Democrazie senza democrazia
eBook - ePub

Democrazie senza democrazia

  1. 112 pagine
  2. Italian
  3. ePUB (disponibile sull'app)
  4. Disponibile su iOS e Android
eBook - ePub

Democrazie senza democrazia

Dettagli del libro
Anteprima del libro
Indice dei contenuti
Citazioni

Informazioni sul libro

Sono utilissime le analisi critiche di Salvadori che tengono vivo il dibattito e segnalano le crepe e le falle di un sistema fragile che sopravvive perché «non se n'è ancora inventato un altro migliore».Eugenio Scalfari, "L'espresso"È il punto di arrivo della riflessione di uno storico che ha dato le sue migliori prove in vari ambiti della ricerca riconducibili alla questione, centrale e dominante, del senso e del contenuto della moderna democrazia politica.Luciano Canfora, "Corriere della Sera"La riflessione di Salvadori si allarga alla crisi mondiale delle democrazie, di cui la crisi italiana è solo un modesto esempio, alquanto grottesco.Gustavo Zagrebelsky, "la Repubblica"Un saggio snello ed essenziale, utilissimo per riflettere, con forza di documentazione e affilata lucidità di ragionamento, sui limiti e le prospettive dell'attuale, controversa stagione politica.Antonio Calabrò, "Il Mondo"

Domande frequenti

È semplicissimo: basta accedere alla sezione Account nelle Impostazioni e cliccare su "Annulla abbonamento". Dopo la cancellazione, l'abbonamento rimarrà attivo per il periodo rimanente già pagato. Per maggiori informazioni, clicca qui
Al momento è possibile scaricare tramite l'app tutti i nostri libri ePub mobile-friendly. Anche la maggior parte dei nostri PDF è scaricabile e stiamo lavorando per rendere disponibile quanto prima il download di tutti gli altri file. Per maggiori informazioni, clicca qui
Entrambi i piani ti danno accesso illimitato alla libreria e a tutte le funzionalità di Perlego. Le uniche differenze sono il prezzo e il periodo di abbonamento: con il piano annuale risparmierai circa il 30% rispetto a 12 rate con quello mensile.
Perlego è un servizio di abbonamento a testi accademici, che ti permette di accedere a un'intera libreria online a un prezzo inferiore rispetto a quello che pagheresti per acquistare un singolo libro al mese. Con oltre 1 milione di testi suddivisi in più di 1.000 categorie, troverai sicuramente ciò che fa per te! Per maggiori informazioni, clicca qui.
Cerca l'icona Sintesi vocale nel prossimo libro che leggerai per verificare se è possibile riprodurre l'audio. Questo strumento permette di leggere il testo a voce alta, evidenziandolo man mano che la lettura procede. Puoi aumentare o diminuire la velocità della sintesi vocale, oppure sospendere la riproduzione. Per maggiori informazioni, clicca qui.
Sì, puoi accedere a Democrazie senza democrazia di Massimo L. Salvadori in formato PDF e/o ePub, così come ad altri libri molto apprezzati nelle sezioni relative a Economics e Economic Policy. Scopri oltre 1 milione di libri disponibili nel nostro catalogo.

Informazioni

Anno
2014
ISBN
9788858118665
Argomento
Economics

Capitolo dodicesimo. Il modello americano. Ruolo e potere delle oligarchie politiche e della plutocrazia

Il modello americano è celebrato ormai anche da settori assai influenti della sinistra europea ed italiana (e comunque, anche quando non celebrato, è imitato e seguito) in quanto manifestazione di modernità dei regimi liberaldemocratici maturi. Esso pone più che mai al centro – in relazione al ruolo che da un lato i «partiti elettorali» e dall’altro i «diritti di proprietà» e le grandi ricchezze hanno sempre avuto negli Stati Uniti in un contesto di incontrastata egemonia capitalistica, senza riscontri in alcun altro paese – il problema del rapporto tra il potere politico legittimato dal voto popolare e il potere economico teso a piegare il primo ai suoi interessi. Orbene, è da osservarsi in proposito che il sistema americano è stato dominato nel corso della sua storia da questo problema e dal pericolo che la democrazia venisse «pervertita» dalle oligarchie partitiche e dalla plutocrazia, quando non direttamente dal loro connubio. In questo senso gli Stati Uniti hanno anticipato a livello nazionale aspetti dell’agire politico poi emersi in piena luce a livello internazionale.
Fu negli Stati Uniti, nel corso degli anni ’20 dell’Ottocento nei quali ebbe inizio in seguito all’estensione del suffragio quella che Huntington ha definito la «prima ondata» della democratizzazione, che emerse dapprima con chiarezza quello che potremmo definire il «doppio volto» della democrazia liberale. Per un verso, infatti, la democrazia apparve come una forza «irresistibile», come disse Tocqueville, che proprio in quel periodo ne studiò l’avvento in America; per l’altro, essa subito mise in luce come la partecipazione popolare alla vita pubblica subisse un processo di organica manipolazione da parte di ristrette oligarchie. Tanto che la critica del concetto di sovranità popolare come apparenza e mito ideologico e l’analisi del ruolo effettivo svolto dai gruppi ristretti che controllavano i partiti e tenevano nelle proprie mani le chiavi della politica elaborate negli ultimi decenni del XIX secolo da Mosca e dagli altri teorici dell’elitismo furono completamente anticipate da uomini e pensatori politici americani. Tra questi un posto di primo piano ebbe John C. Calhoun, che, affiancato da altri eminenti leader politici e statisti come Daniel Webster e Henry Clay, denunciò il «nuovo» tipo di partito, in quanto interamente controllato dai professionisti della politica, democratico nell’apparenza ma nella sostanza soggetto a questi ultimi, i quali, veri e propri manager della politica che di questa vivevano, costituivano «una minoranza organizzata» che manovrava e strumentalizzava, servendosi della «macchina» da essi costruita, «la maggioranza disorganizzata», perseguiva l’occupazione del potere obbedendo alla logica dei propri interessi particolari, si faceva eleggere alle cariche pubbliche ricorrendo in maniera determinante allo strumento dell’eccitazione dei sentimenti popolari. Sotto la veste della partecipazione democratica si nascondeva – come apparso evidente sotto la presidenza «bonapartistica» del «bardo della democrazia» Jackson – la realtà del plebiscitarismo; sicché – affermò Calhoun nel 1832 – i governati, ridotti ad essere solo teoricamente sovrani, formano «la grande massa inerte della comunità, fino a quando viene chiamata ad agire, in occasioni straordinarie e a grandi intervalli»47; e – egli aggiunse nel 1842 – l’unico protagonista attivo diventerà sempre più «un corpo attivo, addestrato e compatto, che dedicherà tutto il suo tempo e tutta la sua attenzione alla politica. Questa sarà la sua unica professione. La nomina dei delegati, a tutti i livelli, cadrà nelle loro mani; ed essi si prenderanno cura che nessuno, all’infuori di se stessi o dei loro umili e obbedienti sostenitori, venga nominato»48. In sintonia con Calhoun si espressero, tra gli altri, eminenti personalità come il suo contemporaneo William E. Channing, tanto ammirato da Tocqueville, il quale parlò di una società diretta dalla «tirannide di pochi», i quali «tendono a produrre subalternità e a distruggere ogni azione autodiretta nelle moltitudini», con la conseguenza di rendere impossibile «l’azione individuale»49; e George W. Curtis, che, appartenente alla generazione successiva, osservando gli sviluppi della politica americana tra gli anni ’60 e ’80, definì l’oligarchia di partito «nota come macchina» il soggetto che «usurpa la sovranità originaria del popolo»50, ponendo l’iniziativa interamente nelle mani dei bosses, i quali selezionano i candidati alle elezioni, condizionano pesantemente le scelte in materia di spesa pubblica, fanno assicurare ai propri sostenitori «i grossi contratti governativi», seminano un diffuso malcostume che inquina lo spirito del paese51. Dal canto suo Martin Van Buren, colui che, grande sostenitore di Jackson e asceso lui stesso alla presidenza degli Stati Uniti nel 1837, era stato l’artefice primo della costruzione del «partito nuovo», replicò alle accuse a questo rivolte – compiacendosi del fatto che esso in quanto «organizzazione nazionale» era stato in grado, dopo la sua comparsa, di far eleggere la maggior parte dei presidenti degli Stati Uniti52 – col rimproverare ai suoi critici l’incapacità di comprendere la natura propria della moderna competizione politica, vale a dire che «i partiti politici sono inscindibili dai governi liberi»53. Possiamo dire che questi politici e pensatori delinearono in maniera «classica» e precoce i meccanismi che caratterizzavano e avrebbero nelle linee di fondo continuato a caratterizzare i modi di esistenza del regime liberaldemocratico negli Stati Uniti. Meccanismi i quali permisero sì di integrare nelle istituzioni masse crescenti di popolazione, comprese quelle costituite dalle grandi ondate dell’immigrazione, dando loro una voce, per quanto manovrata, specie nelle campagne elettorali, e di mettere in atto grandi svolte politiche nel paese: ma lo fecero, appunto, nel quadro di una democrazia orientata e al tempo stesso coartata dalle «macchine» delle oligarchie mosse dai loro specifici interessi.
Sennonché vi è un’altra componente altrettanto essenziale del sistema politico americano che va presa in considerazione: il ruolo preminente della plutocrazia. Periodicamente marchiato come un grave pericolo, il costituirsi della plutocrazia in «potere improprio» dotato di enorme influenza a tutti i livelli della società ha rappresentato e rappresenta una struttura dominante della vita americana.
È ben significativo il fatto che la denuncia, in particolare a partire dagli ultimi decenni dell’Ottocento ma con radici ben visibili fin dall’età di Hamilton e di Jefferson, delle minacce fatte gravare dalla plutocrazia sulle istituzioni di governo e sulla democrazia ha costituito un Leitmotiv, un autentico «filo rosso» che attraversa l’intera storia degli Stati Uniti. Già nel 1814 il democratico jeffersoniano John Taylor denunciò il rischio, del quale egli intravedeva netti i segni, dell’affermarsi di un potere plutocratico costituito dai grandi capitalisti, che avrebbe potuto dare origine ad un nuovo tipo di feudalesimo economico-politico, inteso a gravare sul governo federale così da favorire i propri interessi e ottenere privilegi. Egli parlò di gruppi che operavano per conseguire «il potere di promuovere la ricchezza di una parte della nazione, servendosi delle leggi civili»54. E nel 1823 batté il tasto sulla nefasta possibilità che il governo federale assumesse la natura di «una macchina per attuare quella difesa» della parte della società costituita dagli «interessi capitalistici» che era invece suo «compito impedire»55. Nel periodo della grande ascesa industriale e finanziaria, tra gli ultimi decenni dell’Ottocento e la seconda guerra mondiale, il tema del nesso tra plutocrazia e democrazia acquistò in America un rilievo sempre più forte, e in primo piano nell’analizzarlo furono non soltanto autorevoli intellettuali di varia e persino opposta corrente come il liberale-liberista William G. Sumner, progressisti come Henry George, Lester F. Ward, Henry D. Lloyd, l’economista-sociologo Thorstein Veblen, socialisti riformisti come Norman Thomas, ma anche presidenti come Theodore Roosevelt, Woodrow Wilson, Franklin Delano Roosevelt. Tutti costoro, pur con una grande varietà di accenti e diverse prospettive politiche, furono concordi nel mettere sotto accusa le oligarchie economiche intese a fare del governo il loro «comitato d’affari» (e non si usa qui la nota espressione di Marx, ma quella uscita tante volte, con mere sfumature linguistiche, dalla loro penna e dalla loro bocca). Bastino alcuni essenziali riferimenti.
Dopo aver definito la plutocrazia la «forma politica nella quale la ricchezza costituisce la forza reale di controllo», Sumner affermava che mai la ricchezza aveva assunto «un potere così preponderante e dotato di una capacità di controllo come quello che ci minaccia», che essa corrompeva il processo democratico in quanto «i moderni plutocrati mediante il danaro si fanno strada nelle elezioni e nelle assemblee legislative, sicuri di poter ottenere poteri in grado di compensarli delle spese sostenute e di raccogliere un largo surplus». Sicché egli non esitava a definire la plutocrazia «la più sordida e degradante forma di energia politica mai vista». Perciò, concludeva, la democrazia «teme la plutocrazia, e con buone ragioni», poiché questa costituisce una potentissima minoranza che interviene nelle istituzioni «con un piccolo corpo, una forte organizzazione, uno scopo ben definito e una stretta disciplina» avendo a disposizione mezzi larghissimi per manovrare i partiti e la maggioranza disorganizzata56. E veniamo ai presidenti degli Stati Uniti sopra menzionati. Theodore Roosevelt, con particolare vigore durante la battaglia culminata nella nascita nel 1912 del Partito progressista, si pronunciava a favore di «un intervento del governo nelle condizioni sociali ed economiche più forte di quanto non avvenuto in precedenza», in assenza del quale «una piccola classe di uomini enormemente ricca ed economicamente potente» si impone con il «principale obiettivo di mantenere e accrescere il suo potere»57. E, riprendendo il giudizio di Sumner, Roosevelt affermava di considerare «il peggiore» tra tutti «il governo di una plutocrazia, un mero governo di uomini che considerano il far danaro come la più alta, anzi la sola davvero alta espressione tra le attività dell’uomo»58. Quanto a Wilson, in un discorso del 1904, prima ancora quindi di accedere alla presidenza, circa il legame stabilitosi in America tra élites del mondo economico e democrazia e sulla potenza manipolatrice delle prime, così si rivolgeva ai suoi ascoltatori: «Non vi è maggioranza che governi alcunché. Le maggioranze vengono manipolate. È la minoranza che agisce di concerto a determinare quel che la maggioranza deve fare. Voi dite che vi autogovernate. Ma avete mai scelto i candidati per cui avete votato? (...) Sono i leader del mondo della finanza che oggi manipolano i destini della nazione»59. E nel 1912, nel corso della sua prima campagna elettorale per la presidenza condotta in nome di «una nuova libertà», Wilson usò i toni più forti: bisognava sbarrare la strada ad una minoranza che aveva dato vita ad «un invisibile impero» sovrapposto alle «forme della democrazia»60, fermare la «sinistra concentrazione» costituita dal potere affaristico e monopolistico che minacciava non soltanto la vita materiale ma anche quella spirituale61, respingere la «tirannide» messa in atto da «organizzazioni che non rappresentano il popolo»62. I propositi di contrastare con efficacia il potere plutocratico in America formulati da Theodore Roosevelt e di Wilson – peraltro in dissidio tra loro circa i mezzi da utilizzare, essendo l’uno favorevole ad...

Indice dei contenuti

  1. Introduzione
  2. Capitolo primo. La sacralizzazione della democrazia trionfante
  3. Capitolo secondo. Democrazia diretta e democrazia rappresentativa: presupposti comuni
  4. Capitolo terzo. La democrazia diretta
  5. Capitolo quarto. Le applicazioni del principio rappresentativo. Tre sistemi politici
  6. Capitolo quinto. Il sistema liberale «classico» e il suo paradosso: l’«oligarchia democratica»
  7. Capitolo sesto. Il primo sistema liberaldemocratico
  8. Capitolo settimo. Le crisi del primo sistema liberaldemocratico nell’Otto-Novecento
  9. Capitolo ottavo. Le cause e le modalità delle crisi
  10. Capitolo nono. Il progresso civile delle masse. La «democrazia dei partiti»
  11. Capitolo decimo. Stato unitario, «economia nazionale», sovranità
  12. Capitolo undicesimo. Il secondo sistema liberaldemocratico
  13. Capitolo dodicesimo. Il modello americano. Ruolo e potere delle oligarchie politiche e della plutocrazia
  14. Capitolo tredicesimo. La legge di mosca riscritta
  15. Capitolo quattordicesimo. Un problema di definizione. I «governi a legittimazione popolare passiva»
  16. Capitolo quindicesimo. La crisi economica del 2008 e l’elezione di Barack Obama