Che fare di Carl Schmitt?
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Che fare di Carl Schmitt?

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Un giudizio di Karl Jaspers condensa efficacemente la questione 'Carl Schmitt': quest'ultimo, insieme a Heidegger, tentò di «prendere intellettualmente la testa del movimento nazionalsocialista». Per questo, poco più di vent'anni fa suscitò scandalo la pretesa di considerarlo come un autore destinato diventare 'un classico del pensiero politico'. Oggi, invece, la questione è molto più chiara: un autore al quale sono dedicate dozzine di volumi e articoli ogni anno è già, piaccia o no, un classico. È vero, i suoi avversari teorici – da Strauss a Löwith, da Peterson a Kojève, passando per Blumenberg, Habermas, Derrida – ne hanno discusso aspramente le tesi, spesso per respingerle: ma se oggi esiste un 'caso Schmitt' è proprio perché questo autore, insieme alle sue divagazioni naziste, ha scritto opere che sono da annoverare tra le più importanti e potenti della teoria giuridica e politica del ventesimo secolo. Alcuni concetti elaborati da Schmitt, come il nomos della terra e la costituzione come 'decisione esistenziale', e altri riformulati con originalità come il potere costituente e lo Stato di diritto 'borghese', contribuiscono a illuminare questioni fondamentali quali il rapporto tra razionalità e decisione, il radicamento delle norme giuridiche nelle istituzioni, gli effetti perversi del ritorno della morale nella politica internazionale.Jean-François Kervégan 'riparte da Carl Schmitt' in due modi: da un lato prendendone congedo quando necessario, dall'altro cogliendo i concetti che ci aiutano a reinterpretare il mondo contemporaneo, in quanto Schmitt, dalla sua posizione esterna e anche ostile nei riguardi dei presupposti delle nostre riflessioni, ci aiuta indubbiamente a formularle e affrontarle meglio.

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Informazioni

Anno
2016
ISBN
9788858125441
Argomento
Filosofia

Capitolo III.
Teologia

Auch hier sind Götter und walten,
Groß ist ihr Maß.
Hölderlin, Der Wanderer163
Partiremo da due affermazioni contraddittorie:
I teologi tendono a definire il nemico come qualcosa che va annientato. Io sono però un giurista e non un teologo164.
Io sono un teologo della scienza del diritto165.
Come è possibile, contemporaneamente, essere e non essere un teologo, e ‘teologo’ in quale senso? Cosa comporta tutto ciò rispetto allo statuto e ai contenuti, entrambi molto discussi, della «teologia politica»? Questi sono i nodi problematici che ora ci sforzeremo di sciogliere.

1. Un concetto «polimorfo»

La nozione di ‘teologia politica’ – Schmitt non ha certo coniato l’espressione: piuttosto, è l’utilizzo che ne fa ad essere particolare – è polisemica, per non dire contraddittoria; la maggioranza dei commentatori ha segnalato questo aspetto166, compresi coloro che hanno provato a ricondurre a unità i suoi diversi significati167. Basterebbe sfogliare i due libri nei quali tale espressione compare nel titolo per rendersi conto del fatto che il contesto del suo uso è quanto meno flessibile. Lo stesso Schmitt lo segnala, ammettendo la palese differenza tra l’oggetto dell’analisi e le preoccupazioni dell’autore tra Teologia politica I e II: «La teologia politica è un àmbito estremamente polimorfo; inoltre essa ha due diversi aspetti, uno teologico e uno politico; ciascuno si orienta verso i suoi specifici concetti»168. Si è tentati – e Schmitt sembra invitarci a ciò – di considerare che, mentre la Teologia politica del 1922 ne esplora, in particolare nel terzo capitolo, l’aspetto «politico» (più precisamente: giuridico-politico), sviluppando quella che viene definita, in modo alquanto enigmatico, una «sociologia dei concetti giuridici», la Teologia politica II, per la maggior parte orientata al rifiuto della «leggenda» della «liquidazione [concettuale] di ogni teologia politica» da parte del cristianesimo, tratterebbe invece dell’aspetto strettamente teologico della locuzione. In ogni caso, la questione non è ben definita e va analizzata più accuratamente.
Quando nel 1922 Carl Schmitt pubblica il volumetto intitolato Teologia politica. Quattro capitoli sulla teoria della sovranità169, la locuzione presente nel titolo non è per nulla di uso corrente, né in Germania né altrove, tanto che nel 1935 il teologo Erik Peterson nella nota finale alla sua opera sul monoteismo politico – opera alla quale Schmitt risponderà trentacinque anni dopo pubblicando Teologia politica II – ritiene di poter affermare che «il concetto di ‘teologia politica’ è stato introdotto nella letteratura, per quanto io ne sappia, da Carl Schmitt»170. Naturalmente, per ‘letteratura’ bisogna intendere ‘letteratura secondaria’. In effetti, un colto esegeta dei Padri della Chiesa come Peterson non poteva ignorare le osservazioni critiche che Tertulliano prima, e Agostino poi171, dedicarono alla tripartizione della teologia elaborata – come sembra – dal pontefice Scaevola, ed esposta da Varrone in un passo che conosciamo grazie ad Agostino: secondo Varrone, la theologia si suddivide in fabularis (mythikè), naturalis (physikè) e civilis (politikè). In ogni caso tutto il libro di Peterson – sotto l’egida dell’invocazione di sant’Agostino – dimostra che per lui, così come per Schmitt, al centro dell’attenzione non è per nulla la «teologia politica» romano-pagana, la quale corrisponde a ciò che si potrebbe definire, con lessico moderno, religione civile. Ed è per questo che la conclusione del libro VI della Città di Dio «gli Dei adorati dalla teologia politica non possono offrire la vita eterna»172 non riguarda né la teologia politica di Peterson né quella di Schmitt. In effetti per entrambi (i quali, peraltro, giungono a conclusioni opposte) il problema teologico-politico non può essere analizzato in modo sensato se non nel quadro di una religione rivelata e del tipo di teologia che quest’ultima comporta.
Peterson sbaglia, però, nel momento in cui fa intendere che Schmitt sarebbe stato il primo a introdurre la nozione di teologia politica nella letteratura moderna. Almeno un autore moderno lo ha preceduto, utilizzandone l’espressione173, ed è un autore richiamato più volte in Teologia politica, dove ne è sottolineata l’«importanza intellettuale»174. Proprio leggendo Cattolicesimo romano e forma politica (1923), libretto che – come afferma Peterson – è un elogium della Chiesa, la cui redazione è contemporanea a quella della prima Teologia politica, si può notare come Schmitt tragga l’espressione ‘teologia politica’ dall’autore di La teologia politica di Mazzini e l’Internazionale: quel Michail Bakunin175 che, scrive Schmitt, «ora, con impeto da Scita, ingaggia battaglia contro religione e politica, contro teologia e giurisprudenza»176. Il modo in cui Carl Schmitt si impossessa, trasformandola in un proprio emblema, di un’espressione usata da un autore totalmente opposto alle sue posizioni religiose, politiche e teoriche, è veramente rivelativo del suo procedere intellettuale, e spiega in anticipo la sua famosa e successiva tesi – la cui prima formulazione risale al 1927 – secondo cui il criterio del ‘politico’ è la relazione amico/nemico. Questa appropriazione di un’espressione elaborata da un ‘nemico’, che Schmitt arriverà a definire, con Cromwell, «provvidenziale»177, rivela il carattere fortemente polemico, e di conseguenza politico, di tale teologia politica, che Schmitt pretende derivi, nel momento in cui ne introduce il concetto, da una semplice «analisi sociologica» dei concetti politici178, e abbia quindi una funzione e un carattere esclusivamente scientifici.
Si tratta di un’attitudine che trova sviluppo, molto più tardi, in uno dei pezzi che compongono Ex Captivitate Salus: quello intitolato La sapienza della cella, dove si afferma l’esistenza di un legame essenziale – in termini schmittiani meglio sarebbe dire esistenziale – con quel nemico che è, per noi, «l’altro». È soltanto all’interno della mia relazione con l’altro, spiega lì Schmitt parafrasando alcune formule del «Filosofo» (Hegel), che posso essere me stesso. E aggiunge: «Il nemico è la personificazione del nostro proprio problema»179. Questa glossa retrospettiva alla formula utilizzata in Der Begriff des Politischen (la quale è lungi dal rappresentare, come molti ritengono, tutto il pensiero di Schmitt, e nemmeno la sua riflessione sul politico) sottolinea quanto meno le radici teologiche della concezione schmittiana del ‘politico’; e dà senso, nello stesso passaggio di Ex Captivitate S...

Indice dei contenuti

  1. Prefazione all’edizione italiana
  2. Prologo. Tra Leviatano e Behemoth
  3. Parte prima. Un pensatore essenzialmente contestabile
  4. Capitolo I. Un’opera criptica
  5. Capitolo II. Ricezioni e polemiche. Studio di un caso
  6. Un bilancio intermedio: partire da Carl Schmitt
  7. Parte seconda. Che fare di Carl Schmitt?
  8. Capitolo III. Teologia
  9. Capitolo IV. Normatività
  10. Capitolo V. Legittimità
  11. Capitolo VI. Politica
  12. Capitolo VII. Mondo
  13. Epilogo. Il dissenso
  14. Riferimenti e abbreviazioni