26 maggio 1805. Bonaparte incoronato in Duomo
di Antonino De Francesco
Nel mese di marzo 1805 una delegazione della Repubblica Italiana, guidata dal vice-presidente Francesco Melzi d’Eril lasciò la capitale Milano per raggiungere Parigi, dove incontrò il presidente in persona, quel cittadino Napoleone Bonaparte, che solo alcuni mesi prima, il 2 dicembre 1804, aveva rinunciato alla carica di console a vita della Repubblica Francese per incoronarsi, nella cattedrale di Notre Dame, alla presenza del papa Pio VII, imperatore dei francesi.
Il motivo della missione era scontato: nel nuovo quadro istituzionale di Francia, che vedeva il cittadino Bonaparte divenire Napoleone I imperatore, non era ormai possibile che dall’altra parte delle Alpi, in uno Stato sorto e stabilizzato grazie alle armi dei governi di Parigi, potesse ancora mantenersi la forma repubblicana. Melzi d’Eril, infatti, chiese ufficialmente a Napoleone I di voler cingere anche la corona di re d’Italia, subordinando, non di meno, quella richiesta a talune condizioni: accettasse, l’imperatore dei francesi, che i due Stati rimanessero sempre distinti, prevedendo per il regno d’Italia una successione diversa rispetto a quella dell’impero, ribadisse anche in terra italiana l’eguaglianza di fronte alle leggi stabilita dagli anni rivoluzionari, consentisse un ordine costituzionale che regolasse la vita civile e politica del nuovo Stato e – soprattutto – confermasse la presenza sul territorio del regno di quelle truppe di Francia tanto necessarie alla sua salvaguardia rispetto alle mire della vicina e sempre ostile Austria.
Ovviamente, a tutte queste richieste, Napoleone I, benevolente, puntualmente accondiscese: anche perché quelle condizioni, in precedenza, egli aveva prepotentemente suggerito a coloro che si presentavano ora al suo cospetto. Tuttavia, sembra che sul punto principale – tenere unite nella sua persona le corone d’imperatore di Francia e di re d’Italia – egli avesse non poco esitato e che si fosse deciso a quella scelta solo dopo che due dei suoi fratelli avevano, seppur per motivi tra sé molto diversi, risposto negativamente: il primogenito Giuseppe non aveva inteso rinunciare ai propri diritti sul trono di Francia, atteso che Napoleone, sposato con l’ormai sfiorita Giuseppina di Beauharnais, si reputava non potesse più avere discendenti; Luciano, invece, sembra fosse ancor troppo memore delle giovanili passioni repubblicane per accondiscendere ad una richiesta che troppo strideva con il suo passato politico.
Questa lettura suona però poco convincente e sembra piuttosto l’artificioso alibi che consentì a Napoleone di presentare come un grave fardello al quale non gli era riuscito di sottrarsi quanto era invece un suo chiaro proposito: Bonaparte, infatti, sempre coltivò un rapporto particolare con l’Italia, alla quale sapeva di dover tutte le sue improvvise e straordinarie fortune e mai avrebbe potuto acconsentire che altri, seppure a lui direttamente subordinato, potesse tornare, dopo secoli e secoli, a cingerne la corona. Un’impressione, questa, che trova una clamorosa conferma nelle stesse parole con le quali, al momento dell’accettazione dell’offerta, Napoleone ricordò il profondo legame personale che lo univa alla penisola tutta e alla città di Milano in modo particolare.
Dal momento nel quale noi fummo per la prima volta nei vostri paesi, abbiam sempre avuto il pensiero di rendere indipendente e libera la nazione italiana; e fra le più grandi incertezze degli avvenimenti sempre ebbimo in mira il grande oggetto. Sul principio riunimmo i popoli della sponda destra del Po in repubblica cispadana, quelli della sinistra in transpadana. Di poi, circostanze più felici ci permisero di riunire questi stati e formarne la Repubblica cisalpina. Tra le tante cure che ci occupavano allora, i nostri popoli d’Italia furon grati all’interesse che noi prendevamo per tutto ciò che poteva assicurare la loro prosperità; e quando, pochi anni di poi, ci giunse sulle sponde del Nilo la nuova che l’opera nostra era stata distrutta, fummo sensibili ai mali che vi opprimevano. Grazie all’invincibil coraggio delle nostre armate, noi comparimmo in Milano, mentre i nostri popoli d’Italia ci credevano ancora sul lido del mar Rosso. Tinti ancora del sangue ed aspersi della polvere delle battaglie, la prima nostra volontà fu la riorganizzazione della patria italiana [...] Voi allora credeste utile ai vostri interessi che noi fossimo alla testa del vostro governo; ed oggi, persistendo nella stessa idea, volete che siamo il primo de’ vostri Re. La separazione delle corone di Francia e d’Italia, separazione che può essere utile ad assicurare l’indipendenza de’ vostri discendenti, sarebbe, nel momento presente, funesta alla vostra...