagna elettorale. Gli accademici alla fine concordano sull’appropriatezza di una classificazione in tre stadi della comunicazione politico-elettorale: pre-moderna, moderna, post-moderna. Per Farrell (1996) la fase pre-moderna è di fatto pre-mediale, quella moderna si ritrova come «rivoluzione televisiva», quella più recente come «rivoluzione delle telecomunicazioni». Una periodizzazione analoga è ripresa dall’articolo classico di Blumler e Kavanagh (1999). Nell’Età dell’Oro dei partiti, che si colloca tra la fine della seconda guerra mondiale e gli anni Cinquanta, il partito manteneva il monopolio dell’iniziativa sul dibattito politico. L’identificazione e l’appartenenza erano i principali fattori di relazione del partito con gli elettori. La comunicazione politica era sostanzialmente subordinata ad un forte e stabile sistema di valori e credenze ideologicamente costituito.
La seconda fase della comunicazione politica ha inizio negli anni Sessanta con l’affermazione della televisione, per quanto ancora limitata, e con il progressivo allentarsi della fedeltà dell’elettore al partito. Ne conseguiva la progressiva riduzione dell’esposizione diretta alla propaganda di partito e una predisposizione sempre meno predeterminata e partigiana alla scelta di voto. L’estensione della mediatizzazione all’interno del campo politico comportava l’allargamento del pubblico della comunicazione politica anche verso segmenti che prima erano del tutto marginali. Il notiziario televisivo, per esempio, è diventato un fattore importante di influenza nel breve termine del tutto inedito. In un quadro siffatto, gli attori politici realizzavano come il consenso non potesse più essere dato per scontato e come occorresse costruirlo attivamente. E di come, per far questo, fosse sempre più necessario il ricorso a consulenze specialistiche per l’acquisizione di know how e tecniche complesse.
La terza fase della comunicazione politica coincide con l’esplosione del sistema comunicativo. La televisione, soprattutto, ha concorso a determinare lo stato di abbondanza comunicativa (Keane 2009, 2013) e di velocizzazione del ciclo delle notizie. Le tecnologie digitali hanno moltiplicato l’offerta televisiva – il modello narrowcast – e frammentato la domanda di consumo mediale.
Le implicazioni di ciò sulla comunicazione politica sono importanti: per prima cosa, s’è detto, gli attori politici devono dotarsi del supporto professionale di consulenti specializzati per competere con altri attori primari per l’attenzione dei media e del pubblico. La visibilità mediatica, soprattutto quella di qualità, è una risorsa limitata. Entrambi sempre più orientati ai generi dell’intrattenimento disponibile in crescente quantità. Anche per questo le retoriche e i linguaggi della politica prendono ad adottare strategie di semplificazione e di popolarizzazione (Street 1997; Van Zoonen 2005; Mazzoleni e Sfardini 2009; Stanyer 2013). Infine, si aggiungono ai dispositivi tradizionali degli attori politici nuovi canali e repertori comunicativi per produrre flussi di comunicazione diversificati, per «colpire» segmenti del pubblico alternativi per identità, condizione sociale, gusti, stili di vita. La televisione narrowcasting è così la precondizione della life-style politics (Bennett 1998, 2003) della quale il web sarà l’arena d’elezione.
Le tipologie di Norris (2000) e di Plasser e Plasser (2002), che rileggeremo esaustivamente più avanti (infra, cap. 3), definiscono fasi storiche analoghe, con un motivo di interesse in più: l’enucleazione dei tratti costitutivi fondamentali delle campagne elettorali, intese come dispositivo comunicativo e organizzativo per la costruzi...

Indice dei contenuti

  1. Introduzione
  2. 1. Campagna digitale, campagna post-mediale
  3. 2. Comunicare è organizzare
  4. 3. La campagna digitale e il fattore umano
  5. 4. Le strategie di mobilitazione e il GOTV
  6. 5. La battaglia è sul campo
  7. Conclusione
  8. Riferimenti bibliografici