Filantropie
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Le sfide e le visioni della filantropia privata italiana, attraverso le voci di alcune grandi famiglie imprenditoriali con una esperienza concreta sul campo. Alla ricerca del ruolo della filantropia 'made in Italy'.

«Una filantropia attiva e partecipe può rappresentare un fattore fondamentale per la sostenibilità ambientale e sociale del pianeta. Essa costituirà sempre più un vero settore di attività cui dedicare conoscenze e risorse intellettuali e finanziarie.» dalla Postfazione di Innocenzo Cipolletta

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Informazioni

Anno
2017
ISBN
9788858129791

Il ruolo delle imprese sociali

di Letizia Moratti

Letizia Moratti è presidente del consiglio di gestione di UBI Banca, della Fondazione E4Impact, del Comitato etico garanti progetti Ente Nazionale Microcredito-Fondazione San Patrignano e co-fondatrice della Fondazione San Patrignano. Presidente Rai dal 1994 al 1996, nel 2000 è stata Civic Ambassador of the United Nations against Drug and Crime, poi ministro dell’Istruzione, dell’università e della ricerca (2001-2006) e sindaco di Milano (2006-2011). È membro dell’International Board Women for Expo e dell’International Board del Movimento per l’economia positiva.
Le società contemporanee affrontano oggi sfide inedite, quali la crescita demografica, il progressivo invecchiamento della popolazione, l’emergere di nuovi rischi e bisogni sociali causati dal persistere della crisi economico-finanziaria e il conseguente aumento della domanda di servizi di welfare sempre più complessi.
I sistemi tradizionali sono sempre meno sostenibili per i singoli Stati e già oggi in molti paesi si registrano gap miliardari tra la domanda di servizi pubblici e la capacità di far fronte a tale domanda. Il gap entro il 2025 è stimato in 70 miliardi per l’Italia, 80 per la Germania e 170 per il Regno Unito.
È un problema globale che coinvolge tutti i paesi e tutte le società, senza distinzione. Per risolverlo, occorre un vero e proprio cambio di paradigma, l’accettazione di un modo diverso di pensare l’economia. Gli attuali problemi sociali richiedono infatti nuovi modi di pensare e di agire da parte di individui e istituzioni, azioni che incoraggino nuovi sistemi di welfare e un ecosistema favorevole a imprese che si pongono obiettivi sociali.
Questo cambiamento sta avvenendo rapidamente nella nostra società, con la nascita di un modello economico e sociale che non ha precedenti nella storia. In poche parole: il quarto settore e la crescita dell’impresa sociale.
L’emergere del quarto settore è connesso con quelle organizzazioni – le imprese sociali appunto – che si propongono obiettivi sociali nella realizzazione del proprio business. L’organizzazione, infatti, individua come impegno prioritario il raggiungimento di obiettivi sociali che siano intrinseci alla struttura organizzativa stessa. Già oggi, questo tipo di imprese rappresenta, all’interno dell’economia europea, il 10% del PIL e il loro impatto occupazionale coinvolge oltre 11 milioni di lavoratori, cioè il 4,5% della popolazione attiva nell’UE.
L’imprenditoria sociale nell’Unione Europea si sta sviluppando con una rapidità quasi sorprendente: un’impresa su quattro tra quelle create ogni anno nell’Unione Europea è un’impresa sociale, con punte di eccellenza di una su tre in Finlandia, Francia e Belgio. Il peso dell’impresa sociale è particolarmente significativo in Italia, dove circa il 9,7% del totale della forza lavoro nazionale è costituito da addetti dell’economia sociale.
L’esperienza europea in questo campo ha di fatto ampliato la capacità di creare modelli diversi e solitamente efficaci di imprese: sotto il grande cappello non profit ci sono infatti esperienze molto positive in diversi paesi europei. Come quella delle Community Interest Companies (CIC), il modello introdotto dal governo britannico con il Companies Act del 2004 e destinato a imprese che vogliano usare i propri profitti o assets per scopi sociali. La particolare flessibilità di questo modello di impresa, unita all’efficacia dei risultati raggiunti, ha fatto sì che in dieci anni dalla nascita delle CIC si siano registrate oltre 10.000 imprese.
Naturalmente, non bisogna dimenticare l’esperienza positiva – e italiana – delle cooperative sociali: circa 14.000, distribuite in maniera piuttosto uniforme su tutto il territorio nazionale e che, in base all’art. 1, legge 381 dell’8 novembre del 1991, «hanno lo scopo di perseguire l’interesse generale della comunità alla promozione umana e all’integrazione sociale dei cittadini».
Lo sviluppo di un arcipelago così vasto di modelli di impresa sociale ha portato ad una progressiva necessità di riflettere sugli strumenti a supporto di un’economia così vivace e crescente. L’interrogativo che più frequentemente si pone è: di che cosa ha bisogno l’impresa sociale per crescere e svilupparsi andando a costituire le fondamenta di quel cambio di mentalità indispensabile per rispondere alle necessità odierne e delle future generazioni?
La risposta è sicuramente articolata, ma segue sostanzialmente due direttrici: la regolamentazione, da un lato, e l’accesso al capitale, dall’altro. Sul primo punto, in particolare, occorre un ampliamento del perimetro normativo che agevoli lo sviluppo dell’impresa sociale e di policies fiscali favorevoli all’implementazione del comparto. Per quanto riguarda l’accesso al capitale, è di estremo interesse pensare a una finanza nuova che superi concetti del passato e visioni tradizionali della filantropia, integrandosi con i modelli di business profit.
I numeri della finanza etica sono già oggi molto significativi: secondo il Global Sustainable Investment Alliance (GSIA), il network internazionale delle associazioni di finanza sostenibile, nel 2014 gli investimenti socialmente responsabili realizzati nel mondo ammontavano a 21mila miliardi di dollari. Nel continente europeo sono aumentati del 30% dal 2012 al 2014. Fra le strategie più presenti nei portafogli europei sta trovando sempre maggiore spazio l’impact investing, cresciuto del 146% nel biennio preso in considerazione.
L’impact investing assume un ruolo determinante per lo sviluppo del quarto settore e dell’impresa sociale. Sue caratteristiche distintive sono l’intenzionalità dell’investitore di generare un impatto sociale, l’aspettativa di un rendimento economico che motivi questo investitore, la flessibilità del tasso di rendimento atteso, la varietà degli strumenti finanziari utilizzati e delle forme di intervento, che spaziano dal debito all’equity puro. Oltre a queste caratteristiche, anche la misurabilità dell’impatto è fondamentale per assicurare trasparenza e accountability agli investitori.
Quello della trasparenza e della verificabilità è un tema particolarmente importante, come dimostra, ad esempio, la Comunità di San Patrignano. Il modello di recupero di San Patrignano è un’eccellenza nel settore ed è ammirato e imitato in molti paesi del mondo. La Comunità non è però solo il punto di riferimento nel recupero dalla tossicodipendenza e dal disagio sociale: è anche un’impresa sociale vera e propria, con alcune peculiarità che la portano ad essere all’avanguardia nel panorama italiano. Il suo modello organizzativo è infatti propriamente quello di un’impresa sociale moderna, grazie a tre fattori chiave che lo caratterizzano: gratuità, autosostenibilità e verificabilità dei risultati.
San Patrignano è infatti totalmente gratuita per i ragazzi e per le loro famiglie e non richiede fondi allo Stato né ad altri enti pubblici. Da San Patrignano, anzi, il welfare nazionale ottiene vantaggi economici, e proprio la gratuità della Comunità permette allo Stato italiano un risparmio annuo di circa 14.600.000 euro per le quasi 1.000 persone presenti, non soggette a soluzioni alternative al carcere o in affidamento.
Nei suoi oltre trent’anni di attività San Patrignano ha inoltre permesso a più di 3.500 persone condannate per reati connessi alla tossicodipendenza (complessivamente 4.766 anni di detenzione) di convertire il carcere in un percorso in comunità alternativo alla pena, favorendo un ulteriore risparmio per lo Stato di complessivi 312 milioni di euro. Su base annua, parliamo di una media di 6.394.800 euro di risparmio, considerando mediamente circa 80 persone l’anno presenti a San Patrignano e una differenza di 219 euro al giorno tra il costo pro capite per lo Stato in una struttura carceraria (250 euro) e quello a San Patrignano (31 euro).
Nel complesso, il risparmio annuo per lo Stato è pari a circa 21.050.000 euro; se poi volessimo aggiungere il guadagno derivante dalle tasse su attività lavorativa provenienti da tutti coloro che, avendo seguito con successo il percorso di recupero in comunità, rientrano in maniera produttiva nella società, potremmo aggiungere un altro milione di euro circa.
San Patrignano è quindi un esempio concreto di come le imprese sociali possano offrire un contributo attivo ai cittadini e ai sistemi nazionali di welfare in un momento in cui, per via della crisi economica strutturale che stiamo vivendo e della scarsità di risorse, lo Stato si ritrae da questi servizi fondamentali.
L’obiettivo dell’autosostenibilità economica, invece, si raggiunge anche attraverso la produzione e la commercializzazione dei prodotti realizzati dai ragazzi all’interno della Comunità. Qui si concretizza il secondo aspetto più interessante di San Patrignano come impresa sociale, il rapporto tra formazione e produzione. A San Patrignano sono presenti diversi settori produttivi per mezzo dei quali i ragazzi e le ragazze innanzitutto riacquistano il proprio equilibrio e la propria dignità: attraverso il lavoro ritrovano il contatto con il mondo e la relazione con gli altri; attraverso la produzione agricola e agro-alimentare o quella di oggetti di moda e di arredo, tutto di eccellente qualità, apprendono il valore dell’impegno, della cura e di un lavoro attento.
Quelli menzionati sono solo alcuni dei dati positivi che caratterizzano i risultati della Comunità, la quale crede molto nella verificabilità dei risultati ottenuti, uno dei criteri più importanti nella valutazione delle moderne imprese sociali. Da quasi vent’anni, pertanto, San Patrignano si sottopone a periodiche indagini scientifiche che valutano la validità del suo programma, nella convinzione che sia dovere di ogni realtà di utilità sociale dimostrare con trasparenza la propria efficacia. Osservazioni periodiche effettuate dalle Università di Bologna, Urbino e Pavia hanno preso in esame ex ospiti di San Patrignano a distanza di almeno tre anni dalla conclusione del loro percorso e hanno appurato che oltre il 70% di quanti sono stati nella Comunità, una volta concluso il proprio programma educativo e a distanza di anni, si è completamente reinserito nella società e non fa uso di alcun tipo di droga.
Questo genere di trasparenza e di verificabilità costituisce una delle basi per favorire la crescita degli investimenti a impatto sociale. Investimenti che possiedono le carte in regola non solo per affrontare positivamente alcuni dei problemi globali ricordati all’inizio, ma anche per permettere la crescita economica dei contesti in cui vengono realizzati.
Gli investimenti a impatto sociale potrebbero infatti sviluppare l’imprenditorialità sociale grazie a nuovi flussi di capitali investiti secondo la logica Impact, determinando opportunità utili per spingere le imprese sociali a crescere e a offrire più servizi, a perfezionare gli standard di trasparenza, sia finanziaria che sociale, a sviluppare nuove competenze, a consentire la replicabilità delle esperienze.
Potrebbero inoltre migliorare l’efficienza e l’efficacia della spesa pubblica per i servizi di welfare, in particolare rispetto agli interventi di natura preventiva – oggi scarsamente finanziati. L’approccio Impact è in grado di diffondere negli interventi pubblici una proposta centrata sulla misurazione dell’impatto sociale generato, sull’esempio dei cosiddetti strumenti pay-for-success.
L’Advisory Board della Social Impact Investment Task Force – il gruppo istituito nel luglio 2013, nel corso della presidenza britannica del G8, con l’obiettivo di promuovere nei singoli paesi aderenti lo sviluppo e la diffusione degli investimenti ad impatto sociale – ha permesso la condivisione di diverse iniziative che alcuni governi nazionali stavano sviluppando per sostenere l’impact investing nei propri paesi.
Esempi interessanti sono quello del governo francese, che nel 2009 ha lanciato un fondo da 250 milioni di euro gestito dal CDC Group Proparco per realizzare investimenti in aziende che hanno un alto grado di sviluppo in Africa attraverso, per esempio, la creazione di posti di lavoro e il supporto alla crescita sostenibile; oppure l’iniziativa promossa nel 2010 dal governo canadese, che ha creato Grand Challenges Canada, sempre per facilitare gli investimenti nei paesi in via di sviluppo; o ancora nel 2012 quella del Dipartimento per lo sviluppo internazionale del Regno Unito, che ha lanciato un impact fund da 75 milioni di sterline che ha investito due anni dopo in Novastar Ventures, un fondo di venture capital dedicato allo sviluppo di business particolarmente innovativi nell’Africa orientale fatti da aziende che mirano a semplificare l’accesso a beni e servizi essenziali di healthcare, servizi agricoli, energia, abitazioni, educazione e conservazione delle acque.
Infine, nel 2013 un’istituzione finanziaria del governo USA per lo sviluppo, la Overseas Private Investment Corporation (OPIC), ha approvato l’allocazione di 285 milioni di dollari per la creazione di sei nuovi impact investment funds.
L’analisi di queste esperienze ha permesso alla Task Force internazionale di stendere un rapporto in cui si sottolinea il potenziale degli investimenti ad impatto quali strumenti in grado di affrontare alcuni tra i più pressanti rischi e bisogni sociali per i quali gli attuali sistemi di welfare faticano a garantire risposte adeguate – come la cura dell’infanzia e degli anziani, il sostegno alle comunità locali, l’inclusione finanziaria, il disagio abitativo, la recidiva dei detenuti.
Occasioni di confronto che hanno favorito la comprension...

Indice dei contenuti

  1. Introduzione
  2. La filantropia come «forma mentis»
  3. Ridefinire il ruolo della filantropia
  4. Responsabilità, sostenibilità, impegno civile: fare filantropia oggi
  5. Il caso SAFM:quando la filantropia incontra l’innovazione
  6. Il mondo intorno alle filiere
  7. «Bricolage» mecenatesco
  8. Il ruolo delle imprese sociali
  9. Nuovo mecenatismo: educare, progettare, partecipare
  10. Il coraggio di cambiare, la voglia di sperimentare
  11. La qualità invisibile
  12. Postfazione. «Venture philanthropy», «nouveaux philanthropes»