Storia dei media digitali
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Storia dei media digitali

Rivoluzioni e continuità

  1. 208 pagine
  2. Italian
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Storia dei media digitali

Rivoluzioni e continuità

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Quanto è rivoluzionaria la cosiddetta ‘rivoluzione digitale'? E quanto, invece, il digitale affonda le proprie radici nei vecchi media analogici dell'Otto-Novecento? Partendo da questi interrogativi, Gabriele Balbi e Paolo Magaudda ci guidano in un originale viaggio attraverso la storia dei media digitali, dalla prima metà del Novecento ai giorni nostri. Con un'ottica globale, gli autori ripercorrono le tappe principali della storia del computer, di internet, del telefono cellulare e della digitalizzazione di alcuni settori dell'industria culturale quali musica, stampa, cinema, fotografia e radiotelevisione. Tra rotture rivoluzionarie e sorprendenti continuità, Storia dei media digitali getta uno sguardo disincantato su una delle mitologie del nostro tempo.

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Informazioni

Anno
2014
ISBN
9788858118092

1. Capire i media digitali

1.1. Una nuova ‘ossessione’: il digitale

I media digitali sono diventati una delle principali ‘ossessioni’ della società contemporanea: connettersi in rete, acquistare prodotti on line, scaricare una app, aggiornare il proprio profilo virtuale, scambiare e-mail o sms sono solo alcune tra le infinite attività e i gesti abitudinari entrati a far parte della vita quotidiana di miliardi di persone.
I media digitali rappresentano un settore cruciale della società contemporanea anche in relazione al loro peso economico, produttivo e dunque politico. Nel 2012 il mercato mondiale delle comunicazioni digitali era pari a 3.168 miliardi di euro, circa il 6% del prodotto interno lordo dell’intero pianeta, che in quell’anno valeva complessivamente 52.550 miliardi di euro. Una fetta consistente della ricchezza prodotta sul pianeta nel 2012 proveniva quindi dalle comunicazioni digitali e, in particolare, dalle telecomunicazioni (circa il 46% del totale tra mezzi e servizi), dal mercato dei computer (36% comprendendo hardware e software), dai servizi di televisione digitale (10% circa) e dall’elettronica di consumo (8%).
I media digitali stanno anche trasformando flussi e geografie della comunicazione. Da un lato, essi non si stanno evolvendo in maniera uniforme in tutte le parti del pianeta e talvolta hanno addirittura amplificato le disuguaglianze esistenti nelle diverse parti del globo, soprattutto se guardiamo alle dimensioni dei differenti mercati mediali. In rapporto alla loro popolazione, per esempio, alcune regioni del pianeta stanno producendo e consumando beni e servizi digitali in misura maggiore rispetto ad altre: nel 2012 il 30% del mercato dei media digitali era concentrato in Nord America e il 27% in Europa, mentre le restanti regioni della terra, che pure sono fra le più popolose, partecipavano in misura ben minore (29% nell’Asia e nel Pacifico, 9% in America Latina, 6% in Africa; sui dati citati cfr. Idate 2013: 28, 43 e 65). D’altro canto, proprio grazie al digitale e soprattutto alla telefonia mobile – come diremo nel capitolo 4 – molte regioni di Africa, America Latina e Asia accedono oggi a strumenti di comunicazione personale che anni fa erano perlopiù riservati ai continenti più ricchi e, oltretutto, proprio da questi territori provengono alcuni tra gli usi più interessanti e ‘inattesi’ dei media digitali.
Questi dati individuano un elemento di partenza per comprendere il fenomeno dei media digitali: nelle società contemporanee, in quelle a capitalismo avanzato e non solo, il digitale rappresenta oggigiorno un centro nevralgico d’interessi culturali, politici ed economici. Almeno a partire dalla diffusione popolare di internet, nella seconda metà degli anni Novanta del Novecento, le tecnologie digitali e i flussi di dati immateriali hanno rappresentato una delle chiavi d’interpretazione più ricorrenti per mettere a fuoco le trasformazioni della società contemporanea. I media digitali e il loro uso sono così diventati metafore per descrivere e dare senso alle società del tardo Novecento e d’inizio Duemila: Stéphane Vial (2013) ha parlato in proposito di «ontofania digitale», utilizzando un’espressione traslata dalla semantica religiosa per indicare quanto l’universo digitale ‘si manifesti’ compiutamente (dal greco on, che significa essere, e faneia, apparizione) e condizioni l’esperienza e la percezione del mondo contemporaneo.
Negli ultimi decenni molte delle maggiori paure e insicurezze (la privacy, la moralità, la perdita di competenze cognitive), ma anche altrettante speranze e aspettative positive (di democrazia o di prosperità economica), sono state ripetutamente associate alla diffusione dei media digitali. Internet e i computer, i social network e gli smartphone, i lettori mp3 e i programmi di file sharing hanno rappresentato non solo dispositivi, piattaforme e sistemi entrati a far parte delle routine quotidiane, ma anche prospettive peculiari per guardare alla realtà che ci circonda, così come orizzonti culturali e simbolici a partire dai quali interpretiamo le trasformazioni che si svolgono sotto i nostri occhi. Un tipico esempio è stato quello dei movimenti sociali che hanno coinvolto alcuni paesi arabi nel 2009, le cosiddette «Primavere arabe». Poiché non si capiva bene perché e cosa stesse succedendo, questi fenomeni sono stati definiti come Twitter revolutions per attribuire loro un senso, proprio a partire dalla diffusione delle tecnologie digitali.
Anche senza scomodare le rivoluzioni politiche, in questi ultimi anni molti dei cambiamenti sociali associati ai media digitali sono stati percepiti come vere e proprie rivoluzioni, sorte più o meno improvvisamente e guidate non si sa bene da quali logiche e necessità. Nel corso dei capitoli svilupperemo un ragionamento più complesso, sottolineando non solo le ‘rotture’, ma anche le forme di continuità con il passato. Qui basti ricordare che l’apparente e repentina rivoluzione del digitale rappresenta in realtà il punto di convergenza di almeno due fenomeni di lungo periodo che hanno connaturato la modernità: da un lato, l’evoluzione dei mass media e dei moderni mezzi di comunicazione, le cui origini si possono far risalire almeno alla metà dell’Ottocento, in coincidenza con la seconda rivoluzione industriale e con l’affermazione dell’economia capitalista; dall’altro lato, questa rivoluzione è legata indissolubilmente alla storia della digitalizzazione e dell’informatizzazione, un processo avviatosi – come vedremo oltre – già durante la prima metà del Novecento, ma poi delineatosi nei suoi tratti fondamentali nella seconda metà del secolo. In altri termini, se di rivoluzione si tratta, quella digitale affonda le proprie radici in processi storici tutt’altro che recenti.
Per disporre di strumenti interpretativi utili a dar un senso all’evoluzione dei nuovi media è necessario ricostruire anche lo sviluppo delle idee e concezioni culturali che hanno supportato l’affermarsi dei media digitali nella società, mettendo così in discussione le stesse categorie attraverso le quali ragioniamo abitualmente attorno al digitale. Per fare ciò dobbiamo compiere un duplice passo all’indietro. In primo luogo indietro nel tempo, per ricostruire tecnologie, idee, usi immaginati del digitale oggi scomparsi, ma che hanno profondamente connaturato il suo sviluppo. In secondo luogo, occorre fare un passo indietro anche in quanto osservatori del mondo che ci circonda, uno spostamento che ci permetta di mettere in discussione categorie e idee che siamo abituati a dare per scontate, a partire dal concetto stesso di digitale. E allora iniziamo interrogandoci proprio su cosa intendiamo quando parliamo di ‘digitale’.

1.2. Per una definizione di digitale

Il concetto di ‘digitale’ è costituito da un insieme di temi talvolta sfuggenti e in costante evoluzione. Ai fini di questo libro basti ricordare che il digitale si è spesso definito in contrapposizione al termine ‘analogico’, quasi fossero due estremi di un continuum. Un esempio concreto può forse servire a chiarire la distinzione tra i due: contrapponiamo il disco in vinile al compact disc.
Gli appassionati del vinile sanno che il suono del disco è prodotto dal contatto tra la puntina e i solchi incisi sul disco: questi solchi sono continui, nel senso che non ci sono interruzioni nella spirale su cui sono incise le frequenze che contengono musica e parole. Tra il suono e il solco c’è quindi un’analogia fisica, una similitudine: se il solco è più o meno profondo produce un suono diverso. Nel caso del cd, invece, la traccia audio è scomposta o campionata in una miriade di punti, e quindi in unità discrete e non continue, i cui valori sono registrati sulla superficie del compact disc in formato binario, sotto forma di ‘0’ e di ‘1’; il suono è prodotto dalla lettura che il laser fa dei valori di questi singoli punti, che ascoltati in sequenza ricreano la continuità dell’ascolto. Se il disco, così come tutti i media analogici, prevede una scomposizione continua dei contenuti, con il cd e il digitale c’è invece un cambiamento discontinuo e discreto di valori registrati in un codice numerico.
Questo esempio è utile per introdurre due elementi principali della digitalizzazione dei media (Lister et al. 2009, capitolo 1): la numerizzazione e la binarizzazione. Quello della digitalizzazione è anzitutto un macro-fenomeno consistente nella numerizzazione (in francese i due termini addirittura si sovrappongono con numérisation), ovvero nella conversione in cifre dei contenuti prima espressi in linguaggi differenti. Se prendiamo, per esempio, video, audio e testo, in precedenza essi erano trasmessi come segnali continui analogici e ciascuna di queste tre forme di contenuti era differente dalle altre; con il digitale, invece, video, audio e testo sono tutti codificati attraverso un medesimo linguaggio numerico, che permette di trasferirli e immagazzinarli in modo indipendente dal tipo di contenuto, rendendo ininfluente il fatto che si debba produrre, distribuire e consumare immagini fisse o in movimento, suono oppure testo.
Spesso si crede, erroneamente, che digitalizzazione significhi conversione di dati fisici in informazione binaria. In realtà, la digitalizzazione, come indica la stessa etimologia (dall’inglese digit, ‘cifra’) è la semplice assegnazione di valori numerici, così come l’abbiamo descritta nel paragrafo precedente. D’altra parte, il fatto che si sia pensato di digitalizzare i contenuti attraverso stringhe di 0 e 1, chiamate bit, ha enormemente semplificato e reso più economico il processo di decodifica, perché ha ridotto ogni componente a due stati: ‘acceso’ o ‘spento’, ‘passaggio’ o ‘non-passaggio’ di corrente, ‘0’ o ‘1’. I programmi che vediamo sulle nostre tv digitali non sono altro che sequenze di 0 e 1, che scompongono le onde continue generate da suoni e immagini in stringhe di valori che non hanno più alcuna ‘analogia’ con gli originali. Sono le tv o i decoder digitali a tradurre e ricomporre la sequenza di 0 e 1 in suoni e immagini comprensibili per l’essere umano.
La sovrapposizione tra digitalizzazione e linguaggio binario è uno dei passaggi decisivi che ha caratterizzato la diffusione simbolica e materiale dei media digitali nella cultura contemporanea. L’informazione digitalizzata è infatti differente da quella analogica per una serie di ragioni. In primo luogo, trattare tutte le forme di comunicazione allo stesso modo (come detto, il digitale non distingue tra audio, video e testo conservati e trasmessi in forma di numeri e oltretutto scomposti in stringhe di 0 e 1) permette di: a) ‘smaterializzare’ i contenuti dei media; b) comprimerli e quindi trasferirli più in fretta; c) conservarli in supporti che occupano poco spazio perché l’informazione digitale è densa (si pensi alla differenza tra le ore di audio-video che possono essere contenute in una cassetta vhs e in un hard-disc esterno da migliaia di gigabyte); d) manipolarli o modificarli in maniera semplice. Tutti questi processi, con i media analogici, erano più complicati e costosi perché occorreva manipolare oggetti fisici.
In secondo luogo, la digitalizzazione non ha coinvolto solo produzione, distribuzione e consumo dei contenuti dei media, ma ha anche comportato un’esplosione di nuovi hardware dedicati alla lettura, riproduzione e conservazione di tali contenuti: dai computer ai telefoni, dai dvd alle penne usb, dai lettori mp3 alle fotocamere, per citarne solo alcuni. Un corollario di questo aspetto è il fatto che il digitale, anziché favorire la smaterializzazione della cultura, abbia invece stimolato la diffusione di supporti e tecnologie che hanno una loro natura materiale ben definita e in alcuni casi – come quello della Apple, che tratteremo a lungo – seduttiva.
Opposto ad analogico, discontinuo, numerico, binario, immateriale nella scomposizione e trasmissione dei contenuti, materiale nella proliferazione dei supporti. Queste caratteristiche peculiari del digitale l’hanno reso uno dei fenomeni più significativi del nostro tempo.

1.3. Digitalizzazione e modelli di società

Nonostante l’importanza culturale, sociale ed economica dei media digitali, fino a oggi le scienze storico-sociali si sono interrogate solo in modo parziale sulle radici, le implicazioni storiche e le evoluzioni semantiche e di senso dell’idea di digitalizzazione. Proviamo dunque a delineare alcuni elementi che possono tornare utili per approfondire la nostra riflessione sui media digitali e la loro storia.
Le prime osservazioni che hanno individuato il fulcro delle trasformazioni in atto nella società moderna nell’evoluzione del calcolo, della comunicazione e dei computer risalgono al periodo immediatamente successivo alla seconda guerra mondiale e, in particolare, al successo di due cornici teoriche emerse in quegli anni: la cibernetica e la teoria dell’informazione (Heims 1994). La cibernetica fu un innovativo ambito interdisciplinare definitosi dagli anni Cinquanta sulle basi del lavoro del matematico statunitense Norbert Wiener, che riconobbe tra i fenomeni cruciali per le trasformazioni sociali sia l’evoluzione delle forme di comunicazione, sia il ruolo delle macchine e della loro interazione con l’ambiente sociale. Nel 1948 l’ingegnere e matematico Claude Shannon tracciò le basi logico-matematiche di un modello di trasferimento della comunicazione, chiamato «teoria dell’informazione» e poi evolutosi nella «teoria matematica dell’informazione» con l’aiuto di un altro scienziato, Warren Weaver. Tali modelli, basati perlopiù sulle comunicazioni telefoniche, dal momento che i due matematici li svilupparono nei laboratori di ricerca della AT&T, rappresentarono un riferimento centrale dei nascenti media studies e, più in generale, permisero di identificare ‘la comunicazione’ come dimensione cruciale della società post-bellica.
Nei decenni successivi, varie teorie e cornici interpretative misero a fuoco una serie di trasformazioni sociali e culturali che solo in seguito divennero, talvolta in maniera inconsapevole talvolta meno, caratterizzanti dell’odierna «società digitale». Possiamo dunque identificare almeno cinque differenti idee di nuove ‘società’ emerse nella seconda metà del Novecento che hanno in qualche modo aperto la strada all’idea di società digitale.
La prima è quella di «società dell’informazione», una locuzione che mette in luce la centralità dell’informazione quale risorsa e motore più importante dello sviluppo politico, economico e culturale della società contemporanea; questa prospettiva vedeva l’informazione come una forza irresistibile in grado di rivoluzionare interamente la società e, in particolare, il suo grado d’innovazione tecnologica, il mercato del lavoro e l’economia (Dordick e Wang 1993; Richeri 2014). Tale concetto fu introdotto nel corso degli anni Sessanta del Novecento ma la sua origine è incerta: tra i molti studiosi che hanno ispirato questa idea sono stati ricordati, per esempio, il francese Gottmann, l’austriaco-statunitense Machlup, i giapponesi Umesao, Igarashi, Masuda e Hayashi. Il primo piano organico a prevedere la trasformazione della società in direzione dell’informazione è probabilmente quello contenuto in un documento del 1972 dello Japan Computer Usage Development Institute (1974): in esso viene dettagliatamente illustrato il piano del governo per raggiungere un «nuovo traguardo nazionale» rappresentato appunto dall’informatizzazione della società giapponese. Il tema della società dell’informazione incrocia quello della digitalizzazione specialmente sotto il profilo dell’innovazione tecnologica, dal momento che lo sviluppo di alcuni media digitali (computer in primis, ma anche internet e comunicazioni mobili) ha contribuito a popolarizzare tale questione. In altre parole, pur se data per scontata, l’idea di società dell’informazione è per larga parte basata sul digitale e, più ancora, è proprio la diffusione del digitale ad averne permesso una tale estensione nel discorso comune.
La seconda idea connessa al digitale è quella di «società post-industriale» che, secondo la nota definizione del sociologo Daniel Bell (1973) dei primi anni Settanta del Novecento, prevedeva il passaggio imminente da un’economia basata sulla produzione di beni a una incentrata sui servizi. Questo passaggio includeva la progressiva crescita di rilevanza dei lavoratori cognitivi, delle conoscenze teoriche e della cosiddetta «tecnologia intellettuale», che vedeva nel computer uno strumento indispensabile per l’organizzazione automatica di tutti gli aspetti della vita umana. Oltre al computer, un punto di forte contatto tra società post-industriale e digitale è la centralità acquisita dalla dimensione immateriale e dai servizi per la realtà socio-culturale contemporanea.
Una terza idea di società, legata al macro-concetto della «convergenza dei media» (de Sola Pool 1995), ha una sua storia ben definita, ma interseca e rinforza quella di digitalizzazione in più punti: essa si potrebbe definire come «società convergente». Anzitutto, la convergenza dei media stessa si basa, almeno sotto un profilo tecnologico, sulla digitalizzazione dei contenuti, dei dispositivi e delle reti di trasporto dell’informazione. Grazie alla digitalizzazione, infatti, hanno cominciato a sovrapporsi e integrarsi tre settori dell’universo della comunicazione storicamente separati sia sotto il profilo del business che dei regolamenti legislativi: i contenuti editoriali, le telecomunicazioni e l’informatica. Tale integrazione si è sviluppata in modo progressivo, tra coppie di settori che sono andati a convergere in momenti storici diversi, per poi sovrapporsi pienamente solo dalla fine degli anni Settanta. A partire dagli anni Ottanta, la convergenza ha assunto svariate implicazioni tecnologiche, poi politiche, economiche e culturali, mantenendo però sempre un legame diretto ed esplicito con la digitalizzazione, tanto che spesso questi due concetti sono utilizzati in maniera quasi intercambiabile.
La quarta ‘società’ che incrocia il digitale è quella «post-moderna». L’idea dell’emergere di una società post-moderna è andata definendosi a metà degli anni Ottanta, a partire dalle riflessioni di filosofi e sociologi soprattutto francesi, come Jean-François Lyotard (1981) e Jean Baudrillard (1981). Queste rifless...

Indice dei contenuti

  1. Prefazione (di Peppino Ortoleva)
  2. Introduzione
  3. Acronimi
  4. 1. Capire i media digitali
  5. 2. Il computer
  6. 3. Internet
  7. 4. Il telefono mobile
  8. 5. La digitalizzazione dei media analogici
  9. Conclusione. I ‘miti fondativi’ del digitale tra rivoluzioni e continuità
  10. Riferimenti bibliografici
  11. Cronologia dei media digitali
  12. Appendice