Dal potere ai princìpi
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Dal potere ai princìpi

Libertà ed eguaglianza nel costituzionalismo contemporaneo

  1. 134 pagine
  2. Italian
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Dal potere ai princìpi

Libertà ed eguaglianza nel costituzionalismo contemporaneo

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«La 'giustizia' complessiva realizzabile nel sistema costituzionale è il prodotto del massimo di integrazione possibile tra eguaglianza e libertà»: una concezione integrata dei due princìpi e non più una opposizione reciproca secondo la quale a più libertà corrisponderebbe meno eguaglianza e viceversa. Questa la nuova sfida che il costituzionalismo lancia ai detentori del potere.

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Informazioni

Anno
2014
ISBN
9788858114858
Argomento
Jura

II. Libertà ed eguaglianza come princìpi supremi indivisibili

1. Libertà astratta e libertà concreta

I significati e le accezioni della parola «libertà» sono tanti e così differenti da rendere vano ogni tentativo di dare della stessa una definizione anche approssimativa. Può essere utile tuttavia, per impostare la problematica di questa trattazione, fare un iniziale riferimento alla fondamentale distinzione tra libertà «da» e libertà «di», tra assenza di costrizioni che incidano, limitandoli, sui comportamenti delle persone e capacità di autodeterminarsi, in piena autonomia, a porre in essere un dato comportamento1.
Forse sarebbe preferibile, riferendosi alla summa divisio prima ricordata, parlare di libertà astratta e libertà concreta, mentre potrebbe ingenerare confusione parlare di libertà negativa e positiva, apparendo tale distinzione più adatta a classificare i «tipi» di libertà previsti dalle carte costituzionali contemporanee.
La libertà da qualcosa, in particolare da costrizioni e condizionamenti, presuppone un soggetto che abbia in sé tutte le potenzialità di sviluppo e di realizzazione della propria personalità e chieda pertanto all’ordinamento di non frapporre ostacoli a tale libero sviluppo e di aiutarlo a superare gli ostacoli provenienti da altri soggetti. In altre parole, la persona è, in sé, già perfettamente formata o in via di perfetta formazione, e pretende che nessun intervento, da autorità pubbliche o da privati, impedisca, limiti o ritardi, con la forza materiale o con divieti giuridici, l’esplicazione delle proprie intrinseche potenzialità. Le possibilità di sviluppo dei diversi individui sono molteplici, in considerazione della diversità, diremmo dell’unicità, di ciascuna persona: per questo motivo, la libertà astratta consiste nella mera astensione dei terzi, pubblici e privati, da ogni intervento pratico nella sfera di autodeterminazione del soggetto.
Per quanto detto, la libertà implica necessariamente la diversità. Uno dei padri del pensiero liberale moderno, John Stuart Mill, ha giustamente sottolineato che «perché la natura di ciascuno abbia ogni opportunità di esplicarsi, è essenziale che sia consentito a persone diverse di condurre vite diverse»2. Né bisogna dimenticare che la tragedia del totalitarismo comunista del XX secolo ha avuto origine anche dalla negazione di quanto lucidamente affermato da una grande rivoluzionaria, Rosa Luxemburg: «la libertà è sempre e soltanto libertà di chi pensa diversamente»3.
Una delle vie di «fuga dalla libertà» è però il «conformismo di massa»: gli individui credono di essere liberi e di ubbidire solo a se stessi, ma in realtà sono eterodiretti da autorità che si sono rese anonime nella massa4. Di fronte all’omologazione delle società contemporanee appare ormai anacronistico l’elogio ottocentesco dell’eccentricità fatto da John Stuart Mill. La stessa libertà di manifestazione del pensiero, mortificata dalle dittature con censure e penalità per i dissenzienti, diventa mera parvenza se il cittadino non è libero di pensare ciò che sarebbe libero di dire. Come è noto, si pone, nelle società contemporanee, e in quella italiana in modo particolare, un problema di effettività del diritto all’informazione, che costituisce un presupposto necessario della libertà di manifestazione del pensiero: se tale diritto non è assicurato, i cittadini saranno liberi di manifestare soltanto un pensiero non liberamente formatosi.
L’esempio che precede, tratto dalla viva attualità, mostra in modo chiaro quanto labili siano i confini tra libertà astratta e libertà concreta e come si possa dire, marxianamente, che la prima senza la seconda finisce con l’essere pura «mistificazione». Tuttavia la distinzione non è priva di attualità: se si deve prendere atto della banale ovvietà che ognuno di noi, all’atto di scegliere, è condizionato dalle situazioni specifiche (di tempo, di luogo, di posizione sociale, di cultura ecc.) in cui la scelta viene compiuta, si deve al contempo mantenere ferma la libertà astratta come ideale da perseguire, pur nella consapevolezza che esso non sarà mai compiutamente realizzato: «la libertà è una cosa e le condizioni per la libertà sono un’altra»5. Appiattire la libertà astratta sulla libertà concreta significherebbe aderire a quelle concezioni, di stampo hegeliano, che identificano libertà e necessità, anzi qualificano come libero solo l’uomo che ha coscienza della necessità, cioè delle condizioni storiche concrete che gli concedono di compiere certe azioni e non altre.
In realtà, tutte le concezioni «oggettive» della libertà (come necessaria adesione all’inesorabile realtà della storia) finiscono per celebrare, assieme a Hegel, una cosa sola: il potere6. In fondo a ogni dottrina «realistica» della libertà sta l’accettazione del mondo così com’è, l’obbedienza assoluta a chi comanda o, al massimo, la ribellione a chi comanda oggi per poter imporre domani la stessa illimitata adesione al proprio comando. Sono troppi i rivoluzionari trasformatisi in dittatori per sottovalutare tale pericolo. L’istanza liberale della libertà astratta deve quindi rimanere la «stella polare» della politica e del diritto.

2. Libertà dell’individuo, delle formazioni sociali e nelle formazioni sociali

Le dimensioni della libertà variano a seconda dei contesti in cui si esplicano i comportamenti umani e della natura, individuale o collettiva, dei soggetti che li pongono in essere.
La libertà dell’individuo può riferirsi al «cittadino» (melius, alla persona) in quanto tale e quindi può abbracciare tutto l’ordinamento giuridico, nelle sue varie componenti istituzionali e normative: da tale angolo visuale, la libertà assume un valore costante e richiede una tutela uniforme, qualunque sia l’ambito territoriale nel quale il soggetto vive e opera e qualunque sia la struttura e la forma di governo delle istituzioni in cui si trova inserito. Essa è diretta conseguenza della «dignità umana», sia come status negativus, che implica la difesa dell’individuo dalle costrizioni provenienti dallo Stato, sia come status positivus, che sottintende un mandato allo Stato medesimo di proteggere il singolo dalle costrizioni provenienti da gruppi di potere della società7. Anche nei rapporti strettamente privati, la libertà del cittadino in quanto tale è sempre salvaguardata dall’ordinamento. Non è neppure ammessa la rinuncia a certe libertà fondamentali: per questo motivo sono nulli tutti i negozi con cui il cittadino si impegni, ad esempio, a non mutare partito, a votare sempre per lo stesso partito, a cambiare o non cambiare religione, e così via. Anche nel diritto successorio, dal Code Napoléon in poi, le clausole limitative dei diritti di libertà inserite nelle disposizioni testamentarie si considerano come non apposte8.
Esiste quindi un livello generale in cui le limitazioni della libertà sono tollerate solo in funzione della garanzia di uguali libertà di altre persone o di libertà diverse, ma potenzialmente in conflitto. Come si vedrà più dettagliatamente in seguito, entrambe le problematiche implicano, in nuce, problemi di eguaglianza strettamente intrecciati a quelli della libertà.
Al di sotto del livello generale di tutela della libertà, si collocano livelli di garanzia – rispettivamente più circoscritti e più ampi – delle libertà degli individui all’interno delle formazioni sociali e, a loro volta, di queste ultime, considerate come soggetti collettivi. Si pongono pure i molteplici e gravi problemi delle libertà delle minoranze. Sul piano internazionale, vengono in rilievo le libertà dei popoli sia sul terreno tradizionale dei rapporti tra Stati sia nella prospettiva della globalizzazione.
L’art. 2 della Costituzione italiana garantisce i diritti inviolabili dell’uomo (e quindi, in primo luogo, le libertà fondamentali) sia come singolo, sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità. Se le formazioni sociali, naturali (come la famiglia), istituzionali (come la scuola) o volontarie (come i partiti politici) sono, nella moderna società pluralista, i luoghi dove la persona umana si sviluppa in tutte le sue potenzialità, pubbliche e private, le stesse possono diventare strumenti di costrizione della libertà e concorrere a diventare ostacoli alla libera espansione dell’individuo. Occorre quindi prevedere forme di tutela efficaci all’interno delle singole formazioni sociali9.
Dottrina giuridica e giurisprudenza si sono ampiamente occupate di questa problematica. Resta fondamentale in materia l’insegnamento di Norberto Bobbio: «Il problema attuale della libertà non può essere ristretto al problema della libertà dallo Stato e nello Stato, ma riguarda l’organizzazione stessa dell’intera società civile, investe non il cittadino in quanto tale, cioè l’uomo pubblico, ma l’uomo intero, in quanto essere sociale»10. Ai fini che maggiormente interessano in questa sede, può essere utile rilevare che la stessa formulazione del problema implica l’ineliminabile dialettica, e la necessaria integrazione, tra libertà astratta e libertà concreta. Se al di là della libertà concreta, quale si manifesta e si atteggia nelle specifiche formazioni sociali, non si profilasse l’orizzonte della libertà astratta, in breve tempo si consoliderebbe una miriade di piccole e grandi tirannie, più efficaci e oppressive dell’autoritarismo politico generale.
Può accadere che la libertà del singolo entri in conflitto con quella della formazione sociale, nella quale lo stesso si trova inserito e non è detto che debba, sempre e comunque, prevalere il primo sulla seconda. Dipende dalla natura della formazione sociale e dalla compatibilità specifica dei comportamenti dei singoli in essa compresi. Emerge «la necessità di assumere un punto di vista relativistico, che ricerchi per ognuna delle grandi categorie di formazione i modi più confacenti, in relazione alla struttura e alle funzioni loro proprie e con riferimento alla natura rivestita da ciascun diritto da tutelare, così da giungere alla più soddisfacente tutela dei privati che fanno parte delle formazioni stesse»11.
La libertà del singolo all’interno del partito politico non può essere tutelata – ad esempio – sino ad annullare la libertà dell’intero partito, anch’essa tutelata dalla Costituzione, mettendo in pericolo o comunque gravemente ostacolando il raggiungimento dei suoi fini e il suo regolare funzionamento interno. Come ogni associazione privata, il partito politico ha il diritto di escludere coloro che professano e manifestano idee politiche in radicale contrasto con le finalità statutarie. In tal caso, non viene limitato il diritto del cittadino di manifestare liberamente il suo pensiero politico, ma si ritiene inaccettabile la sua pretesa di manifestarlo in quella sede e in quell’ambito, turbando la libertà del partito nel suo complesso e degli altri iscritti. All’interno delle formazioni sociali «il problema non è tanto quello di risolvere un conflitto fra autorità e libertà quanto quello di contemperare la tutela di diverse ma complementari libertà (riconosciute rispettivamente al gruppo e all’individuo)»12. I diritti degli iscritti si inseriscono nella dialettica politica interna dei partiti e sono variamente disciplinati dagli statuti dei partiti stessi13, che possono ritenersi costituzionalmente legittimi solo se limitano le libertà dei singoli, al solo scopo di mantenere l’identità politica essenziale del partito e imporre un minimo di lealtà agli appartenenti.
Anche nelle problematiche sulla democrazia interna dei partiti politici affiora il tema dell’eguaglianza, giacché la «forma di governo» di queste formazioni sociali tende a essere accentrata e oligarchica, come, già all’inizio del XX secolo, fu osservato da Michels e Ostrogorsky. Per evitare il consolidarsi di forti disuguaglianze tra gli iscritti, soprattutto nella partecipazione alle decisioni politiche dei partiti, è necessario «un bilanciamento tra la regola dell’art. 2 [della Costituzione] e quella, pur riconosciuta e garantita, della loro autonomia organizzatoria, che non tollera alcun interve...

Indice dei contenuti

  1. I. Giusnaturalismo e positivismo
  2. II. Libertà ed eguaglianza come princìpi supremi indivisibili
  3. III. Terreni di confronto