Il racconto del capo
eBook - ePub

Il racconto del capo

Berlusconi e Sarkozy

  1. 176 pagine
  2. Italian
  3. ePUB (disponibile sull'app)
  4. Disponibile su iOS e Android
eBook - ePub

Il racconto del capo

Berlusconi e Sarkozy

Dettagli del libro
Anteprima del libro
Indice dei contenuti
Citazioni

Informazioni sul libro

«Né l'esperienza di Berlusconi, né quella di Sarkozy possono essere considerate delle parentesi nella storia politica dell'Italia e della Francia. Con intensità e modalità diverse, rappresentano una possibile risposta a trasformazioni irreversibili della politica contemporanea e non potranno certo essere sbrigativamente liquidate come il portato di una cattiva politica da correggere e dimenticare il prima possibile. Le società mutano e la politica, se vuole continuare a svolgere la propria funzione, non può ignorare il cambiamento».Dall'uso sistematico e consapevole del raccontare storie come forma della comunicazione politica al rapporto con i media, Sofia Ventura individua nella parabola di due leader emblematici del nostro tempo i tratti costitutivi della politica postmoderna, la sua personalizzazione, il suo bisogno di catalizzare emozioni.

Domande frequenti

È semplicissimo: basta accedere alla sezione Account nelle Impostazioni e cliccare su "Annulla abbonamento". Dopo la cancellazione, l'abbonamento rimarrà attivo per il periodo rimanente già pagato. Per maggiori informazioni, clicca qui
Al momento è possibile scaricare tramite l'app tutti i nostri libri ePub mobile-friendly. Anche la maggior parte dei nostri PDF è scaricabile e stiamo lavorando per rendere disponibile quanto prima il download di tutti gli altri file. Per maggiori informazioni, clicca qui
Entrambi i piani ti danno accesso illimitato alla libreria e a tutte le funzionalità di Perlego. Le uniche differenze sono il prezzo e il periodo di abbonamento: con il piano annuale risparmierai circa il 30% rispetto a 12 rate con quello mensile.
Perlego è un servizio di abbonamento a testi accademici, che ti permette di accedere a un'intera libreria online a un prezzo inferiore rispetto a quello che pagheresti per acquistare un singolo libro al mese. Con oltre 1 milione di testi suddivisi in più di 1.000 categorie, troverai sicuramente ciò che fa per te! Per maggiori informazioni, clicca qui.
Cerca l'icona Sintesi vocale nel prossimo libro che leggerai per verificare se è possibile riprodurre l'audio. Questo strumento permette di leggere il testo a voce alta, evidenziandolo man mano che la lettura procede. Puoi aumentare o diminuire la velocità della sintesi vocale, oppure sospendere la riproduzione. Per maggiori informazioni, clicca qui.
Sì, puoi accedere a Il racconto del capo di Sofia Ventura in formato PDF e/o ePub, così come ad altri libri molto apprezzati nelle sezioni relative a Politica e relazioni internazionali e Saggi su politica e relazioni internazionali. Scopri oltre 1 milione di libri disponibili nel nostro catalogo.

III. Berlusconi. Una storia italiana

1. La comunicazione politica nella democrazia consensuale della Prima Repubblica

Con l’irruzione sulla scena politica di Silvio Berlusconi, il paesaggio politico italiano cambia radicalmente, anche se le premesse del cambiamento – ma non necessariamente della sua direzione – sono precedenti e vanno ricercate nella crisi profonda del sistema partitico italiano che esplode nei primi anni Novanta: una crisi che mette a nudo non solo un radicato e diffuso sistema di corruzione, ma anche la chiusura e l’autoreferenzialità di un ceto politico costruitosi anche attraverso l’occupazione dello Stato e della società e incapace di comprendere e gestire i profondi mutamenti sociali e culturali che dagli anni Settanta avevano cominciato a segnare l’Italia.
Sul piano della comunicazione politica, lo scarto tra l’impresa berlusconiana e la pratica della democrazia consensuale e proporzionale di quella che sarà definita Prima Repubblica non potrebbe essere più evidente. Il linguaggio politico della Prima Repubblica è, infatti, il linguaggio di un sistema che si regge sul negoziato permanente tra i partiti, compreso il maggior partito di opposizione, il Partito comunista, e dunque su equilibri delicati, complessi e in parte oscuri per il cittadino comune. È un linguaggio poco comprensibile, vago, allusivo, caratterizzato dall’uso di continui congiuntivi e condizionali e da espressioni generiche (si pensi all’accordo tra la Democrazia cristiana e il Partito comunista nel 1976, indicato da Aldo Moro come «un’area di concordia, un’area di intesa» – McCarthy 2001, 197) e che consente di non sbilanciarsi mai e di tenere aperte tutte le possibilità.
Trattando delle elezioni politiche del 1958, Carlo Marletti ha osservato come queste segnalassero ormai il definitivo abbandono di una politica basata sull’opposizione tra due campi opposti, come nel 1948, e giocata «davanti ad una opinione pubblica attenta e ansiosa» e l’avvio di «giochi di potere interni alla maggioranza fra partiti e dentro i partiti, fra correnti e personalità rivali, spesso con accordi trasversali tra maggioranza e opposizione» (2010, 36). Contestualmente, venivano meno gli appelli diretti dei partiti all’opinione pubblica, mentre aumentavano i messaggi orizzontali tra dirigenti e partiti. In altri termini, si affermava la comunicazione tipica delle democrazie consensuali, una comunicazione prevalentemente intra-élites, con la quale i gruppi dirigenti di maggioranza e opposizione negoziano le politiche di governo e dove i messaggi extra-élites, che nelle democrazie maggioritarie consentono a leader e partiti di rivolgersi all’opinione pubblica – spesso con campagne mediatiche e in forme spettacolarizzate – rimangono marginali e di basso profilo. Nella complessa politica italiana, segnata dalla presenza del maggior partito comunista dell’Europa occidentale e dal suo coinvolgimento, a partire dagli anni Settanta, nelle logiche consensuali, la comunicazione intra-élites assunse anche un carattere di forte autoreferenzialità, ovvero di isolamento e autosufficienza rispetto al mondo circostante, paragonabile, secondo Marletti, solo a quello della IV Repubblica francese, che ebbe però una durata molto più breve.
Il linguaggio oscuro e autoreferenziale dei primi decenni della Repubblica, denunciato già durante gli anni Settanta anche da osservatori stranieri24, si era affermato in un contesto di forte controllo dei partiti sui media e in particolare sulla televisione. Sino alla metà degli anni Settanta, infatti, in ambito televisivo vige il monopolio pubblico, che si traduce nel monopolio dei partiti, codificato con la lottizzazione della Rai tra le maggiori forze politiche di governo, Dc e Psi e di opposizione (Pci). Gli anni del monopolio sono anche quelli della paleo-televisione, secondo la definizione di Umberto Eco, quando il mezzo televisivo è ancora concepito come strumento di controllo e educazione, dove l’informazione e l’intrattenimento sono tenuti rigidamente separati (Musso 2009, 21). I partiti, esclusi in quanto tali dagli schermi sino agli anni Sessanta, vi entrano attraverso format quali Tribuna politica e Tribuna elettorale, che rifuggono le forme di spettacolarizzazione che andavano allora affermandosi in altre grandi democrazie e che dopo l’iniziale successo vanno incontro ad un forte calo degli ascolti.
Ma proprio quando i partiti approvano la legge dell’aprile 1975, nuove pressioni provenienti dal basso, dalla società civile e dal mercato pubblicitario, lanciano una sfida al modello collusivo tra partiti e media dominante sino a quel momento (Musso 2009, 20; Mazzoleni 1991). Il fenomeno al quale si assiste negli anni Settanta è infatti la diffusione di centinaia di radio e televisioni locali, in una situazione di vuoto legislativo che porterà la Corte costituzionale ad autorizzare le tv via cavo nel 1974 e a dare un ulteriore e più importante colpo al monopolio Rai nel 1976, autorizzando le trasmissioni via etere delle emittenti radiofoniche e televisive locali.
Come è noto, l’impero televisivo di Berlusconi prende avvio proprio da una tv inizialmente via cavo, Telemilano, che successivamente arriva a trasmettere in tutta la Lombardia e poi nel Nord Italia e diviene una rete nazionale nel 1981, con il nome di Canale 5; nel 1984, con l’acquisto di Italia 1 e Rete 4, Berlusconi si afferma definitivamente come il campione della televisione commerciale. Le sue reti potranno trasmettere sul territorio nazionale, dopo un braccio di ferro con alcune preture e una mobilitazione popolare a suo favore, grazie ai cosiddetti decreti Berlusconi varati tra il 1984 e il 1985 dal governo guidato da Bettino Craxi, anche se una regolamentazione del sistema radiotelevisivo sarà approvata solo con la legge Mammì del 1990, con la quale si pone definitivamente fine al monopolio pubblico.
Questo ritardo mostra come la classe politica e di governo sia stata a lungo incapace di rispondere ai mutamenti intervenuti nella società italiana, tentando di resistervi, piuttosto che di gestirli e regolarli. D’altro canto, il monopolio pubblico della televisione e l’altrettanto monopolistico controllo del settore pubblicitario avevano rappresentato a lungo una risorsa importante per ­controllare l’informazione e, nel secondo caso, per realizzare una sorta di finanziamento mascherato dei partiti, grazie al fatto che gli spazi limitati della pubblicità erano offerti agli investitori a prezzi elevati e in cambio d’inserzioni pubblicitarie su organi di stampa, in particolare giornali di partito (Marletti 2010, 74). Lo sviluppo delle reti Fininvest accompagna invece la crescita del nuovo ceto produttivo italiano; mentre da un lato la Rai, condizionata dal tetto pubblicitario e dal palinsesto corto, pubblicizzava poche centinaia di imprese, le maggiori, con le emittenti private e in particolare con le reti di Berlusconi irrompono sul video decine di migliaia di aziende medie e piccole (Susca 2004, 70).
Il ritardo si manifesta anche nell’uso del mezzo televisivo da parte dei partiti e delle personalità politiche. Negli anni Ottanta si passa da un modello collusivo tra partiti e media, con una subordinazione dei secondi ai primi, a un modello di scambio, caratterizzato da un rafforzamento e una maggiore autonomia dei media, più orientati, nella definizione dei loro obiettivi, al mercato (Mazzoleni 1991). Tuttavia, in questo decennio le trasformazioni della comunicazione di politici e partiti, pur importanti, rimangono limitate.
Gli anni Ottanta registrano per la prima volta il ricorso da parte di leader e partiti – ma il Partito comunista rimane estraneo al fenomeno – ad un massiccio uso della pubblicità a pagamento e alle prestazioni di professionisti del marketing politico. Mentre la Rai continua a dare uno spazio molto limitato alla copertura delle campagne, le televisioni locali svolgono a questo proposito un ruolo cruciale, con l’introduzione degli spot elettorali a pagamento e la creazione di nuovi programmi ove i politici vengono invitati a discutere dei temi concreti della campagna in un linguaggio più comprensibile (Cheles 2001, 154).
Sempre in quegli anni emergono i primi fenomeni di personalizzazione della politica, con figure come il presidente Pertini e in particolare Bettino Craxi: questi, prima di essere sostituito da un leader tradizionale come Andreotti, aveva – similmente a quanto fatto da due personalità a lui contemporanee come Reagan e Thatcher – reiventato l’identità del proprio partito, nonché il carattere strategico dell’azione di governo (Fabbrini 1999, 155). Questa personalizzazione ha parziali ricadute anche sul modo in cui viene comunicata la politica. A partire dalle elezioni del 1983 i poster elettorali si concentrano come mai era avvenuto prima sulle figure dei leader politici, ad esempio il repubblicano Giovanni Spadolini e Bettino Craxi. I socialisti appaiono i più aggressivi in questo tipo di campagna, al contrario dei comunisti, ancora refrattari a una personalizzazione della propaganda. Il fenomeno si accentua durante le elezioni del 1992, dove accanto all’uso della figura del candidato, si registra anche una maggiore cura nella presentazione della sua immagine (postura, sfondi, ecc.) (Cheles 2001, 154). In televisione, nelle campagne elettorali del 1983 e del 1987 la personalizzazione appare particolarmente evidente nell’uso degli spot a pagamento e di format come le interviste.
La logica dei media comincia a farsi strada, anche se più evidente nel comportamento dei giornalisti televisivi che non degli uomini politici e anche se i primi appaiono ancora legati alla logica politica tradizionale e in particolare al linguaggio dei politici dell’epoca, che ancora negli anni Ottanta mantiene le caratteristiche dei decenni precedenti. Scrivendo all’inizio degli anni Novanta, Giampiero Mazzoleni notava come i partiti, sebbene cominciassero a rendersi conto dell’inadeguatezza del loro linguaggio, continuavano tuttavia ad utilizzare una comunicazione fortemente autoreferenziale, sempre orientata verso discorsi concernenti la costruzione delle alleanze e le astratte formule di governo e indifferente verso i temi di maggiore interesse per i cittadini. Se, dunque, alla luce delle elezioni del 1983 e del 1987, la logica dei media appariva ormai in grado di influenzare gli attori politici, non era però chiaro se tale logica fosse in grado di penetrare e trasformare l’essenza della comunicazione politica italiana (1991, 211).
I mutamenti degli stili di consumo e della composizione della società italiana, le innovazioni tecnologiche, l’affermazione della televisione commerciale, con i suoi nuovi format e il suo nuovo modo di concepire il telespettatore – non più semplice destinatario del messaggio ma protagonista – sembravano, dunque, non essere pienamente compresi dal ceto politico e dai governanti dell’epoca. Non fu quindi casuale se i sopravvissuti al ciclone di Tangentopoli si trovarono spiazzati, nel 1994, dall’uomo della televisione, Silvio Berlusconi, che quei fenomeni aveva invece pienamente compresi e che aveva saputo abilmente sfruttare.

2. La rottura berlusconiana

2.1. Una competizione politica maggioritaria La creazione, nell’arco di pochi mesi, di Forza Italia e di una coalizione a geometria variabile (alleanza con la Lega al Nord e con Alleanza Nazionale al Sud) per le elezioni del 1994 colma il vuoto di offerta politica nel campo moderato prodotta dalla repentina scomparsa delle due maggiori forze politiche del pentapartito, Democrazia cristiana e Partito socialista. La nuova offerta berlusconiana, insieme alle leggi elettorali per Camera e Senato, maggioritarie per il 75%, approvate dal Parlamento dopo la schiacciante vittoria dei sì al referendum elettorale del 1993, induce i partiti della sinistra dello schieramento politico a unirsi nella coalizione dei Progressisti. Per la prima volta dal 1948, quando si tennero le prime e ultime elezioni della Prima Repubblica che videro una contrapposizione bipolare e il ricorso a una campagna «combattuta con modalità propagandistiche all’americana» (Marletti 2010, 24), gli italiani sono chiamati a scegliere con il loro voto il futuro governo e il futuro leader.
La rottura berlusconiana, tuttavia, s’inserisce in un contesto dove la personalizzazione e forme dirette di partecipazione si erano già affacciate sulla scena politica italiana. Oltre all’esperienza di Bettino Craxi, anche con il movimento referendario a lungo capeggiato da Mario Segni si afferma un nuovo tipo di leadership, che vede l’instaurarsi di un diverso rapporto tra cittadini e leader, proprio dello statu nascenti (entusiasmo per una nuova avventura, nuovi obiettivi, un leader che si identifica con la mobilitazione referendaria) e che si pone l’obiettivo di una modifica radicale del sistema esistente (Calise 2010, 62). Analogamente, l’elezione diretta dei sindaci, tenutasi per la prima volta nel 1993, introduce un inedito rapporto tra cittadini e candidati, non più necessariamente mediato dai partiti, e offre una palestra per l’affermazione di un nuovo modo di fare campagna, che mette in evidenza la personalità dei candidati e fa ampio uso – maggiore che in passato – di stampa e televisione (ivi, 63).
Il sistema politico italiano che prende forma nel 1994 non è più fondato su un polo di centro, per decenni occupato dalla Democrazia cristiana, perno ineludibile di ogni coalizione. Si afferma una competizione bipolare e le piccole formazioni eredi della Dc che tentano di sopravvivere rimanendo collocate al centro (Patto Segni e Partito popolare) sono fortemente penalizzate. Con il nuovo tipo di competizione, anche la comunicazione politica cambia volto. Essa assume molti dei tratti che si ritrovano nella comunicazione delle democrazie maggioritarie e che anche in Italia avevano timidamente cominciato a fare la propria apparizione negli anni Ottanta, quando altrove – nella Gran Bretagna di Margaret Thatcher, negli Stati Uniti di Ronald Reagan, nella Francia di François Mitterrand, ma anche nella Spagna di Felipe González – personalizzazione, costruzione dell’immagine e marketing politico avevano contraddistinto con sempre maggiore intensità la comunicazione politica e la comunicazione dei leader.
2.2. Il marketing politico Sono la comunicazione e la narrazione di Silvio Berlusconi che assumono i tratti più originali rispetto al passato, sebbene il nuovo contesto influenzi anche i partiti della sinistra, a cominciare dall’allora Partito democratico della sinistra (Pds), guidato da Achille Occhetto, leader della coalizione dei Progressisti. Tuttavia, per gli eredi del Partito comunista l’atteggiamento verso le nuove forme della comunicazione e, in particolare, della politica attraverso i media è sin dall’inizio, e continuerà ad essere sino ad oggi, ambiguo e problematico: «Il Pds subisce il mutamento d’assetto nella comunicazione e vive sulla propria pelle la spaccatura tra una mentalità aristocratica, legata al valore della politica e a un retroterra culturale di tipo francofortese, che giudica intrusivi i mezzi di comunicazione di massa, e la necessità del confronto con questi linguaggi di cui tuttavia misconosce la logica» (Grandi, Cavicchioli, Franceschetti 1995, 191).
La nascita e l’affermazione di Forza Italia sono sostenute da un’intensa campagna di marketing politico. Favorito dalla nuova competizione bipolare, il ricorso al marketing politico è infatti uno degli elementi che più caratterizzano le elezioni del 1994, anche se coinvolge prevalentemente i partiti del centrodestra. Il divieto, imposto dal Garante delle telecomunicazioni, di trasmettere e pubblicare pubblicità elettorale durante la campagna vera e propria porta i responsabili di Forza Italia a lanciare una martellante trasmissione di spot a pagamento nella fase di pre-campagna, a partire dall’annuncio della discesa in campo; due furono le serie di spot trasmesse: una – «Scendi in campo» – finalizzata a far conoscere il nuovo simbolo, l’altra centrata sull’immagine di Silvio Berlusconi (Poli 2001, 63). Fu lo stesso Berlusconi a spiegare, al microfono di un giornalista, che il piano era stato approntato da un’agenzia, che aveva seguito le stesse regole con cui si lancia un marchio: «Essendo un marchio non conosciuto [...] un marchio che si affacciava per la prima volta sulla scena politica, è stato necessario far avvertire tutti, con una pressione pubblicitaria notevole nei primi giorni,...

Indice dei contenuti

  1. Premessa
  2. I. I leader e le loro storie
  3. II. Sarkozy. Una storia francese
  4. III. Berlusconi. Una storia italiana
  5. IV. La politica di massa, «stagione seconda»
  6. Bibliografia