Nichilismo giuridico
eBook - ePub

Nichilismo giuridico

  1. 162 pagine
  2. Italian
  3. ePUB (disponibile sull'app)
  4. Disponibile su iOS e Android
eBook - ePub

Nichilismo giuridico

Dettagli del libro
Anteprima del libro
Indice dei contenuti
Citazioni

Informazioni sul libro

Dall'interno stesso della scienza giuridica salgono le domande sul 'senso' del diritto. La solitudine della volontà normativa riceve un'analisi profonda e impietosa.

Domande frequenti

È semplicissimo: basta accedere alla sezione Account nelle Impostazioni e cliccare su "Annulla abbonamento". Dopo la cancellazione, l'abbonamento rimarrà attivo per il periodo rimanente già pagato. Per maggiori informazioni, clicca qui
Al momento è possibile scaricare tramite l'app tutti i nostri libri ePub mobile-friendly. Anche la maggior parte dei nostri PDF è scaricabile e stiamo lavorando per rendere disponibile quanto prima il download di tutti gli altri file. Per maggiori informazioni, clicca qui
Entrambi i piani ti danno accesso illimitato alla libreria e a tutte le funzionalità di Perlego. Le uniche differenze sono il prezzo e il periodo di abbonamento: con il piano annuale risparmierai circa il 30% rispetto a 12 rate con quello mensile.
Perlego è un servizio di abbonamento a testi accademici, che ti permette di accedere a un'intera libreria online a un prezzo inferiore rispetto a quello che pagheresti per acquistare un singolo libro al mese. Con oltre 1 milione di testi suddivisi in più di 1.000 categorie, troverai sicuramente ciò che fa per te! Per maggiori informazioni, clicca qui.
Cerca l'icona Sintesi vocale nel prossimo libro che leggerai per verificare se è possibile riprodurre l'audio. Questo strumento permette di leggere il testo a voce alta, evidenziandolo man mano che la lettura procede. Puoi aumentare o diminuire la velocità della sintesi vocale, oppure sospendere la riproduzione. Per maggiori informazioni, clicca qui.
Sì, puoi accedere a Nichilismo giuridico di Natalino Irti in formato PDF e/o ePub, così come ad altri libri molto apprezzati nelle sezioni relative a Law e Legal History. Scopri oltre 1 milione di libri disponibili nel nostro catalogo.

Informazioni

Anno
2014
ISBN
9788858118238
Argomento
Law
Categoria
Legal History

Esercizî di lettura sul nichilismo giuridico

I. Attraverso Camus

1. Le mythe de Sisyphe «insegna la fedeltà superiore, che nega gli dei e solleva i macigni». L’universo è spoglio di illusioni e di luci, deserto di significati e speranze. Ma nel cuore dell’uomo si agita un ‘desiderio violento di chiarezza’, una nostalgia dolorosa di unità. L’‘assurdo’ è in questo rapporto tra l’uomo e la vita, in questo confronto tra domande e silenzio dell’universo. Albert Camus non elude il problema; non compie ‘salti’ mistici o metafisici. Egli ormai sa; e perciò ci ripete, col settecentesco abate Galiani, che l’importante non è guarire, ma vivere con i propri mali.
Che cosa è il vivere dell’uomo assurdo? come si risolve questo faccia a faccia con l’insensatezza del mondo? quale il criterio dell’agire, se non c’è più gerarchia di preferenze, e se «i giudizi di valore sono scartati in favore dei giudizi di fatto»? Camus risponde: «ciò che importa non è vivere il meglio, ma il più possibile». Il ‘più’ è criterio di misura e di calcolo: esprime la comparazione tra un ‘molto’ e un ‘meno’. Demolita la scala dei valori, rimane soltanto la ‘quantità di esperienze’.
Il giudizio non attribuisce più predicati di qualità, non sceglie tra l’un fatto e l’altro, ma si limita ad accertare il loro accadere quantitativo. Qui emerge la dimensione dei fatti, la misurabilità dei ‘più’ in confronto dei ‘meno’. Preferire questi a quelli è perfettamente inutile. Il sì, che l’uomo assurdo pronuncia dinanzi alla vita, è un modo di consegnarsi ai fatti (o di consegnarsi a se stesso, poiché i fatti dipendono anche da lui). Insomma – sono parole di Camus – «una questione di uomini, che deve essere regolata fra uomini».
2. Scegliamo tra i protagonisti dell’assurdo – descritti da Camus nelle pagine più intense di Le mythe de Sisyphe – le figure di Don Giovanni e del Conquistatore.
In Don Giovanni trionfa l’‘etica della quantità’: «l’uomo assurdo moltiplica ciò che non può unificare». Egli s’impossessa delle singole esperienze, e le consuma e brucia nel tempo. Camus non richiama il ‘catalogo’ di Leporello: la sua ‘lista’ serve a misurare la dimensione del fatto, a tradurre in quantità numeriche le ‘donnesche imprese’ del padrone.
Qui Camus pronuncia la parola decisiva: «per chi cerca la quantità della gioia, solo ciò che è efficace conta». ‘Efficace’ ed ‘efficacia’, appena emersi nelle pagine sul mito di Sisifo, saranno dominanti in L’homme révolté (in La peste si parlerà, con tetra espressione, di ‘efficacia matematica e sovrana dell’epidemia’). Conta ciò che è capace di produrre il fatto, di raggiungere il risultato, di recare a compimento i disegni della volontà.
Anche il Conquistatore fa tutt’uno con il proprio tempo: «Fra la storia e l’eterno, ho scelto la storia perché mi piace ciò che è certo, e di questa almeno certo lo sono, né saprei come negarne la forza che mi schiaccia». La morte degli Dei e la certezza del tempo risvegliano la bruciante ‘disponibilità’ dell’uomo, l’orgoglio dell’azione consapevole. Anche qui lo spirito «sente i propri poteri e i propri limiti, cioè la propria efficacia».
3. Il mondo non si raccoglie in unità di senso. Esso frantuma l’uomo nell’indefinita molteplicità delle esperienze. Il filosofo non sa spiegarle; può soltanto descriverle. Contro questa insensatezza si leva l’uomo assurdo, che non ‘salta’ oltre la temporalità, ma la guarda in faccia e la vive per intero. Tramontati gli Dei, rimane il giudizio di fatto, l’accadere storico nella sua dimensione quantitativa. Calcolabile, misurabile. Ma la quantità è un risultato, che può esser raggiunto soltanto con un agire efficace, con la traduzione della volontà nel fatto. La fattualità, senza ricordi e senza speranze, domina il deserto del mondo. Il duro macigno di Sisifo rotola sempre ai piedi della montagna.
Il linguaggio dell’immanenza e della temporalità gravita intorno al fatto e alla capacità di produrre fatti: efficacia, effettività, efficienza. Ormai da millenni i giuristi insegnano che factum infectum fieri non potest. I fatti non si cancellano. Soltanto un fatto non è inerme dinanzi ad un altro fatto: il contro-fatto non può non essere un fatto. «Una questione di uomini – ci ha detto Camus –, che deve essere regolata fra uomini».
4. L’antitesi camusiana tra il meglio e il più richiama sùbito quella tra melior pars e maior pars, cioè la disputa intorno ai criterî procedurali della politica. Se debba prevalere l’avviso della parte migliore o della parte maggiore; di cerchie di notabili, stimati per equilibrio e saggezza di giudizio, o del numero più alto di membri dell’assemblea. (Al riguardo restano memorabili gli studî di Edoardo Ruffini).
Adottare il criterio della melior pars significa stabilire una gerarchia tra i membri della civitas, riconoscere un valore più alto al volere di taluni, identificare la decisione con la preferenza degli ottimati. Ma perché parte ‘migliore’? e chi assicura che, nei singoli casi, essa si orienti per la soluzione ‘migliore’?
Se non c’è criterio, che stia oltre e sopra la pluralità di uomini adunati in assemblea; e che o ispiri a tutti la più savia delle decisioni o ne affidi la scelta a una cerchia di meliores; rimane soltanto il metodo quantitativo, l’esser molti in confronto dei meno. Le votazioni servono a calcolare la quantità di consenso intorno alle diverse proposte. Dinanzi all’esito non c’è un ‘meglio’, offeso ed umiliato; c’è soltanto un ‘meno’. La proposta approvata non ‘vale’ più delle altre, ma ha dalla sua il fatto numerico della maior pars. «Una volta per tutte – ripeteremo con Camus –, i giudizi di valore sono qui scartati in favore dei giudizi di fatto». La maior pars è una parte maggiore di volontà, una volontà dei più, legittimata proprio dal suo esser dei più.
5. Il metodo quantitativo anche domina i mercati. Il consenso dei consumatori stabilisce il ‘valore’ dei beni: è davvero straordinaria questa conversione del volere in valore. La merce vale di più perché è voluta di più. Inattese affinità, parentele di logica e di procedura, fra mercato e democrazia politica. Come gli imprenditori si contendono la preferenza dei consumatori, così i partiti politici si rivolgono alle masse elettorali. ‘Campagne’ di pubblicità e ‘campagne’ elettorali adottano il medesimo stile, parlano un unico linguaggio. La maior pars decreta il successo di centri commerciali o di grandi magazzini. Chiudono piccole botteghe e negozî di quartiere: neppure la melior pars riesce a salvarli.
6. Dunque, beni economici e proposte politiche hanno valore in quanto sono voluti. Non posseggono un valore intrinseco, che sia prima e fuori dalle volontà decidenti. Non c’è un ‘meglio’, ma soltanto un ‘più’: il ‘meglio’ presuppone un criterio di scelta, il quale, collocandosi di là dal conflitto, sia in grado di stabilire il senso delle cose. Ma i luoghi trascendenti sono ormai declinati; non disponiamo di alcuna autorità, capace di indicarci il ‘meglio’ e di vincolarci nella scelta.
La volontà può dirigersi verso qualsiasi merce o qualsiasi proposta politica. Prima della scelta, tutto è indifferente: la differenza è introdotta dalla quantità di volontà, che si raccoglie intorno all’uno o all’altro oggetto. Votazioni e consumi sono i grandi misuratori del consenso. Il passaggio dall’indifferenza alla scelta è compiuto dalla volontà; e così beni economici e proposte politiche acquistato l’unico senso di cui sono capaci: il senso di esser preferiti. Quell’iniziale indifferenza, quella grigia opacità che circonda le cose prima della scelta, può pur dirsi nichilismo. Nulla è il senso prima della decisione preferente; nulla ci costringe a scegliere nell’un modo o nell’altro. Il nichilismo del mercato è nell’impossibilità dei beni economici di avere un senso: un senso, che non sia derivante dalla scelta dei consumatori. Il nichilismo della politica e del diritto è nell’impossibilità di stabilire la melior lex, cioè una soluzione che non provenga dalla pura volontà di scelta (non conta, sotto questo riguardo, se volontà di uno o di pochi o dei più).
La concezione procedurale, comune a mercati ed a regimi democratici, riposa sull’indifferenza contenutistica: i meccanismi della borsa e dei parlamenti tutto possono accogliere, tutto sottoporre a scelta, di tutto determinare il ‘valore’. Quel valore – s’intende –, che misura la quantità di volontà. Il senso di ciò, che costituisce il risultato della procedura, è dato dal funzionamento stesso della procedura: se questa è destinata al calcolo delle volontà (volontà degli elettori o dei consumatori), allora il senso del risultato è nella quantità di volontà. La procedura, in sé considerata, è vuota e silenziosa, deserta e buia; eppure il suo funzionamento, calcolando le volontà, offre un risultato: il valore di legge o il valore di merce. Essa non obbedisce ad alcuna misura di contenuto, ma misura il contenuto delle volontà. Poiché non contiene nulla, può contenere tutto.
Viene talora definita uno strumento, un congegno in servizio di altro. Ma il mezzo si determina in vista di un fine, e qui il fine è il suo stesso funzionamento. Le procedure sono fatte per funzionare, per produrre risultati quantitativamente calcolabili. La visione teleologica implicherebbe un fine superiore e sovrastante; ma la procedura è vuota di qualsiasi contenuto, e pronta ad accogliere tutti quelli che vi siano immessi. Essa conduce, non è condotta; porta, non è portata.
7. Gli esiti, calcolati dalle procedure economiche o politico-giuridiche, sono un ‘più’ e un ‘meno’: gli uni più forti degli altri. Vengono in conflitto due forze. Una forza risulta vincitrice; l’altra, sconfitta. Questa subisce una soluzione, che ha duramente contrastata e avversata: non la soluzione migliore, ma la soluzione più forte.
I giuristi, nostalgici di unità e inclini a entificare tutti i fenomeni, imputano la decisione a un soggetto o ad un organo collegiale, che contenga in sé i due partiti. Ma il vero è che il partito soccombente soggiace alla volontà, alla quantità di volontà, del partito vincitore. E già si prepara a nuovo conflitto, e aduna folle e recluta capi, e si anima nel proposito di rovesciare il risultato. Desiderio di diventare il più forte, e di prendere il disopra sulla forza avversa. Il fondamento di forza riceve la prova più sicura dalla logica dei regimi democratici. Risuona il monito di Pascal: «È per questo, perché non possiamo trovare il giusto, che si è trovata la forza...»; «Perché si segue l’opinione dei più? Forse perché hanno più ragione? No, perché hanno più forza». (Assai bene Sergio Givone vede in Pascal il ‘riconoscimento dell’intrascendibilità del convenzionalismo giuridico’).
La ‘quantificabilità di tutti i rapporti’ è indicata da Ernst Jünger fra i segni del nichilismo. I singoli rapporti, economici politici giuridici, vengono degradati a elementi di calcolo, a grandezze misurabili, e dunque indifferenziate e fungibili. Questo processo esige violenza manipolatrice, volontà di riduzione, che li spogli di caratteristiche soggettive, li semplifichi, li allinei l’uno accanto all’altro sui tavoli di calcolo. Mercati economici e procedure di democrazia politica offrono i simboli dell’epoca. Il valore dei beni e delle proposte normative è dato dalla quantità di consenso. Tecniche di misurazione delle volontà, pronuncianti il sì o il no, i regimi economici e politici traggono senso – o, meglio, accertano i risultati – soltanto attraverso il calcolo. E perciò l’individuo non può chiedere che essi gli offrano un significato più alto, e lo pongano al riparo dell’agghiacciante vuoto del mondo, e gli indichino il perché dei conflitti economici e politici. Annota Angelo Bolaffi: «... in cambio dell’assoluta libertà di decisione il totale nichilismo del merito».
8. Le mythe de Sisyphe si chiude con l’immagine dell’eroe assurdo, che rifiuta il suicidio, e riempie l’universo della sua dolorosa felicità. L’uomo ha regolato i conti con se stesso. Egli sa, e accetta la sfida. L’homme révolté, concentrato sul problema dell’omicidio, si apre agli altri, alla complice solidarietà e all’intesa fraterna. «Mi rivolto, dunque siamo». Ma il giurista vuol coglierne profili diversi: il rapporto fra sé e gli altri sospinge in primo piano la domanda sulla legge e sui criterî regolativi dell’agire.
Già nella ‘Introduzione’ Camus riprende il tema dell’efficacia: «... in mancanza di un valore superiore che orienti l’azione, ci si dirigerà nel senso dell’efficacia immediata. Nulla essendo vero o falso, buono o cattivo, la norma consisterà nel mostrarsi il più efficace, cioè il più forte». Ormai impossibili i giudizî di valore – i quali implicano che i fatti siano approvati o riprovati in base ad un criterio, esterno e superiore ad essi –, restano soltanto i fatti. E l’agire trova senso nella ‘efficacité immédiate’, nella capacità a produrre fatti, ossia nella forza esercitata sul mondo. L’agire inefficace, ancorché nobile e generoso, non lascia segno tra i fatti; è inerme dinanzi alla forza degli altri fatti.
Non c’è principio più alto di legittimità. Il regicidio del 21 gennaio 1793 ha abbattuto il principio di investitura divina. Esso ha la spaventosa grandezza del deicidio. «Fino a quel momento, Dio s’inframmetteva nella storia mediante i re». La storia è ormai sconsacrata. Né può prenderne il luogo il ‘dio dei filosofi e degli avvocati’, Verità Giustizia Ragione, che si appoggiano a semplici argomenti e sforzi dimostrativi: «Per adorare a lungo un teorema, la fede non basta, ci vuole anche una polizia». Il terrore sostituisce la fede.
9. Il nichilismo giuridico appare in tutta la sua terribile lucidità. «Se i grandi principi non hanno fondamento, se la legge non esprime nient’altro che una disposizione provvisoria, essa non è fatta ormai se non per essere elusa o per essere imposta»; «Dall’istante in cui i principi eterni saranno messi in dubbio assieme alla virtù formale, la ragione si metterà in moto, non riferendosi più ad altro che ai propri successi. Vorrà regnare, negando tutto ciò che è stato, affermando tutto ciò che sarà». La storia dell’uomo si affida alle rivoluzioni nichilistiche del Novecento.
La legge è ormai priva di giustificazione. La absence de justification la consegna per intero alla forza impositrice: non c’è alcun principio superiore, che la ‘faccia giusta’ e così la commisuri a se stesso, dichiarandola conforme o difforme. L’alternativa è tra elusione e imposizione, tra due voleri equivalenti, che possono o fallire o riuscire. Ciò che conta è il ‘successo’: l’accadere di un fatto in quanto fatto. Il successo della legge è nella im-posizione; il successo dell’anti-legge è nella e-lusione. Sono due fatti: tutto dipende dalla ‘efficacité’ dell’uno o dell’altro. Non valore e disvalore, ma un fatto contro un altro fatto. Camus non ha dubbî: «... i giuristi borghesi del Settecento... hanno preparato i due nichilismi contemporanei: quello dell’individuo e quello dello Stato». Viene qui prezioso il richiamo ad una fonte diversa e lontana, ma animata dalla stessa nuda sincerità: in una pagina del 1912, Walther Rathenau, commentando la definizione fredericiana del sovrano come servitore dello Stato («la parola più sconvolgente e sovversiva che sia mai uscita dalla bocca di un re»), ne coglie l’elemento cruciale «nel fatto che la regalità vi è slegata dal mistero, e lo Stato dalla concezione mistica della regalità, e che ormai lo Stato... si presentava bensì come l’istituzione suprema, ma pur sempre solo come un’istituzione rivolta a scopi di utilità e di benessere, e cioè in definitiva come un prodotto dell’attività umana». La secolarizzazione del potere, ormai spogliato di mistero e di divino, riduce Stato e leggi a prodotti dell’attività umana: modificabili, sostituibili, piegati a singoli e precari bisogni. Produzione – ci dicono i filosofi – è la categoria centrale, l’essenza propria del nichilismo. Non a caso Rathenau adopera la parola – ‘prodotto’ – propria dell’agire economico: le leggi, al pari delle merci, derivano dal fare umano.
L’intuizione dello Stato come prodotto rivela che esso è un risultato della tecnica, edificio artificiale degli uomini. Un celebre capitolo di Jacob Burckhardt suona Lo Stato come opera d’arte: che non è soltanto giudizio artistico, ma pure asserzione di innaturalità, straordinaria svolta del pensiero moderno (almeno da Hobbes in poi), che sottrae lo Stato alla divinità e alla natura, e tutto lo immerge nel fare umano.
Questa artificialità anche viene rappresentata – e meglio vedremo nel seguito – come positività delle leggi, nelle quali si esprime il dominio statale sui governati. Ed a ragione, poiché artificialità e positività sono il medesimo: ciò che l’arte fa è posto; ambedue, aspetti della produzione. Le entità in cui gli uomini convivono sotto norme comuni, – entità, che soliamo identificare con gli Stati, ma che anche comprendono organismi europei e internazionali –, sono tutti prodotti, e dunque artificiali e positivi. Massimo Cacciari, indagando la questione della tecnica in Heidegger, ha bene osservato che «lo Stato è il positum per eccellenza, prodotto dall’operazione del porre – e la cosa in quanto posta determinata, prodotta, e cioè acquisibile – usabile dal soggetto che la pone...». Le rinnovantesi battaglie contro il positivismo giuridico hanno non so che di oscuro ed ambiguo: se mirano ad abbattere o limitare il monopolio statale della legge in favore di fonti ultra-nazionali, non sono lotte contro il positivismo, ma contro una specie o forma di esso; se invece levano contro le leggi positive altre leggi di origine non umana e non terrena, allora il bersaglio non è il positivismo, ma piuttosto la concezione stessa del diritto, la sua assoluta i...

Indice dei contenuti

  1. Un libro ancora da scrivere
  2. Parte prima
  3. Nichilismo e metodo giuridico
  4. Nichilismo e formalismo nella modernità giuridica
  5. L’essenza tecnica del diritto (terzo dialogo con Emanuele Severino)
  6. Lo Stato: «machina machinarum»
  7. La polemica sui concetti giuridici
  8. La formazione del giurista nell’Università del «saper fare»
  9. Parte seconda
  10. Esercizî di lettura sul nichilismo giuridico