Introduzione a Hölderlin
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Introduzione a Hölderlin

  1. 170 pagine
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Introduzione a Hölderlin

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Poeta e filosofo, Friedrich Hölderlin (1770-1843) è stato uno dei punti di riferimento essenziali sia per il coetaneo Hegel che per Schelling. I frammenti filosofici di Hölderlin sono segnati dall'interesse per la tematica del tragico e la riconciliazione con la natura, mentre l'opera poetica dal problema dell'unificazione di soggetto e oggetto, centrale nell'idealismo tedesco. Il testo si sofferma prima sul periodo di Jena, dove Hölderlin ha la possibilità di discutere con Fichte sul fondamento ultimo della scienza, poi sulla stagione francofortese, dove Hölderlin e Hegel si ritrovano. Dalle discussioni intercorse fra i due amici – protocollate nel più antico programma sistematico dell'idealismo tedesco – prende avvio il sistema hegeliano e la scelta per il primato del Bello di Hölderlin.

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Informazioni

Anno
2014
ISBN
9788858117699
Argomento
Filosofia

VIII. Estetica e linguaggio

Hölderlin lascia casa Gontard e la città di Francoforte nel settembre 1798, quando il banchiere viene a scoprire il rapporto che lega la moglie al giovane precettore. Su invito dell’amico Sinclair, Hölderlin si trasferisce nella non lontana Homburg, così da poter rimanere in contatto con Susette. Le complicazioni esistenziali e le incerte prospettive lavorative non favoriscono l’elaborazione dei suoi scritti teorici. I testi filosofici e poetologici della stagione successiva a quella felice di Francoforte, che oltre a Homburg riguarderà la breve permanenza in Svizzera e a Bordeaux per concludersi nella Torre di Tübingen, sono contrassegnati dalla frammentarietà. Incompleta resta la sua tragedia, La morte di Empedocle, a cui per anni aveva lavorato con intensità. Anche il progetto accarezzato a Homburg, di pubblicare un proprio giornale letterario di stampo umanistico, non giungerà a maturazione. Il bilancio che Hölderlin può fare della sua statura intellettuale non è soddisfacente. La sua fama cresce, ma anche il suo isolamento personale. La produzione poetica invece guadagna in intensità e purezza: la prova esistenziale si ripercuote ‘positivamente’ sull’elaborazione artistica. In questi anni infatti Hölderlin scrive i suoi inni più famosi come L’Unico, Festa di pace, Patmos e Rimembranza.
Alcuni critici, fra cui il Wackwitz, hanno ipotizzato che i brevi saggi del periodo di Homburg in realtà devono essere considerati schizzi di un unico progetto editoriale finalizzati a comporre un’opera di estetica1. La tesi di Wackwitz sembra plausibile, Hölderlin sapeva che i reiterati tentativi di avvicinarsi al mondo universitario potevano avere successo solo se suggellati da un solido trattato accademico.
Pur nell’asistematicità dei suoi scritti estetici, Hölderlin sembra non avere dubbi sul posto che l’arte è chiamata a occupare all’interno di una nuova visione filosofica. La religione e la filosofia sono sì funzionali alla promozione e alla giusta impostazione del problema al contempo storico e metafisico dell’unità e della differenza. E lo sono proprio in quanto l’aspetto ideale trova nella filosofia la strumentazione logica necessaria per essere pensabile. Ma religione e filosofia, pur nel guadagno che ricevono dal loro stare insieme, hanno bisogno, secondo Hölderlin, della condizione mitica, del linguaggio poetico per favorire fino in fondo la nascita della ‘nuova individualità’. La fede e il pensiero devono trovare espressione nella sconvolgente narrazione tragica, per diventare rispecchiamento biografico di una storia sensata, per poter rendere attuale e interiorizzare l’infinito stesso.
Johann Kreuzer ha cercato di rintracciare negli scritti estetici di Hölderlin una ‘logica poetica’ che partendo dallo studio del ritmo sia in grado di spiegare come la coscienza possa risolvere il problema dell’identità e della differenza. Alla logica della filosofia, che opporrebbe l’unità alla differenza, Hölderlin preferirebbe la logica della poesia, che cercherebbe di raggiungere l’unità attraverso la differenza2. Credo che una distinzione di questo tipo non sia giustificabile dal punto di vista filosofico, basta ricordare come fin dal neoplatonismo questo problema metafisico ha trovato una risposta nel pensare l’identità originaria come appartenente nella differenza3. Ma soprattutto credo non corrisponda all’intento di Hölderlin, caratterizzato dal primato linguistico dato alla bipolarità originaria del rimando insieme logico ed esistenziale. «Il prodotto di questa riflessione creativa è il linguaggio», dice Hölderlin in Una volta che il poeta sia padrone dello spirito. Poi spiega nel modo seguente l’esigenza primaria di far precedere al conoscere la scoperta di un proprio linguaggio:
Nel momento in cui il poeta, nella totalità della sua vita interiore ed esteriore si sente compreso nel puro tono della sua sensazione originaria e guarda intorno a sé nel suo mondo, questo mondo è per lui talmente nuovo e sconosciuto che la somma di tutte le sue esperienze, del suo sapere, del suo intuire, del suo pensare – arte e natura come si rappresentano in lui e fuori di lui – tutto è per lui presente quasi fosse la prima volta, e proprio per questo è incompreso, indeterminato, dissolto in mera materia e vita. È allora particolarmente importante che il poeta in questo momento non assuma nulla come dato, non muova da niente di positivo – che natura e arte, come ha imparato a conoscerle e a considerarle, non parlino prima che vi sia per lui un linguaggio, vale a dire prima che tutto quanto vi è di sconosciuto e di senza nome nel suo mondo divenga noto e assuma un nome per lui, proprio perché è stato paragonato e riconosciuto concordante con il suo stato d’animo4.
Nello scritto Das untergehende Vaterland (La patria in declino), composto a Homburg agli inizi del 1800, Hölderlin tratta il tema della disgregazione sociale ed esistenziale a partire dalle categorie modali. La trasformazione di ciò che era percepito come unitario, è vista innanzitutto come possibile, perché la realtà che si disgrega resta tale e, pur nella sua ‘indeterminatezza’, ha un suo effetto. Produce un senso di nullità che è comunque reale. Ciò che si disgrega diventa necessario perché viene a trovarsi in una condizione intermedia tra essere e non essere, cioè in una condizione ontologicamente favorevole. «La nuova vita è ora reale, quello che doveva disgregarsi e si è disgregato è possibile, idealmente antico, la disgregazione risulta necessaria e porta il suo carattere specifico tra essere e non essere. Ma nella condizione tra essere e non essere il possibile diventa ovunque reale e il reale ideale, e questo, nella libera imitazione artistica, è un sogno terribile ma divino»5. È nella possibilità di essere e al contempo non essere del reale che l’idealità diviene necessaria. «La disgregazione dunque, in quanto necessaria, dal punto di vista del ricordo ideale, diviene, come tale, l’oggetto ideale della vita rinata»6.
Hölderlin lo dice solo di sfuggita, ma è evidente che questo processo logico, ‘terribile e divino’ al contempo, può essere sperimentato e ricreato unicamente dall’artista. È la nuova coscienza estetica, la morte e la nascita di un nuovo linguaggio, a fare della disgregazione un ‘atto riproduttivo’, che rende a sua volta possibile la formazione di un altro punto vitale.
Questo testo di difficile lettura non è sicuramente stato pensato per la pubblicazione, ma contiene la riflessione più matura circa il dispiegamento tematico dell’assoluto. Si tratta del testo che meglio indica lo spessore teorico delle discussioni francofortesi, in modo particolare quelle intercorse con l’amico Hegel.
Non è più Diotima a convincere Hyperion dell’esistenza dell’assoluto, Hölderlin cerca di individuare la logica interna che favorisce l’imporsi della preminenza estetica come linguaggio poetico. Per questo distingue fra una disgregazione (intesa come motore del divenire) ideale, celeste, e una terrena, reale. La prima muove dall’infinito al finito, è quella da cui bisogna partire per comprendere la disgregazione individuale non come morte, ma come amore, come ‘un (trascendentale) atto creativo’. Binder a questo proposito sostiene: «Hölderlin pensa, come sempre, dall’alto verso il basso, non come Hegel dal basso verso l’alto»7, e ciò rappresenta la seconda forma disgregativa.
Il problema di Hölderlin, che sarà a lungo anche di Hegel, è quello di trovare il modo in cui finito e infinito possono incontrarsi guadagnando e al contempo perdendo l’uno l’idealità per la realtà e l’altro la realtà per l’idealità. Il problema cioè di dare un senso filosofico alla contraddittorietà del rapporto fra l’essere finito e il sogno dell’infinità. Credo che non siamo molto distanti da quanto più tardi Hegel dirà sul rapporto fra buona e cattiva infinità. Anzi, le parole di Hölderlin possono essere lette come l’interiorizzazione categoriale dell’infinità. ‘Ideale finito’ e ‘reale infinito’ sono interdipendenti, ma, a differenza di Hegel, la loro unificazione è una condizione mitica, avviene cioè nel regno dell’invenzione artistica. La fine del contrasto, la creazione del nuovo individuo passa per un’unificazione di tipo tragico. Il nuovo individuo è il poeta stesso, perché solo in lui la ragione dell’ideale e le tracce d’infinità presenti nel reale, nella natura, nell’amore umano possono trovare una conciliazione creativa. Non un’unificazione intellettuale, bensì un creativo avanzamento nella ridefinizione temporale della totalità. Posta in questi termini la base del confronto fra l’impostazione estetica di Hegel e quella di Hölderlin, risulta chiaro quanto dichiarato da Dieter Henrich: «Il sistema hegeliano è una risposta a Hölderlin»8.
Ponendosi in contrasto con il primato teorico della ragione speculativa, l’estetica di Hölderlin pretende di possedere il linguaggio giusto per dire l’ultima parola e per renderla universalmente comunicabile. Non si può quindi sostenere che «gli dèi di Hölderlin abitano nel concetto hegeliano»9, casomai che il ‘concetto di concetto’ di cui parla Hegel, ha la pretesa di comprendere anche la ‘parola originaria’10 che tanto interessa a Hölderlin. Gli dèi di Hölderlin abitavano prima in terra greca e poi sono apparsi in occidente, unificati nel monoteismo poetico delle sacre scritture. Essi si fanno presenti nella parola dell’uomo:
Che mai sarebbe il mare e il cielo,
e le isole e le stelle, e quanto all’occhio umano
si offre, che mai sarebbe questo spento suono
di cetra se io non gli infondessi
suono e anima e parola? Cosa
sarebbero gli dèi e il loro spirito
se io non li affermassi? Dimmi, chi sono io?11
Hölderlin sa che il rapporto con il divino non può avere quella immediatezza e spontaneità che ai greci era concessa. Come dice giustamente Bruno Snell, facendo un confronto con Pindaro, l’epoca cristiana è inequivocabilmente segnata dalla ricerca del divino, l’orizzonte del quale sembra essere tramontato di fronte agli occhi increduli del filosofo e del poeta.
Quando un poeta cristiano intona il suo Te Deum, egli non contempla più l’opera di Dio con la stessa semplicità di Pindaro; e quando Hölderlin, proseguendo per la via aperta da Pindaro (per quanto nella sua poesia riecheggi l’esaltazione cristiana di Dio), fa della celebrazione l’oggetto dei suoi inni, o quando per Rilke, che si ricollega a sua volta a Hölderlin, ma con ancor più decisa impronta cristiana, il poeta è «colui che ha il compito di cantare la lode», l’oggetto di questa lode non si presenta più in modo limpido e chiaro davanti ai loro occhi. Entrambi considerano compito del poeta cercare questo oggetto; e già per questo la lode non può essere così spontanea e naturale, come nell’era greca arcaica.12
Infatti nel Fragment von Hyperion Hölderlin dirà «Noi non siamo nulla, ciò che cerchiamo è tutto».
Il contrasto latente tra filosofia e poesia intesi come generi letterari, non è un’invenzione della riflessione moderna. Già Platone nella sua Repubblica parla dell’antagonismo fra le due facoltà umane richiamandosi a quanto Aristofane e altri meno conosciuti autori avevano affermato, definendo la poesia come «la cagna che abbaia al suo padrone con voce gracchiante» e i poeti «quelli che si spremono il cervello perché sono pover’uomini»13. Per Platone la poesia è stata giustamente bandita dalla città perché non ha saputo giustificare il senso della sua funzione.
In ogni caso – dice Socrate a Glaucone – sia detto chiaramente, se la poesia imitativa suscitatrice di piacere avesse ragioni da addurre a favore del suo diritto di cittadinanza in uno Stato ben organizzato, noi saremmo ben felici di accoglierla, perché siamo perfettamente c...

Indice dei contenuti

  1. I. La tradizione sveva, gli studi a Tübingen, il giacobinismo
  2. II. Platonismo e linea di frontiera kantiana
  3. III. Jena, l’incontro con Fichte, «Giudizio e Essere»
  4. IV. Iperione, Empedocle e l’esistenza tragica
  5. V. Hölderlin e l’idealismo dialettico
  6. VI. Hölderlin e i letterati
  7. VII. Francoforte, un ‘libro non dotto’
  8. VIII. Estetica e linguaggio
  9. Cronologia della vita e delle opere
  10. Storia della critica
  11. Bibliografia